Reddito, casa e lavoro per liberare le donne dalla violenza

Un rapporto di ActionAid analizza gli strumenti di sostegno alle donne che, in Italia, cercano di uscire da contesti di violenza

© Sinitta Leunen/Unsplash

Reddito, casa, lavoro. Questi gli ingredienti fondamentali per aiutare le donne a uscire da situazioni di violenza. Assicurare un reddito sufficiente, un alloggio sicuro e sostenibile, un lavoro dignitoso e l’accesso a servizi pubblici efficienti e funzionanti deve quindi essere l’obiettivo principale delle politiche pubbliche per garantire alle donne il diritto di vivere una vita senza violenza. A spiegarlo è “Diritti in bilico”, rapporto che ActionAid Italia ha dedicato all’analisi delle politiche e degli strumenti nazionali e regionali a sostegno delle donne, affinché raggiungano la piena emancipazione. Mezzo fondamentale per allontanarsi definitivamente da compagni violenti.

Cosa si intende per violenza di genere

Il primo articolo della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1993 definisce «violenza contro le donne» ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne. Incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Si parla di “violenza di genere” ogniqualvolta la violenza – fisica, sessuale o psicologica – viene esercitata discriminando in base al genere, all’identità di genere, al sesso o all’orientamento sessuale.

La Convenzione di Istanbul approvata dal Consiglio d’Europa nel 2011 individua quattro forme di violenza di genere: fisica, sessuale, psicologica e anche economica. Quest’ultima, in particolare, è definita dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) come «qualsiasi atto o comportamento che provochi un danno economico a un individuo. La violenza economica può assumere la forma, ad esempio, di danni alla proprietà, limitazione dell’accesso alle risorse finanziarie, all’istruzione o al mercato del lavoro, o mancato rispetto di responsabilità economiche, come gli alimenti».

leadership femminile nelle imprese © Ponomariova_Maria iStockPhoto
Il lavoro rappresenta una delle chiavi per consentire alle donne di abbandonare contesti di violenza © Ponomariova_Maria/iStockPhoto

La Convenzione di Istanbul rappresenta il quadro all’interno del quale si inserisce la normativa italiana in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. Un testo il cui elemento di novità è rappresentato dal riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.

I numeri della violenza contro le donne

Secondo i dati Istat, in Italia una donna su tre ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici. Nel rapporto “Il pregiudizio e la violenza contro le donne”, realizzato dalla direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza in collaborazione con la Sapienza – Università di Roma e presentato il 22 novembre scorso per i primi nove mesi del 2022 si evidenziano numeri in leggero calo rispetto all’allo stesso periodo del 2021. Diminuiscono gli omicidi e i cosiddetti “reati spia”, ovvero quelli che indicano violenza di genere (come lo stalking e i maltrattamenti contro familiari e conviventi). Ma aumentano le violenze sessuali.

Inoltre, il rapporto evidenzia che l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento rappresentano il maggior numero di violazioni dall’entrata in vigore del Codice rosso il 9 agosto 2019. In calo il revenge porn.

I percorsi per uscire dalla violenza

Il percorso di uscita dalla violenza è lungo e difficile. I centri antiviolenza e le case-rifugio aiutano le donne nelle situazioni di emergenza. Ma ciò che manca al sistema antiviolenza italiano sono politiche e interventi strutturali, integrati e adeguatamente finanziati. Che possano sostenere a 360 gradi le donne che subiscono violenza nel loro percorso verso la piena indipendenza economica.

Nel rapporto di ActionAid si legge che dal 2015 al 2022 il nostro Paese ha speso 157 milioni di euro per supportare le donne nel percorso di uscita dalla violenza. Circa 20 milioni di euro per misure di sostegno al reddito, 124 milioni di euro per interventi di (re)inserimento lavorativo e 12 milioni di euro per favorire l’autonomia abitativa.

Il reddito di libertà: una misura concreta per cambiare vita

La Sardegna è stata la prima Regione ad adottare nel 2018 una misura di sostegno al reddito specificatamente rivolta a donne che cercano di uscire da contesti di violenza. Denominata “Reddito di libertà”, prevede un sussidio mensile di 780 euro per massimo 3 anni. Nello stesso anno, il Lazio ha istituito il “Contributo di libertà”, destinando alle beneficiarie massimo 5mila euro una tantum.

Nel 2020, il Parlamento italiano ha istituito il “Reddito di libertà” a livello nazionale. La quota allocata è di 12 milioni di euro, permettendo a massimo 2.500 donne di beneficiarne. Il rapporto di ActionAid sottolinea che, solo nel 2020, l’Inps ha registrato 3.283 richieste di contributo. E, secondo l’Istat, sarebbero circa 21mila all’anno le donne inserite in percorsi di fuoriuscita dalla violenza che potrebbero beneficiare di misure di supporto al reddito.

Il (re)inserimento lavorativo, una tappa fondamentale

Per promuovere la partecipazione delle donne che hanno subito violenza al mercato del lavoro, nel periodo 2015- 2022, l’Italia ha stanziato – come detto – circa 124 milioni di euro. Il 72% (89,2 milioni) per interventi di mantenimento dell’occupazione e il restante 28% (35,6 milioni) per quelli di (re)inserimento lavorativo. Ciò sebbene la percentuale di donne occupate e quella di donne non occupate accolte dalle strutture antiviolenza nel 2020 fossero uguali (50%).

Ad essere finanziati sono stati tirocini, borse lavoro, corsi di formazione, attività di orientamento e tutoraggio. Sono stati introdotti in via sperimentale sgravi contributivi per l’assunzione di donne impegnate in percorsi di fuoriuscita dalla violenza. E sono stati istituiti fondi per il microcredito per favorirne l’autoimprenditorialità. Nessuno di questi interventi è stato finanziato in modo strutturale.

Nel 2015, per il mantenimento dell’occupazione, sono stati attivati due strumenti strutturali. Da un lato il congedo indennizzato per vittime di violenza per cui sono allocati in media circa 12 milioni di euro all’anno. Dall’altro il ricollocamento per le dipendenti della Pubblica Amministrazione senza nuovi oneri per la finanza pubblica. Nel caso del congedo, dalla sua introduzione ad oggi, è stato registrato un aumento delle domande presentate del 2.662%. Da 50 nel 2016 a 1.331 nel 2021. A cui non è seguita una crescita delle domande accolte. Nel 2021, infatti, solo il 32% delle domande presentate è stato accolto (432 a fronte delle 1.331 presentate).

I limiti delle politiche occupazionali

Il principale limite delle politiche che riguardano il lavoro è che spesso non rispondono ai bisogni specifici e intersezionali delle donne che hanno subito violenza. E non tengono conto delle molteplici barriere che queste donne incontrano nell’accesso al mercato del lavoro (come nel caso di carichi di cura, mobilità geografica, ecc.).

La qualità dell’occupazione e le condizioni lavorative, sottolinea ActionAid, sono elementi imprescindibili per garantire l’autonomia economica delle donne che fuoriescono dalla violenza. L’utilizzo di forme e modalità di impiego inadeguate (per esempio con salari bassi, lavoro precario, part-time forzato) e/o la difficoltà di rimanere e crescere nel mercato del lavoro influenzano negativamente il percorso di empowerment socioeconomico. Impattando anche sulla situazione reddituale della donna.

L’accesso a un alloggio sicuro e sostenibile

Le donne vittime di violenza hanno una probabilità quattro volte superiore rispetto alle donne in generale di vivere situazioni di disagio abitativo. Le difficoltà che incontrano si aggravano in quei territori già provati da forme di marginalizzazione, esclusione e fragilità socioeconomica e ambientale (per esempio le aree interne o i territori colpiti dal sisma).

Gli investimenti nazionali e regionali per promuovere l’autonomia abitativa di donne in fuoriuscita dalla violenza sono scarsi e gli interventi frammentari e spesso delegati ai centri antiviolenza.

I rischi legati alla mancanza di una normativa nazionale

L’analisi di ActionAid si basa su dati e informazioni pubbliche raccolte attraverso fonti di tipo quantitativo e qualitativo per ciascuna area di indagine considerata. Ovvero supporto al reddito, lavoro, casa. La scarsa trasparenza delle Regioni, sottolinea l’organizzazione non governativa, non ha permesso di identificare tutte le risorse impiegate per il sostegno alle donne. Né ha consentito di tracciarne appieno l’utilizzo effettuato.

Inoltre, denuncia l’organizzazione, l’assenza di una normativa nazionale con chiare indicazioni sugli interventi minimi da garantire a livello regionale determina forti squilibri in termini di opportunità offerte alle donne. E rischia di ampliare i divari territoriali già esistenti o di crearne di nuovi.