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Droghe leggere legalizzate: per lo Stato un risparmio tra 6 e 8 miliardi

Meno spese per ordine pubblico e carceri, maggiore gettito fiscale e prodotto più sicuro: uno studio dall'università di Messina spiega perché l'antiproibizionismo è un buon affare

Emanuele Isonio
Emanuele Isonio
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Per avere un ordine di grandezza: il reddito di cittadinanza ha richiesto poco più di 4 miliardi di euro di spese. Ebbene, un’eventuale legalizzazione delle droghe leggere produrrebbe un beneficio netto per lo Stato anche maggiore: tra 6 e 8 miliardi di euro.

I legislatori non possono certo dire di non conoscere questi numeri. Perché li ha presentati, ormai tre anni fa, proprio alla Camera Ferdinando Ofria, professore associato di Politica economica dell’università di Messina. Mai come nella precedente legislatura infatti l’Italia era arrivata vicina a permettere una legalizzazione della cannabis. 218 fra deputati e senatori, riuniti in uno specifico intergruppo parlamentare, avevano firmato una proposta di legge. Rimasta, nonostante tutto, lettera morta.

Le voci considerate

Il calcolo di Ofria, spiegato nell’audizione alle Commissioni Giustizia e Affari Sociali, non è difficile da comprendere. Altro non è che un’analisi costi-benefici (e di questi tempi, dopo la querelle-Tav del ministro Toninelli, il termine dovrebbe essere ormai di ampio dominio). Da un lato, tra i costi connessi a un’eventuale liberalizzazione,il calcolo considera due voci:

  • le maggiori spese sanitarie di cura e disintossicazione,
  • i costi legati alla regolamentazione del nuovo mercato legale (struttura dell’agenzia per la gestione di produzione e vendita, controllo sul rispetto della legislazione, campagne di informazione per i consumatori).

Dall’altro lato, vengono conteggiati i risparmi:

  • una riduzione delle spese di repressione,
  • un maggiore gettito fiscale,
  • una migliore qualità del prodotto venduto,
  • un contrasto alla criminalità organizzata.

Il Colorado insegna: nessun maggiore costo

Sul fronte delle maggiori spese da prevedere, si è fatto riferimento all’esperienza del Colorado. «Lo Stato americano, nel 2014, ha introdotto una regolamentazione simile a quella proposta dall’intergruppo parlamentare», spiega Ofria. «I risultati empirici verificati in quel caso hanno smentito che ci siano aumenti nei consumi di droghe leggere in seguito alla legalizzazione. Né ha mostrato aumenti significativi nei costi sanitari».

L’indagine statistica era stata condotta dal Dipartimento per la Salute Pubblica e l’Ambiente dello stato del Colorado. Ad essere coinvolti, 17mila ragazzi delle scuole medie e superiori. Lo studio aveva registrato un numero di studenti che avevano fatto uso di cannabis nel 2015 minore rispetto alle precedenti indagini del 2009 e del 2011 effettuate nello stesso Stato. Nei 30 giorni prima dell’intervista, solo il 21,2% ha consumato marijuana nel Colorado. Stessa percentuale riscontrata negli altri stati USA (21,7%) dove il mercato della cannabis non è legale.

Anche per quanto riguarda i costi per regolare il nuovo settore, non sono stati registrati aumenti rilevanti: «quantitativamente – spiegava Ofria ai parlamentari – possono essere assimilati a quelli sostenuti per il controllo pubblico del consumo di tabacco e sigarette».

Quasi 800 milioni di spese di repressione evitate

Ben diverso il discorso per le spese evitate. A partire da quelle relative alla repressione: «si tratta principalmente – prosegue Ofria – di minori costi che forze dell’ordine, magistratura e sistema carcerario si troverebbero ad affrontare se venisse cancellato il reato di produzione e vendita delle droghe leggere, le quali, stando alle stime della Direzione Investigativa Antimafia, rappresentano oltre il 50% del mercato degli stupefacenti».

Nelle nostre carceri, il costo dei detenuti per reati di droga si attesta su 1,083 miliardi di euro l’anno, pari al 37% del costo totale dei detenuti. Il risparmio legato ai detenuti per droghe leggere quindi si aggirerebbe su 540 milioni di euro.

Ad essi si devono aggiungere poi quasi 230 milioni di euro, relativi alle spese evitate per contrastare i reati di traffico e possesso di droghe leggere (che già oggi rappresentano una quota minima delle spese totali di ordine pubblico, circa lo 0,6%). Totale: 770 milioni di risparmi.

L’Erario sorride

La fonte di gran lunga più significativa di benefici per lo Stato deriva però da un’altra voce: quella del gettito fiscale derivante dalla liberalizzazione. Oggi, l’acquisto di cannabis da pusher e criminalità è ovviamente esentasse (senza considerare la dubbia qualità del prodotto commercializzato). Se gli acquisti fossero fatti alla luce del sole, verrebbero ovviamente tassati, al pari di quanto avviene ad esempio per le sigarette. E infatti l’aliquota ipotizzata nel calcolo dell’università di Messina è analoga a quella per i tabacchi, circa il 75% del prezzo di vendita. Le maggiori entrate sotto forma di imposte, a seconda del prezzo ipotizzato di vendita, oscillerebbe tra i 5,3 e il 7,9 miliardi di euro l’anno.

Tutto considerato quindi, la stima dei benefici varia dai 6 gli 8,7 miliardi. «Il calcolo – spiega Ofria – può variare per eccesso se si considera la possibilità di coltivare in proprio la cannabis, o per difetto se ti tiene in considerazione il possibile indotto di questo nuovo mercato (produzioni agricole, dolciarie, tessili, medicali) e l’ipotesi che lo Stato si renda garante della genuinità del prodotto, con significativi effetti sulla salute e costi sanitari».

Illegalità nemica della salute

Il legame tra liberalizzazione e aumento della qualità del prodotto non è affatto da sottovalutare: «con il mercato delle droghe leggere in mano alle organizzazioni criminali nessun consumatore sa esattamente cosa sta assumendo».

Lo aveva confermato nel 2016, uno studio dell’università di Berna: erano stati analizzati 191 campioni di marijuana sequestrati sul territorio svizzero. Il 91% di essi risultava contaminato. Mischiate con la cannabis venduta dai pusher erano state riscontrate ammoniaca, lacca per capelli, lana di vetro, piombo, ferro, alluminio, cromo, cobalto e altri metalli pesanti altamente nocivi.

Tutte queste sostanze vengono aggiunte per aumentare il peso dell’erba ed avere più profitti, ma che possono causare al consumatore anche danni più gravi rispetto al THC.

«Un mercato regolamentato comporterebbe un controllo di qualità della filiera e meno rischi per i consumatori».

Più efficace regolare che proibire i fenomeni di massa

Peraltro, in favore della liberalizzazione, pesa anche un po’ di sano pragmatismo: il consumo è ormai un fenomeno di massa, soprattutto in Italia. Secondo l’Osservatorio europeo delle droghe, il 19% dei ragazzi italiani tra i 15 ed i 34 anni, ha fatto uso di cannabis nel corso degli ultimi dodici mesi: in Europa una percentuale maggiore ce l’ha solo la Francia. «Come tutti i fenomeni di massa è più efficace regolarlo che proibirlo: impedire l’accesso al mercato legale non riduce la domanda: sposta solo i consumatori su quello illegale» commenta Ofria.