È troppo tardi per essere moderati
Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
La Cina è il Paese che più di ogni altro emette gas ad effetto serra. Per questo, soprattutto negli anni del disimpegno americano trumpista, a Pechino è stato chiesto di assumere, assieme all’Europa, una leadership mondiale sulla crisi climatica. La nazione asiatica ha risposto dichiarando di voler azzerare le emissioni nette di gas climalteranti, entro il 2060. Il governo cinese ha quindi avanzato nuove promesse nel corso del summit tenuto il 12 dicembre in occasione del quinto anniversario del raggiungimento dell’Accordo di Parigi. Sia in materia di contenimento delle emissioni che di sviluppo delle fonti rinnovabili.
Questo in patria. Sarebbe utile però se la Cina adottasse lo stesso approccio anche quando si tratta di cantieri condotti all’estero. Dall’Indonesia allo Zimbabwe, infatti, Pechino ha moltiplicato nel 2020 la costruzione di nuove centrali a carbone, nonostante tale fonte fossile sia responsabile del 40% delle emissioni mondiali di CO2. Aziende cinesi costruiscono attualmente centrali per una capacità installata totale di 19,6 Gigawatt, investendo 21 miliardi di euro, secondo quanto indicato dal Global Development Policy Center dell’università di Boston. Tra i progetti in questione c’è anche la centrale di Sengwa, nello Zimbabwe: una delle più grandi dell’Africa. Assieme ad almeno altre otto in Pakistan.
E si tratta solo di quelle in costruzione. Se si sommano ad esse i progetti non ancora avviati si arriverebbe a 56 Gigawatt. Ovvero 115 milioni di tonnellate supplementari di CO2 disperse ogni anno nell’atmosfera. Roba da far passare sotto silenzio la decisione del colosso bancario Industrial and Commercial Bank of China di non finanziare la centrale a carbone di Lamu, in Kenya, per via dei rischi ambientali e sociali. La battaglia climatica si vincerà solo se si capirà che è ormai troppo tardi per essere moderati.