Paradossi, scommesse e egemonia. L’economia mondiale tra crisi e guerre
Il futuro dell'economia globale è segnato dalle crisi attuali, aggravate dalle speculazioni finanziarie e dalle guerre monetarie
L’ultimo vertice del Consiglio europeo in materia di energia fornisce l’impressione, netta, dell’esistenza di un vero e proprio paradosso. In pratica, i 27 capi di governo hanno “concordato” di dare mandato alla Commissione europea perché formuli un’ipotesi di lavoro da ripresentare allo stesso Consiglio. Indicando delle prospettive a dir poco generiche come il “corridoio dinamico temporaneo” – un’espressione che ricorda lo sciagurato “serpentone monetario dello SME” – l’impegno dell’acquisto, in futuro, del 15% degli approvvigionamenti in comune e l’elaborazione futuribile di una correzione dell’indice di Amsterdam.
Invece di smontare la speculazione, l’Europa si limita a mandare messaggi ai mercati
Si tratta di confusa astruseria che ha però uno scopo neppure troppo velato: cercare di condizionare gli scommettitori proprio sul mercato di Amsterdam. In pratica, il messaggio che ben 27 capi di governo vogliono mandare agli scommettitori è quello di non esagerare sui prezzi perché, in fondo (molto in fondo), l’Europa potrebbe prima o poi intervenire.
Invece di smontare la speculazione, abbandonando Amsterdam, il massimo che il Consiglio europeo riesce a fare è mandare un messaggio agli speculatori che, intanto, si stanno già ben attrezzando. I prezzi del gas, infatti, si stanno parzialmente riducendo perché gli stessi speculatori della Borsa di Amsterdam, che continua ad essere nonostante i tanti proclami il luogo dove si determina il prezzo europeo, hanno ormai visto la recessione in arrivo e dunque puntano, almeno temporaneamente, sul ribasso.
I prezzi del gas scendono perché la finanza, dopo aver agevolato la recessione, ora punta al ribasso
In altre parole, in previsione di una drastica riduzione dei consumi che potrebbe generare una gelata economica, la speculazione si organizza. Dopo aver strangolato imprese e consumatori domestici, gli squali della finanza si riposizionano. Questa parziale flessione del prezzo del gas, intanto, fa ripartire le Borse perché gli stessi speculatori, consapevoli del “ribasso” dei prezzi del gas, si attendono una strategia monetaria meno aggressiva da parte delle banche centrali, a cominciare dalla Bce e dalla Federal Reserve.
In estrema sintesi, la recessione sta arrivando perché i prezzi dell’energia e gli alti tassi l’hanno generata e spinta; a questo punto gli speculatori puntano sul ribasso dei prezzi del gas e, al contempo, lucrano sul rialzo degli indici borsistici. L’economia reale vive una profonda crisi, ma la finanza vince ancora. E in Italia, nel frattempo, continuiamo a tassare le rendite finanziarie con l’imposta sostitutiva del 26% anche quando si tratta di somme milionarie. Difficile immaginare che il nuovo esecutivo, in continuità con l’agenda Draghi, voglia mettere mano a tale aliquota.
La guerra monetaria scatenata dalla Federal Reserve
La situazione generale è aggravata dal fatto che, accanto a questo fenomeno legato al prezzo dell’energia e ai tassi di interesse, è in corso una vera e propria guerra in materia monetaria scatenata dalla Federal Reserve a stelle e strisce, impegnata a minacciare rialzi dei propri tassi, senza mettervi realmente mano per le aspettative recessive sopra accennate. La conseguenza è che la sterlina, travolta dall’insipienza dei conservatori, crolla, lo yen scende, l’euro fatica a restare a galla.
Tutto ciò induce le banche centrali che stanno dietro a tali monete a vendere i dollari che hanno per ricomprare le proprie valute, cercando di attenuarne la caduta. Si tratta di una linea però che da un lato rafforza l’idea, nei mercati speculativi, che il dollaro sia l’unico bene rifugio, tanto da mobilitare le difese delle altre banche centrali. E dall’altro costringe queste ultime a consumare enormi risorse contro il dollaro, impoverendosi in maniera significativa.
Gli Stati Uniti di Joe Biden stanno facendo infuriare la Cina più di Donald Trump
La recessione in giro per il mondo è sempre più vicina, ma l’impressione è che gli Stati Uniti stiano cercando di farla pagare agli altri. In tale ottica, l’aggressività monetaria degli Stati Uniti sta creando tensioni anche in seno al Partito comunista cinese. Per un dollaro ci vogliono ora oltre 7 yuan contro i 6,3 dell’anno scorso; si tratta di un problema non banale per un Paese che, con un’inflazione di poco superiore al 2%, sta cercando di alimentare i propri consumi interni e che non può più dipendere troppo dalle esportazioni veicolate dalla moneta debole, dato il difficile contesto mondiale e l’impennata dei prezzi dell’energia, vero e proprio ostacolo per i trasferimenti di merce.
L’accoppiata Biden-Powell sta facendo infuriare i cinesi più di Trump e sta definendo, rapidamente, un nuovo egoismo aggressivo che prende il posto di un ben più sgangherato isolazionismo.