A El Salvador circola il Bitcoin tra nuovi bancomat, rischi e proteste
Dal 7 settembre il Bitcoin è ufficialmente una moneta legale a El Salvador. Ecco come si è organizzata la nazione dell'America centrale
Era almeno dalla guerra civile degli anni Ottanta che i media non si occupavano così tanto di El Salvador. Ma il piccolo paese centroamericano è alla ribalta di giornali e media da quando il suo originale e populista presidente Nayib Bukele ha adottato il bitcoin come valuta corrente ufficiale. Bukele e alcuni collaboratori del suo partito Nuevas Ideas detenevano bitcoin da anni. E il villaggio costiero di El Zonte aveva sperimentato l’uso della criptovaluta nell’economia locale dal 2019. Alcuni lavoratori venivano pagati in bitcoin, che potevano usare per pagare bollette e comprare cibo e altri beni nei negozi locali.
Dal 7 settembre il bitcoin è una moneta legale a El Salvador
Ma è con l’approvazione della Ley bitcoin da parte del Parlamento l’8 giugno 2021 che El Salvador diventa il primo Stato al mondo a dare corso legale alla criptovaluta. Che è valuta ufficiale, accanto al dollaro statunitense, dal 7 settembre.
L’obiettivo dichiarato di Bukele è quello di favorire l’inclusione finanziaria di migliaia di cittadini che sono fuori dall’economia formale (il 70% dei salvadoreñi non ha un conto corrente bancario, ma quasi tutti hanno uno smartphone). Inoltre Bukele immagina di attrarre investimenti stranieri nel paese: a coloro che investiranno almeno tre bitcoin (oggi appena 128.520 dollari) sarà assegnata la cittadinanza salvadoreña. La qual cosa non è indifferente data la legislazione fiscale particolarmente favorevole del paese, secondo il Tax Justice Network, fra i paesi ad alta segretezza fiscale. Bukele ha dichiarato che ha promosso la legge «perché il bitcoin ha un mercato globale di 600 miliardi di dollari. E se noi approviamo la legge, investitori e turisti che detengono bitcoin verranno nel paese e ne beneficeranno i salvadoreñi e l’economia». Inoltre l’obiettivo è di ridurre le spese per le rimesse degli immigrati in patria, che costituiscono il 20% del PIL del paese.
Criptovalute
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Le proteste della popolazione
Ma la popolazione non ha dimostrato di apprezzare l’iniziativa e le proteste sono cresciute. È certamente l’obbligo di accettare pagamenti attraverso questa moneta digitale ad aver sollevato le maggiori perplessità. La Ley bitcoin, diversamente da quanto avviene per il dollaro negli Stati Uniti e dunque in El Salvador dal 2001 (quando esso è diventata valuta ufficiale), stabilisce che «ogni agente economico deve accettare bitcoin come pagamento da chiunque acquisti i suoi beni o servizi».
Le proteste e le perplessità sollevate da economisti e istituzioni finanziarie ufficiali sono state molte, tanto che Bukele ha dovuto fare una parziale marcia indietro sull’obbligo di accettare i bitcoin per i pagamenti.
Ma le reazioni negative stanno continuando. Tanto che la Corte dei Conti sta svolgendo un’indagine sulla base di un ricorso della ong Cristosal, impegnata sui temi dei diritti umani e della trasparenza. Il ricorso si incentra in particolar modo sul procedimento di acquisto dei bitcoin da parte del governo. E sulla installazione di ben 200 ATM legati al portafoglio (wallet) “Chivo”, creato dal governo per gestire i propri bitcoin. Gli ATM avrebbero lo scopo di consentire alle persone di convertire la criptovaluta in dollari. Ma la loro introduzione è stata guastata da anomalie e difetti tecnici. Il ricorso di Cristosal era diretto contro 6 membri del CdA della bitcoin Trust. Composto da funzionari nominati dai ministeri della Finanza e dell’Economia, nonché dal segretariato per il Commercio e gli Investimenti. Se la Corte verificherà irregolarità contabili, potrà portare il caso di fronte all’Ufficio del Procuratore Generale per avviare una procedura penale.
A El Salvador 200 ATM per convertire bitcoin in dollari
Le proteste non hanno certo fermato Bukele. Alla vigilia dell’entrata in vigore della legge, il presidente annunciava che il suo governo aveva acquistato 400 bitcoin e non più tardi del 20 settembre dichiarava di averne comprati altri 150, arrivando così ad un patrimonio complessivo di 700 bitcoin. L’alta e, per certi aspetti, naturale volatilità della criptovaluta è il maggior difetto e limite dell’operazione del presidente salvadoreño. Basti pensare che valeva alla fine di agosto quasi 49.000 dollari, era arrivato a 52.665 il giorno prima dell’entrata in vigore della legge del Salvador (6 settembre), era sceso a 40.683 il 20 settembre e oggi ne vale 42.840.
Come evidenzia Jeffrey Frankel, professore di economia a Harvard e già consigliere di Clinton per l’economia, detenere e scambiare una moneta così instabile è una pessima idea per persone che hanno un basso reddito, dal momento che può far fluttuare fino al 30% al giorno le loro entrate. Certamente il fatto che il bitcoin abbia quadruplicato il proprio valore è elemento attrattivo. Ma “ciò che sale prima o poi cade”. Frankel è uno dei maggiori critici della strategia di Bukele. Prima di tutto egli rileva come mentre l’adozione del dollaro come valuta corrente nel 2001 ha garantito stabilità monetaria e calo dell’inflazione (dal 10% del 1995 a quasi zero), l’affiancamento del bitcoin al dollaro come valuta legale avrà effetti devastanti. Lo spread fra tasso d’interesse sul proprio debito pubblico e il tasso del Tesoro statunitense è significativamente cresciuto. Inoltre, le criptovalute sembrano essere particolarmente versate a favorire le transazioni illegali.
I detrattori, ma anche i sostenitori della scelta di Bukele
Ma ovviamente, accanto ai detrattori, vi sono anche i sostenitori della scelta del presidente Bukele. Ad esempio Edward Snowden, sollecitando l’adozione del Bbtcoin, ha evidenziato come le prime nazioni a farlo saranno favorite e spingeranno altre a fare altrettanto.
El Salvador non è il primo paese ad adottare una normativa sulle criptovalute. Lo hanno già fatto Giappone, Corea del Sud e Venezuela. Ma nessuna lo aveva adottato come valuta di corso legale. La stessa Unione Europea sta discutendo dal 2019 una bozza di regolamento di 126 articoli sul tema: la proposta è nota come MICA (Markets in Crypto-Assets Regulation).
La mossa di Bukele potrebbe indurre altri paesi ad accelerare in una direzione più spinta verso il bitcoin. Fra questi Panama, che sta discutendo una legge in proposito. Ma a differenza del Salvador, neanche essa adotta Bitcoin come valuta di corso legale. Tuttavia, nell’intento di incentivarne l’uso, la proposta di legge si concentra molto sulla possibilità di suddividere i bitcoin fino a 100 milioni di Satoshi, la più piccola unità di misura del bitcoin (diremmo come i centesimi per l’euro). Similmente ad altre criptovalute come Cardano e Ethereum.
Altri Paesi legiferano sulle criptovalute, ma nessuno l’ha resa moneta legale
Anche l’Ucraina sembra volersi incamminare verso l’era delle criptovalute. Il parlamento ha votato quasi all’unanimità una legge il giorno dopo il Salvador. Anche in questo caso, non vi è l’adozione del bitcoin come valuta di corso legale (fino ad ora le criptovalute erano considerate illegali in Ucraina). Non si incoraggia ad usare il bitcoin come metodo di pagamento, al pari della hryvnia, la moneta ufficiale. Tuttavia l’intenzione è quella di aprire il mercato del bitcoin agli investitori entro il 2022.
Un recente rapporto di PwC, una società di consulenza finanziaria, ha messo in evidenza come 60 governi stanno lavorando sulle Central Bank Digital Currencies (CBDC), con l’obiettivo di rendere compatibili i vantaggi delle criptovalute con quelli delle monete tradizionali. Ben l’88% delle CBDC sono basate della tecnologia Blockchain di bitcoin.
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I rischi ambientali e per la sicurezza legati al bitcoin
Per quanto i rischi connessi a queste criptovalute siano ogni giorno più evidenti, è altrettanto vero che bitcoin (e i suoi fratelli) richiede un diverso modo di pensare alla funzione e non solo al funzionamento del denaro nella nostra società. E non solo del denaro, se è vero (e non fantascienza) che Bukele sta pensando a come usare l’energia geotermica sprigionata dai vulcani del Salvador per il “mining” dei bitcoin. Infatti, produrre bitcoin richiede un utilizzo di molta energia, quindi ha senso produrli nei posti dove l’energia costa poco.
Ma come la moneta tradizionale, neppure la criptovaluta è al riparo da rischi e crimini. La notizia del furto ad opera di un hacker di quasi 277 pBTC (un token ERC-20 sulla Blockchain di Ethereum, con un cambio 1:1 con i bitcoin), è una novità sconcertante. Il valore di questo furto telematico si aggira intorno ai 12 milioni di dollari. Non ci sono dettagli su come sia avvenuto il furto, se non il fatto che l’hacker è riuscito ad inserire un virus in grado di estrarre i pBTC dalla Blockchain. Ma la società che ha subito il furto, pNetwork, intende offrire una taglia di 1,5 milioni di dollari per la restituzione del maltolto. In fondo non sembra essere cambiato poi molto da quando lo sceriffo metteva una taglia su chi ritrovava e restituiva il bottino della rapina al treno.