Elezioni Usa, ai grandi fondi non importa chi sarà il nuovo presidente

L’impennata borsistica americana ha poco a che vedere con l’attentato a Trump, e molto con i guadagni dei grandi fondi finanziari

Donald Trump durante un comizio elettorale © Gage Skidmore/Flickr

I listini americani hanno festeggiato l’attentato a Donald Trump. Gran parte dei media ha attribuito questa esultanza alla certezza di un successo elettorale del candidato repubblicano. In realtà Trump coi listini c’entra ben poco, a mio parere. L’euforia borsistica che continua ormai da tempo dipende infatti dalla ulteriore cuccagna che sta investendo i grandi fondi. BlackRock ha annunciato i suoi nuovi dati da cui risulta che sta avvicinandosi agli 11mila miliardi di dollari di risparmi gestiti, con un incremento in un solo anno di 1.200 miliardi di dollari. Numeri impressionanti, che consentono di alimentare anche i prezzi delle “partecipate” delle Big Three, a partire da Goldman Sachs e Jp Morgan.

Con la stessa liquidità dei fondi, peraltro, Alphabet intende comprare Wiz, la start up israeliana specializzata in cybersicurezza, dando vita ad un’operazione record da 23 miliardi di dollari. In altre parole, la finanza corre in maniera folle sotto forma di monopolio, macinando record a cui né Joe BidenDonald Trump, che ama presentarsi come l’antisistema, hanno la forza di porre limiti. Quindi mettere in relazione gli indici all’attentato a Trump è davvero un racconto che serve a nascondere quanto i “padroni del mondo” siano forti, al punto da rendere irrilevanti persino le elezioni del presidente degli Stati Uniti.

Nel programma di Trump l’unico riferimento finanziario è un favore ai fondi d’investimento

Se si leggono i punti programmatici della candidatura presidenziale di Donald Trump, vi trovate la volontà di deportazioni di massa e numerosi altri slogan, cavalli di battaglia dell’ex magnate. Ma in termini economico-finanziari l’unico riferimento nel programma, in una serie di contraddizioni, è quello relativo alla volontà di battere l’inflazione. Quindi si fa riferimento, implicitamente, agli tassi alti della Fed. Con grande gioia dei fondi che, in presenza di politiche monetarie restrittive, saranno gli unici veri gestori della liquidità. E incasseranno così gli interessi dei titoli di Stato a stelle e strisce, potendoli proporre come bene rifugio ai proprio risparmiatori.

Del resto, sono molteplici gli indicatori che la sia la finanza a governare il Pianeta, e che l’andamento delle Borse non si leghi agli esiti della politica. Nella primavera di quest’anno Larry Fink, Ceo di BlackRock, ha incontrato insieme a Jamie Dimon, Ceo di Jp Morgan, il primo ministro giapponese Fumio Kishida per definire una strategia di investimento nel Paese. Il Giappone dispone di grandi fondi pensionistici e ha alcune società di grande capitalizzazione, a cominciare da Toyota e Sony. Da quell’incontro di aprile, certo non a caso, BlackRock ha cominciato a destinare i propri Etf (i fondi scambiati in Borsa) a GPIF, il fondo pensione giapponese, che è il più grande di tali fondi. E a fare acquisti azionari in società nipponiche.

La finanza si autoalimenta. Indipendentemente da chi sarà il prossimo presidente Usa

In estrema sintesi, BlackRock e Jp Morgan hanno intensificato la propria presenza in terra giapponese puntando sul vasto risparmio gestito e traducendolo in dollari. Dollarizzare il Giappone attraverso la miniera dei fondi pensione è un obiettivo strategico per la finanza a stelle e strisce che serve certamente al governo federale degli Stati Uniti. Indipendentemente da chi sarà il presidente. Quindi, la morale è semplice: la finanza governa e costruisce la propria forza a prescindere dalla politica. Non solo. La finanza si autoalimenta.

Jp Morgan ha realizzato oltre 18 miliardi di dollari di utili nel secondo trimestre 2024, che dipendono in larga misura dai profitti di Visa, di cui JP Morgan è azionista. Se guardiamo dentro Jp Morgan e Visa troviamo che in entrambi i casi i principali azionisti sono BlackRock, Vanguard e State Street con circa il 22%. Le Big Three sono poi anche i maggiori azionisti di Citigroup, sempre con il 23%. È evidente l’esistenza di un cartello bancario dominato da un monopolio che gestisce il risparmio, sia in banca sia nei fondi. E dunque ha un potere straordinario, in grado di macinare profitti all’interno di un circuito in cui si approfondiscono sempre più le disuguaglianze sociali.