Concretezza e semplicità. Così la premio Nobel Esther Duflo rivoluziona l’economia

Esther Duflo ha lanciato un nuovo paradigma per la ricerca economica: «La povertà si può combattere, ma i modelli teorici non bastano. Lavoriamo sul campo»

La premio Nobel per l'economia Esther Duflo © Kris Krüg via Flickr (CC BY-SA 2.0)

Franco-americana, professoressa al MIT dopo essere già stata insegnante all’università di Princeton, Esther Duflo è la seconda donna della storia ad aver ottenuto il Premio Nobel per l’economia. E la più giovane in assoluto, a soli 46 anni. Il riconoscimento le è stato conferito assieme ai colleghi Abhijit Banerjee (suo marito) e Michael Kremer. Per il lavoro in seno al Poverty Action Lab (PAL), una rete internazionale di ricerca per combattere la povertà.

La premio Nobel per l’economia Esther Duflo«Non sono una Robin Hood, ma volevo fare qualcosa di concreto»

Si tratta di un “laboratorio di esperimenti empirici”. Un cambiamento di paradigma per la ricerca economica: niente più soli modelli matematici né estrapolazioni computerizzate. Spazio invece all’osservazione sul campo, per comprendere concretamente i meccanismi che creano povertà. E agire di conseguenza con politiche pubbliche adeguate.

«Non mi considero una Robin Hood – ha spiegato nel 2017 in un’intervista concessa all’emittente franco-tedesca Arte -. Non distribuisco ai poveri soldi presi dai ricchi. Ma cerco di salvare i poveri dalla povertà. È un tema che fin da piccola mi sta a cuore. A scuola vendevo torte per sostenere alcune cause sociali. Ho sempre cercato di fare qualcosa di concreto. Quando ho scoperto l’economia, mi sono detta che era la mia chance di fare qualcosa».

Di qui anche la scelta di Esther Duflo di lavorare sull’osservazione empirica: «Nelle economie in via di sviluppo, le più povere, c’è una tradizione in questo senso. Quella di essere sul campo. Raccogliere dati. Cercare di comprendere direttamente. Ciò che facciamo col nostro lavoro al PAL non è però solo ricerca. È anche azione fattuale. L’idea è di essere utili nell’immediato».

Esther Duflo: «I modelli teorici possono eliminare dettagli che non si rivelano tali sul campo»

Gli esempi concreti sono molteplici: «In un articolo che abbiamo scritto con una psicologa di Harvard ci siamo chiesti cosa potessimo fare, all’asilo, per insegnare la matematica i bambini più poveri a Nuova Delhi, in India. Parliamo di piccoli provenienti da bidonville. Per sviluppare le loro basi intuitive o nozioni elementari di geometria. Nei Paesi ricchi abbiamo compreso che farlo è fondamentale per il successo futuro».

Ciò ha portato alla costruzione di un programma ad hoc per quei bambini: «Grazie ad una serie di giochi – precisa Esther Duflo -. In particolare in India perché lì, poi, alle elementari i docenti non “aspettano” chi è indietro. I bambini poveri, che si trovano in ritardo, non riusciranno mai a colmare il gap. Abbiamo così lavorato con una Ong locale in 70 scuole scelte a caso. I risultati hanno indicato che chi ha seguito il corso ha sviluppato fortemente le conoscenze intuitive. E che ciò prosegue anche negli anni successivi».

Ma perché scegliere il metodo empirico anziché lavorare in modo tradizionale? «Quando si creano dei modelli teorici, pur se di ottima qualità, spesso manca qualcosa. E ce ne si accorge quando li si cerca di applicare sul campo. A volte per semplificare si eliminano dei dettagli che poi non si rivelano tali. Per questo il lavoro empirico è essenziale. Ed è il problema della politica economica: molto spesso si parte da idee astratte. Senza sapere se esse saranno o meno efficaci nel concreto». Da cui manovre, piani e programmi che non funzionano come previsto e che impongono sprechi di denaro.

Meglio i computer o gli insegnanti nelle scuole?

Allo stesso modo, un altro esperimento, sempre in India, è stato condotto sull’introduzione di computer nelle scuole. Esther Duflo ne ha parlato ai microfoni di France 2: «Si tratta di qualcosa molto alla moda. In una città il comune ha deciso di installarne in tutte gli istituti. Noi siamo andati sul campo a valutare. E abbiamo scoperto che molti di questi computer rimanevano chiusi nelle scatole. Così, assieme ad una Ong abbiamo deciso di indagare».

Esther Duflo
L’economista francese Esther Duflot ad un convegno del Center for Global Development © Center for Global Development via Flickr (CC BY 2.0)

In metà delle scuole, i volontari dell’associazione hanno effettivamente installato i computer. Nell’altra metà, non l’hanno fatto. Ma hanno inviato del personale docente di supporto per effettuare un tradizionale sostegno agli studenti meno in gamba. «Ebbene, i risultati indicano che i computer effettivamente aiutano i ragazzi. Ad esempio a comprendere la matematica, grazie a software specifici che erano stati installati. Ma ciò è molto, molto, molto più caro rispetto a pagare una sola insegnante che si occupi di aiutare gli studenti più in difficoltà. Quindi la sperimentazione sul campo ci ha detto che la politica di distribuire ovunque dei computer non è poi così utile».

Ancora, un altro studio randomizzato è stato effettuato nel Rajasthan. Il programma governativo non riusciva ad ottenere miglioramenti nei tassi di vaccinazione dei bambini. «I genitori avevano l’impressione che non si trattasse qualcosa di urgente. Il vaccino era una prevenzione, non una risposta ad una crisi immediata. Questione di mentalità». Di qui il tentativo, anche in questo caso estremamente semplice: regalare un chilogrammo di lenticchie a chi si presentava per effettuare i vaccini. «Inizialmente, le autorità erano molto scettiche. I risultati ci hanno indicato che con questo semplice metodo il tasso di vaccinazione è triplicato».

Triplicare i vaccini nei Paesi poveri. Con un chilogrammo di lenticchie

Si potrebbe obiettare che i costi, in tal mondo, aumentano: «Ma la realtà è che diminuiscono. Per vaccinare i bambini serve infatti un infermiere, che va pagato. Si tratta in assoluto della voce di spesa più alta. E il costo marginale di tale lavoro scende enormemente se aumenta fortemente il numero di interventi nella stessa giornata. Il che permette di ottenere un risparmio, nonostante il costo delle lenticchie».

Una conferenza dell’economista Esther DufloMa non è tutto: «Abbiamo capito altre cose. La prima è che esistono delle “trappole di povertà”, ma che possiamo combatterle. Basta toccare i tasti giusti. La seconda è che i poveri non sono indolenti. Può sembrare ovvio, ma molti pensano che aiutare finanziariamente i poveri possa essere poco utile. Portare sprechi, disincentivare le persone a lavorare. In politica è un discorso corrente. Ma nella pratica è falso. Quando si concede un trasferimento, gli effetti possono essere a volte nulli, è vero. Ma spesso sono positivi. E mai negativi. Concedere una piccola sicurezza economica concede di proiettarsi nel futuro».

Ciò, sottolinea Esther Duflo, «non significa che esistono soluzioni miracolose. Pensiamo al microcredito. Ne hanno beneficiato tra 200 e 300 milioni di persone nel mondo. Eppure ha avuto pochi effetti concreti sulla vita reale. Perché l’idea che con un prestito si possa sempre avviare un’impresa e uscire così dalla povertà è semplicemente falsa. Perché non tutti i poveri sono degli imprenditori mancati. La maggior parte di loro non vuole aprire un’impresa. Vuole solo un lavoro, un salario, una sicurezza». La semplicità e la concretezza al servizio dell’economia.