Euro digitale e banche: rischi e opportunità per il sistema finanziario

L’euro digitale potrebbe rivoluzionare il settore bancario, riducendo i costi ma minacciandone i profitti. Quali le conseguenze per imprese e cittadini?

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L’euro digitale è un tema sempre più centrale nel dibattito economico e finanziario. Ma cosa significa davvero l’introduzione di una Cbdc, ovvero di una moneta digitale emessa dalla Banca Centrale Europea? Quali sono le implicazioni per le banche, i consumatori, la privacy e l’intero sistema economico?

Questa serie di articoli esplora il tema da diverse prospettive:

L’evoluzione tecnologica sta trasformando il nostro modo di pagare e interagire con il denaro. L’euro digitale sarà un’opportunità o una sfida per cittadini e imprese? Ti invitiamo a leggere tutti gli articoli della serie per comprendere meglio un cambiamento che potrebbe influenzare la vita di tutti noi.


Come dovrebbe funzionare l’euro digitale per tutti noi? Semplificando, l’utilizzatore finale ha un conto presso la Bce. Tramite un’app sul proprio telefonino o altro dispositivo può accedere a questo conto e utilizzare l’euro digitale per acquisti e pagamenti. Esattamente come adesso abbiamo un conto corrente presso una qualsiasi banca e possiamo utilizzare carte di credito o applicazioni sui nostri telefonini. Proprio qui nasce la principale preoccupazione delle banche.

La Bce – che non ha come obiettivo realizzare profitti – potrebbe gestire transazioni di questo genere con commissioni bassissime. O anche nulle. Il che si traduce in zero costi, tanto per chi paga quanto per chi riceve il pagamento. Per quale motivo un negoziante dovrebbe allora accettare altri sistemi di pagamento sui quali paga delle commissioni? Le commissioni a carico del negoziante, così come il costo annuo delle carte di credito e di debito a carico del correntista, sono un’entrata importante per le banche. Oltre che, ovviamente, per gli intermediari che gestiscono i diversi circuiti di pagamento.

Le banche private perderebbero il loro margine di interesse

E prima ancora, se posso aprire un conto presso la Banca Centrale Europea, perché dovrei depositare i miei risparmi in una qualsiasi altra banca? La tradizionale attività bancaria consiste nel raccogliere il risparmio dalla clientela, per prestarlo a chi ne ha bisogno. La differenza tra quanto una banca paga la raccolta e quanto ricava dagli impieghi è chiamato margine di interesse, ed è una delle voci più importanti nel bilancio delle banche.

Oggi è difficile trovare una banca che non dia un interesse nullo sui soldi depositati sul conto corrente. Se però arriva la “concorrenza” della Bce, che permette anche ai privati di aprire conti, i casi sono due. Il primo è un deflusso di soldi dal sistema bancario privato verso la banca centrale. Il che potrebbe essere un controsenso anche da un punto di vista macroeconomico, visto che la Bce è l’istituzione che immette denaro nel sistema. In particolare gestendo proprio i flussi verso le banche private.

Il secondo caso, per evitare tale deflusso verso la Bce, è invece che le banche private inizino a remunerare la raccolta. Ovvero a garantire dei tassi di interesse ai correntisti per attrarre i loro depositi. Dopotutto, una banca privata è comunque più rischiosa di una banca centrale. E per compensare il maggiore rischio i clienti vorrebbero vedersi accreditato qualcosa in cambio.

E potrebbero aumentare i tassi scaricando i costi su imprese e famiglie

Uno studio di Mediobanca dell’ottobre del 2023 segnalava che le banche europee potrebbero perdere fino al 20% dei profitti con l’introduzione dell’euro digitale. Le due voci maggiormente minacciate sono proprio il margine di interesse e le commissioni. C’è chi segnala come tali mancati profitti potrebbero poi essere “scaricati” sul sistema economico e produttivo.

Per mantenere intatta la differenza tra interessi attivi e passivi, le banche potrebbero aumentare i tassi su prestiti e mutui che concedono. Penalizzando così imprese e famiglie. Banalizzando, se mi costa di più raccogliere denaro, faccio pagare di più anche il suo utilizzo. L’introduzione dell’euro digitale potrebbe quindi avere impatti negativi sull’insieme dell’economia.

Proprio per questi motivi, la Bce sta studiando dei limiti. Ad esempio si ragiona se mettere un tetto all’importo che un singolo può detenere sul conto in euro digitale. O ancora a dei sistemi di commissioni per i pagamenti, magari retrocedendone una parte alle stesse banche e circuiti di pagamento. Vincoli che appaiono creati in maniera artificiale, se non forzosa. Non ci sono motivazioni tecnologiche né economiche per introdurli, ma unicamente il timore di impatti negativi sul sistema finanziario e a cascata su quello economico.

Ma è lo sviluppo tecnologico, e non l’euro digitale, il vero timore delle banche

Rimane però un dubbio. Come detto, la nascita dell’euro digitale è in buona parte dovuta, o per lo meno ha ricevuto una forte spinta e accelerazione, dallo sviluppo di crypto, stable coins, piattaforme di pagamento e altre innovazioni. Se anche si sospendesse il progetto di euro digitale, non si rischierebbe forse di avere impatti del tutto simili per le banche tradizionali? L’eventuale erosione dei profitti bancari non avverrebbe – almeno in parte – per mano della Bce, ma per la crescita di altri soggetti in grado di sfruttare la digitalizzazione dei servizi finanziari.

In altre parole, l’euro digitale (cosi come le altre Central Bank Digital Currencies) nasce dalla volontà della Bce di rimanere in scia a uno sviluppo digitale e tecnologico dei servizi finanziari che appare lanciato e irreversibile. I timori del sistema bancario – almeno di chi rimane ancorato a sistemi tradizionali – sembrano più legati al rimanere indietro rispetto a tali sviluppi che non all’euro digitale in sé.