Every day is Earth day. Altrimenti la giornata della Terra è inadeguata

La Giornata mondiale della Terra non deve essere solo una celebrazione annuale ma un impegno quotidiano e un monito affinché cambi il sistema

Il mondo dipende dalla natura, eppure continua a distruggerla. La Giornata mondiale della Terra non deve più essere fine a sé stessa © Biletskiy_Evgeniy/iStockPhoto

Ogni giorno dovrebbe essere l’Earth day, la Giornata della Terra… Sì, perché da quando questa giornata di celebrazione del nostro Pianeta e delle minacce che incombono sulla sua salute è stata istituita, le cose non sono andate proprio nella direzione auspicata. Era il 1970 quando le Nazioni Unite, guidate dal birmano Maha Thray Sithu U Thant e su proposta dall’attivista per la pace John McConnell, durante una conferenza dell’Unesco a San Francisco dichiararono il 21 aprile la giornata nella quale si sarebbe dovuto celebrare l’equilibrio della natura. Chiamando i cittadini ad impegnarsi concretamente. Si può dire che quella intuizione è diventata ogni giorno più attuale.

I numeri della distruzione del Pianeta

Certo, ma non si può sfuggire alla cruda constatazione del fallimento di quella mobilitazione. Dopo oltre 50 anni il 32% della superficie forestale mondiale è ormai distrutto. L’85% delle zone umide è scomparso, il 50% dei sistemi di barriera corallina del mondo è scomparso. E c’è stato un calo medio del 60% delle specie di vertebrati. La conservazione della biodiversità, uno degli obiettivi principali della Giornata della Terra, viene continuamente frustrata.

E visto che viviamo in un mondo in cui solo i soldi sembrano contare, possiamo stimare con la Business and Sustainable Development Commission, la Commissione sul business e lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, una perdita secca in termini di Prodotto interno lordo globale del 3% annuo. Un dato secondo soltanto a quello dei conflitti armati, che invece crescono ad un ritmo decisamente più elevato, secondo un report della stessa commissione del 2017. 

Deforestazione nella foresta amazzonica in volo da Manaus a Santarem. Gleba do Pacoval, stato di Parà, Brasile - 20 febbraio 2006 - © Greenpeace / Daniel Beltrá
Deforestazione nella foresta amazzonica in volo da Manaus a Santarem, in Brasile © Greenpeace / Daniel Beltrá

Il legame tra conflitti armati e problemi ambientali

Ogni anno l’Atlante delle Guerre e dei Conflitti si incarica di tenerci edotti di questa triste crescita. Sono due dati in realtà collegati perché non pochi sono i conflitti ambientali. Secondo la rivista scientifica Nature, il clima ha condizionato tra il 3% e il 20% del rischio di conflitti armati nel secolo scorso. E questa quota potrebbe aumentare nei prossimi anni. Anche se riusciremo a limitare l’aumento della temperatura globale a non più di 2 gradi centigradi.

Anche la Commissione europea ha messo in rilievo le connessioni fra conflitti e ambiente realizzando un Atlante Globale dei Conflitti. Per 5 anni, 20 partner internazionali fra università e centri di ricerca indipendenti hanno lavorato su conflitti e giustizia ambientale elaborando un Atlante Globale della Giustizia Ambientale. Assieme a raccomandazioni per la Commissione stessa sulle normative ambientali e la gestione delle risorse: circa 1.600 casi di conflitto in tutto il mondo con implicazioni e/o cause ambientali.

Nella Giornata della Terra si ricordi che economia e salute dipendono dalla natura

Dunque, la Giornata della Terra è drammaticamente attuale. Ma appare quanto meno inadeguata all’obiettivo che si pone. L’economia globale dipende in larghissima parte dalla natura, alla faccia della smaterializzazione di consumi e servizi. Alimentazione, agricoltura, pesca, edilizia, energia, ma anche l’informatica se pensiamo alle terre rare, consumano la Terra e le sue componenti naturali. La stessa farmaceutica, oggi così centrale per la salute degli essere umani. Il 50% di tutti i farmaci da prescrizione si basa su una molecola che si trova naturalmente in una pianta.

Nel trattamento del cancro, il 70% dei farmaci anticancro è un prodotto naturale o sintetico ispirato dalla natura. Inoltre, si ritiene che ad oggi solo il 15% delle 300mila specie di piante stimate in tutto il mondo sia stato valutato per il potenziale farmacologico. Dunque, il collasso degli ecosistemi condizionerebbe negativamente anche la capacità di curarci. Non a caso la resistenza antimicrobica risulta in aumento. Una ulteriore dimostrazione di come l’ipotesi Gaia elaborata da James Lovelock nel 1979 fosse fondata: quello che manca ancora, parafrasando il sottotitolo di quel libro, è un nuovo punto di vista sulla vita sulla Terra.