Fabio Panetta a Bankitalia e la tenuta del governo
Chi è Fabio Panetta, l'economista che succederà a Ignazio Visco diventando il nuovo governatore della Banca d'Italia
Proprio mentre la presidente della Bce Christine Lagarde annuncia un nuovo imminente aumento dei tassi, il Consiglio dei ministri italiani conferma quella che era più di un’indiscrezione, quasi una certezza: dal prossimo primo novembre sarà Fabio Panetta a sostituire Ignazio Visco (in scadenza) alla guida di Banca d’Italia. La concomitanza dei due annunci non è casuale, tra costo del denaro e ratifica del Mes il governo di Giorgia Meloni mostra profonde fratture interne. Al di là delle dichiarazioni di facciata. E sul nome di Panetta si gioca il futuro.
Fabio Panetta, l’ispiratore del “whatever it takes”?
Figlio di un sindaco democristiano della Ciociaria, lauree, master e dottorati in prestigiosi atenei, Panetta entra giovanissimo all’inizio degli anni Ottanta in Bankitalia, dove si fa notare prima da Carlo Azeglio Ciampi e poi da Mario Draghi, di cui diventa uno dei discepoli prediletti. Tanto da seguirlo alla Bce nei giorni che sconvolsero il mondo, quelli della crisi dell’euro. Per molti sarebbe stato proprio Panetta l’ispiratore del “whatever it takes” e delle prime iniezioni di liquidità che sarebbero poi sfociate nel famigerato quantitative easing.
Come Draghi, e a differenza di buona parte della maggioranza al governo, Panetta è un europeista convito. Una colomba attenta alla stabilità dei Paesi meno forti dell’Eurozona certo, tanto che è a lui che si deve la creazione dello scudo anti-spread. Ma, nonostante alcune dichiarazioni estrapolate e rilanciate dalla stampa, per nulla contrario all’aumento dei tassi per combattere l’inflazione. O di sicuro, non tanto quanto il governo che lo ha nominato. E qui i nodi cominciano a venire al pettine.
Affinità e divergenze tra Fabio Panetta e il governo di Giorgia Meloni
Facciamo un passo indietro. Già nelle cronache della scorsa estate, quando tutto lasciava prevedere la vittoria dell’estrema destra alle elezioni, si narravano gli amorevoli afflati intellettuali e politici tra la futura premier Meloni e il rampante economista Panetta. Tanto che il suo nome girava come sicuro ministro dell’Economia, pare anche con il beneplacito presidenziale. Alla fine però Panetta rifiutò, proprio per non bruciarsi le sue chance a Bankitalia. Ma la liaison tra Panetta e Meloni sarebbe continuata per tutto l’autunno, e a ben vedere non si è ancora arrestata.
Sarebbe quindi proprio Panetta, più ancora che Draghi, il famoso consigliere draghiano che avrebbe agevolato, garantito e instradato i passi del primo italiano di estrema destra a un secolo dalla marcia su Roma. E se draghiani sono in parte la stessa Meloni e in toto il sostituto di Panetta a via Venti Settembre, il leghista Giancarlo Giorgetti, non lo sono certo due altri pesi massimi della maggioranza come Matteo Salvini e Guido Crosetto, che pure della premier è altro fidato consigliere, e i loro discepoli. Anzi. Su questo si giocheranno quindi le prossime partite tra Roma e Bruxelles, e la tenuta o meno del governo.
Perché su due delle questioni più importanti sul tavolo oggi, il rialzo del costo del denaro e la ratifica o meno del Mes, il prossimo Governatore si trova schierato con il solo Giorgetti e contro buona parte della maggioranza. E la stessa cosa vale per l’utilizzo dei fondi del Pnrr, su cui Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia, è irremovibile, indipendentemente da chi ci sia alla guida. In tutto questo la premier si trova costretta a fare buon viso a cattivo gioco. E se a livello di dichiarazioni in aula si mostra incendiaria, sa benissimo lei per prima che per sopravvivere deve accettare e ratificare.
La durata del governo a Roma dipende da quello che succede a Bruxelles
Ma non è finita qui, perché sulla nomina di Panetta si misurerà anche la rispettabilità del Governo in Europa. Il futuro governatore è infatti oggi membro del board della Bce, posto fondamentale per il sistema Paese, e che ora dovrà lasciare. E non è detto che a Bruxelles decideranno che a sostituirlo sarà ancora un italiano. Anzi, a dirla tutta, è probabile che il posto andrà a un italiano o meno proprio in base a come il governo risponderà su tassi, Mes, Pnrr e via dicendo.
E se a partire dalle alchimie o dagli strappi interni al governo si stabilirà l’importanza e la considerazione del Paese in Europa, lo stesso accadrà in direzione contraria. Sarà a seconda di quello che succederà Bruxelles che si capirà quanto potrà durare il governo a Roma. Perché hai voglia a legiferare sul ritiro della patente per chi guida dopo essersi fatto una canna, le elezioni e la tenuta di una maggioranza politica dipendono sempre e solo da una cosa. Come disse una volta un consigliere di Bill Clinton, alla fine di tutto: «It’s the economy, stupid».