Il fattore Maldini, il calcio che cambia e la finanza che imperversa
Il caso di Paolo Maldini esemplifica la trasformazione del calcio, come spiegano Lorenzo Maria Alvaro e Paolo Venturi ne "Il Fattore Maldini"
I dieci giorni che hanno sconvolto il Milan sono cominciati con il licenziamento di Paolo Maldini e sono proseguiti con l’addio di Ibrahimovic, la morte di Berlusconi e la vendita di Tonali, il giovane calciatore tifoso, il capitano del futuro, colui che di Maldini avrebbe raccolto l’eredità. Ma quello che è successo non è stato un semplice restyling societario o di campo, come avvengono ogni estate nel calcio. Quella che è avvenuta è stata una profonda mutazione antropologica.
Un conflitto insanabile tra due culture diverse
Più e meglio degli altri avvenimenti, è il licenziamento di Paolo Maldini – bandiera rossonera, da giocatore 25 anni e 26 trofei vinti indossando sempre e solo la maglia rossonera, da dirigente capace in pochi anni di regalare un inaspettato scudetto e una semifinale di Champions League – avvenuto in modo assai brusco e con uno scarno comunicato di quattro righe, a rivelare cosa c’è in ballo. Un vero e proprio scontro di civiltà calcistico.
Un conflitto insanabile tra «due antropologie opposte. Due culture diverse. Due modelli di costruzione del valore diversi. In un primo tempo sembrava potessero “convergere”. Oggi certifichiamo che questo non è potuto accadere perché sono due mondi incompatibili. Non si tratta di essere manichei, è oggettivo come al centro ci siano categorie di valore diverse e soprattutto personalità che non accettano mediazioni».
Come scrivono in un agile libro (“Il Fattore Maldini“, scaricabile liberamente qui) il giornalista Lorenzo Maria Alvaro e Paolo Venturi, direttore di AICCON, il Centro Studi promosso dall’università di Bologna, dall’Alleanza delle cooperative italiane e da numerose realtà operanti nell’ambito dell’economia sociale.
I fondi acquistano per rivendere. E guadagnarci
Da un parte c’è Paolo Maldini appunto, la leggenda che grazie alla sua personalità e al suo carisma aveva convinto Teo Hernandez a scegliere il Milan, Ibra a rinnovare, Tonali a ridursi lo stipendio per restare dopo un primo anno al di sotto delle sue possibilità. Tutto grazie alla “reputazione” del capitano, e a tutto il portato simbolico che essa conserva. A quei valori “intangibili” che gli autori ricordano essere «elementi che non appartengono solo alla sfera sentimentale o simbolica, ma economica».
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Dall’altra Gerry Cardinale, il gestore del fondo RedBird, uno degli innumerevoli fondi sovrani o di private equity che si sta appropriando dello sport globale. Un conglomerato finanziario che gestisce soldi non suoi e che acquista una società con il dichiarato scopo di rivenderla ottenendo un guadagno per i suoi investitori, tramite una crescita sportiva, economica o tramite un differenziamento degli investimenti. Vedi la questione della costruzione di nuovo stadio.
Ma non è finita qui. Perché la decisione di licenziare Maldini (e il suo braccio destro Ricky Massara) «sta in una visione di valore utilitaristico che vede Maldini come un ostacolo (visto il suo valore intrinseco e simbolico)». Ecco allora che i suoi sostituti, il nuovo amministratore delegato Giorgio Furlani e il capo scouting Geoffrey Moncada, dovranno operare in modo diverso. Ovvero non più attraverso l’aura benjaminiana dell’opera d’arte Maldini, ma secondo la legge dei numeri.
Il metodo “moneyball” e la legge dei numeri
Come era stato scritto anche qui su Valori, Cardinale si rifà infatti al metodo “moneyball”. Un metodo “data-driven”, ovvero basato sull’analisi complessiva di tutti i dati a disposizione di tutte le partite e di tutti i campionati di un determinato sport. Una metodologia che grazie ai numeri e agli algoritmi dovrebbe permettere di scegliere il giocatore più funzionale all’interno del gruppo squadra. E che se potrebbe funzionare negli sport americani – anche se è tutto da dimostrare – non è detto funzioni nel calcio, dove per ora gli esempi sono molto pochi e limitati.
Un vero e proprio conflitto di civiltà calcistico in cui, ci tengono a sottolineare gli autori, «non c’è uno scontro fra un “luddista” e un “nerd”, ma fra due visioni opposte del calcio e del valore che deve generare». Perché entrambe le visioni in gioco sono in fondo visioni economiche. Da una parte quella di Gerry Cardinale «imprenditore rampante che viene dalla finanza e formatosi nelle business school, che ha assunto la responsabilità di un fondo di private equity nato per creare valore ossia profitto». In un nuovo calcio dove «con l’avvento dei fondi di private equity il tema è diventato comprare bene e uscire valorizzando al massimo la propria quota. Comprare e poi rivendere è un processo ormai fisiologico».
La logica della finanza e rischi corsi dai fondi
Ma questa visione potrebbe essere assai rischiosa, e contenere diverse controindicazioni. Perché «la patologia connessa a tutto ciò è quella di vendere quando hai bruciato gran parte del valore». Quello che si brucia è infatti più di una leggenda. «Maldini è un asset, un patrimonio, che alimenta la fede rossonera, la tiene viva e che conferisce valore a tutte le organizzazioni in cui opera».
Un asset che genera valori materiali. «La tifoseria è sensibile ai risultati, ma anche alla storia, all’identità, alle bandiere. La fede sportiva si affievolisce quando la storia ed il “blasone” vengono mortificati. Per il tifoso l’appartenenza è un pezzo rilevante della propria persona. E quando una squadra perde dignità per questione societarie paga un prezzo più alto rispetto alle sconfitte sportive […] Sono elementi che non appartengono solo alla sfera sentimentale o simbolica, ma economica».
Solo il tempo ci dirà quale di queste due visioni avrà futuro. Per adesso l’unica certezza è che Maldini è stato licenziato. E che a pochi anni dalla fine del trentennio berlusconiano, che già aveva operato una importante rivoluzione economica e sentimentale nel mondo del calcio, è toccato ai tifosi del Milan trasformarsi, loro malgrado, nel campo di battaglia dove avviene questo scontro di civiltà calcistico.