Finanza sostenibile: l’Europa corregge il tiro. Non è ancora “sociale”, ma è molto più green

Approvato il pacchetto sulla finanza sostenibile. Niente da fare per gli aspetti sociali, argomento rimandato al 2021. Ma almeno carbone, petrolio e nucleare sono esclusi

Una manifestazione di Greenpeace contro il carbone a Berlino nel 2017

Un impianto nucleare, una miniera di carbone o una piattaforma petrolifera non possono essere definite attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale. Considerando quanto questi comparti inquinano, può sembrare una conclusione ovvia. Ma non è così.

Il Parlamento Europeo lo ha sancito solo ieri (il 28 marzo), quando, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, si è trovato ad approvare (o meno) un pacchetto di misure che definiscono la finanza sostenibile in Europa (la cosiddetta “tassonomia”). Nel precedente testo (avvalorato solo due settimane fa dalla commissione per gli Affari economici e quella per l’Ambiente dell’Europarlamento) queste attività superinquinanti non erano state affatto escluse dalla definizione di economia sostenibile.

Ma il mondo della finanza sostenibile, le Ong ambientaliste, diversi partiti europei hanno fatto carte false per far escludere tali settori tutt’altro che green da quella che voleva essere la definizione delle attività “amiche dell’ambiente”. Grazie agli emendamenti presentati da Verdi, Socialisti & Democratici, GUE (sinistra), EFDD (M5S) una parte di ALDE, il testo finale ha recepito alcune alcune di queste raccomandazioni .

E fin qui le buone notizie. Purtroppo ce ne sono anche di cattive.

Finanza sostenibile senza l’elemento sociale

Gli sforzi delle lobby della finanza etica e sostenibile non sono bastati: nella definizione di economia sostenibile (e quindi anche di investimenti responsabili) approvata dall’Europarlamento non compaiono requisiti sociali. Non è passato l’emendamento che chiedeva di misurare non solo gli impatti ambientali, ma anche quelli sociali, in senso ampio, degli investimenti.

La finanza sostenibile, che l’Europa ha individuato come strumento fondamentale per orientare i capitali degli investitori verso le aziende che permettano una transizione a un’economia che permetterà di salvare l’ambiente, non considera fattori sociali. E neanche elementi come la speculazione e l’evasione (o elusione) fiscale.

Paradossalmente, quindi, in base alla normativa europea potranno essere considerate “sostenibili” aziende che rispettino gli standard ambientali, ma che violino i diritti dei propri lavoratori. Il testo approvato dall’Europarlamento prevedo “solo” che le aziende su cui investe la finanza sostenibile debbano rispettare le convenzioni Onu e Ocse sulla tutela dei diritti umani dei lavoratori. Un’indicazione generica secondo molti, che lascia adito a numerose possibili violazioni.

“Bocciata”, o meglio rinviata a una futura discussione nel 2021, anche un’altra delle richieste arrivate dal mondo della finanza etica, e non solo: quella di introdurre una definizione di cosa debba essere considerato “non sostenibile” e quindi escluso dalla definizione di economia sostenibile.

«Poteva andare certamente meglio, ma possiamo dire di aver portato a casa un risultato importante come l’esclusione del carbone dal campo degli investimenti sostenibili», commenta a caldo l’europarlamentare Simona Bonafè dei Socialisti & Democratici. «Non solo: abbiamo anche evitato che fossero inserite eccezioni in bianco per determinate tipologie di prodotti finanziari. È fuori dubbio che resti ancora molto da fare. E mi riferisco in particolare alla cosiddetta dimensione sociale degli investimenti. Possiamo comunque dire che il regolamento approvato costituisce un primo passo verso una finanza sostenibile che non significa solo sostenibilità ambientale, ma un’idea più ampia di futuro, di sviluppo ed equità sociale».

Soddisfazione a metà per il mondo della finanza etica

«Non possiamo essere soddisfatti rispetto al valore e alla richiesta di coerenza che da 20 anni promuoviamo con la finanza etica», commenta a Valori.it Ugo Biggeri, presidente di Banca Etica. «L’idea della finanza etica presuppone un cambiamento radicale in cui ambiente e sociale diventano obbiettivi strategici dell’attività finanziaria e non sono relegati a prodotti più o meno bene fatti e più o meno marginali rispetto all’intera attività delle istituzioni finanziare che li promuovono.

Però pragmaticamente siamo soddisfatti di essere riusciti ad ottenere dei risultati e dei cambiamenti rispetto alle proposte iniziali, anche se si è persa l’occasione di valorizzare la componente sociale della sostenibilità».

«Con questo regolamento possiamo orientare il mercato finanziario privato verso investimenti più sostenibili – aggiunge Simona Bonafé – Chi decide dove investire i propri soldi deve avere informazioni attendibili e trasparenti sull’impatto ambientale e sul grado di sostenibilità delle attività economiche su cui vertono i prodotti finanziari. Insomma sarà più difficile proporre come verde, quel che verde non è. E si potrà così dare maggiore visibilità a quelle realtà che appunto puntano “davvero” sulla sostenibilità».

Una finanza responsabile un po’ annacquata

Ma che concetto di finanza responsabile etica esce dal testo approvato dal Parlamento europeo?
«Il principale valore è che si riconosce che la finanza non è e non può essere neutrale rispetto ai temi sociali ed ambientali: è una svolta culturale fondamentale», risponde a Valori Ugo Biggeri. «Ovviamente le decisioni prese apriranno spazio a una crescita di prodotti sostenibili che si baseranno su criteri più blandi, ma che ridefiniranno il senso stesso della parola sostenibilità in finanza. Per il gruppo Banca Etica significherà dover valorizzare la differenza tra finanza etica e finanza sostenibile e dimostrare di essere ancora pionieri nell’innovazione della finanza etica e non solo».

E adesso?

Le misure varate dal Parlamento Europeo dovranno essere approvate dal Consiglio Europeo composto dai capi di Stato e di Governo degli Stati membri. Ma solo dopo le elezioni europee di fine maggio.

Ci sono margini di manovra per “migliorare” il regolamento?

«Purtroppo siamo alla fine della legislatura e quindi tutto sarà demandato al prossimo Parlamento – spiega Simona Bonafè – ma confido che di fronte ai cambiamenti climatici, allo scarseggiare di materie prime, alla pressione dell’opinione pubblica sul tema e agli indici economici e sociali non proprio confortanti di tutta la zona euro, si prenderà coscienza che non ci sono alternative e che l’unico percorso da intraprendere è quello di un modello di sviluppo sostenibile, che passa obbligatoriamente da investimenti sostenibili».

«Fino a pochi anni fa le istituzioni non si occupavano di finanza sostenibile e il fatto che oggi l’Europa sia sul punto di varare un piano d’azione globale è indubbiamente una buona notizia – commenta Ugo Bigger – Avremmo sperato in interventi più radicali e coraggiosi, che puntassero anche su criteri per escludere la speculazione finanziaria o l’evasione fiscale. Di certo non smetteremo di far sentire la nostra voce insieme a quella dei network della finanza etica come Gabv, Febea e Finance-Watch e a quella di tante persone e organizzazioni della società civile».