La finanziarizzazione della casa: cos’è e perché ci riguarda
La finanziarizzazione della casa incide sul nostro accesso ad un bene primario. Sia nel caso dei mutui che degli affitti
Cosa c’entra la casa con la finanza e il capitalismo globale? La cattiva notizia è che, purtroppo, c’entra eccome. A cominciare dal mutuo che devi finire di pagare o di quello che nessuno ti vuole concedere. Dall’affitto che diventa sempre più alto mangiandosi via via il tuo stipendio o da quelli per te proibitivi che ti costringono a restare a casa dai tuoi. Dagli avvisi di sfratto per morosità, fino alla mancanza di alloggi a prezzi popolari.
La crisi della casa è una delle facce con cui troppo di frequente bussa alla nostra porta il capitalismo finanziario. Se vogliamo tenerlo fuori dalla casa e dal nostro diritto all’abitare, bisogna però, prima di tutto, conoscerlo.
Fabrizio Barca
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Iniziamo dalle basi: cos’è la finanziarizzazione della casa?
Per “finanziarizzazione” si intende quell’insieme di processi attraverso cui mercati ed attori finanziari assumono un ruolo predominante nel sistema economico e sociale. Una delle conseguenze primarie delle pratiche di finanziarizzazione è la riduzione di un numero crescente di beni primari e collettivi a quel tipo di merce scambiata nei mercati che sono i titoli finanziari.
La casa, e con lei il diritto fondamentale ad un alloggio adeguato (come sancito dall’art.11 della Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 3 gennaio del 1976 e sottoscritta anche dall’Italia), rappresenta una delle prime e più importanti merci a finire sui tavoli da gioco del casinò finanziario. Nella sfera dell’abitare, l’estrema mobilità, velocità e immaterialità della finanza globale si traducono nello sfruttamento del concreto spazio fisico, domestico e urbano, come infrastruttura essenziale del funzionamento del capitalismo.
Nei vent’anni precedenti alla crisi del 2008 il trionfo della finanziarizzazione della casa
Il ventennio precedente alla crisi finanziaria globale del 2008 ha visto il trionfo della prima grande ondata di finanziarizzazione della casa, basata sull’ideologia neoliberista e su quello che ne aveva rappresentato un elemento centrale di consenso: la casa di proprietà. Uno degli ingredienti fondamentali della controrivoluzione neo-conservatrice dalla fine dagli anni Settanta, con il Right to buy della Thatcher, è stato il progressivo taglio alla spesa dedicata all’abitare e la messa in vendita del patrimonio immobiliare pubblico lasciato in eredità dal dopoguerra. Quando bisognava far fronte in tempi rapidi alle esigenze della ricostruzione delle città e del tessuto industriale, con la conseguente domanda di alloggi.
Espandere gli incentivi fiscali e strumenti di finanziamento, unitamente alla garanzie statali, per ampliare l’accesso alla proprietà da parte della classe media, svuotando e privatizzando il patrimonio immobiliare pubblico, diventa dagli anni Ottanta una priorità politica, dall’Europa agli Stati Uniti.
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Dai due lati dell’Atlantico si affinano e moltiplicano in quegli anni le tecniche di cartolarizzazione dei mutui. Che consistono in sostanza nel trasferire un prestito concesso da una banca (come il ripagamento di un mutuo) fuori dal suo bilancio. E nel combinarlo insieme ad altri prestiti, a seconda dei livelli di rischio e degli interessi previsti. Così da dar vita a un nuovo titolo finanziario da poter scambiare nei mercati. Ovvero i famigerati mortgage-backed securities, titoli garantiti da mutui. In questo modo le banche si ritrovano meno prestiti nel proprio bilancio (con meno capitale da accantonare in garanzia, come chiesto dai regolamenti di Basilea) e con maggiore possibilità di concedere altri mutui e di fare profitti dalla vendita di questi titoli “impacchettati”.
Lo sviluppo dei mercati delle cartolarizzazioni
Lo sviluppo dei mercati delle cartolarizzazioni è stato il motore dell’espansione dei mutui, al centro di quello che è stato definito un Keynesismo privatizzato. Ovvero la sostituzione della spesa e indebitamento dello Stato nell’economia e nel sistema di welfare con l’indebitamento dei cittadini e un welfare privatistico legati a doppio filo ai mercati finanziari. Un sistema che prometteva la proprietà e l’arricchimento individuale, mentre rendeva le classi medie e basse soggette alla speculazione predatoria.
La forma più emblematica raggiunta da questo sistema di “welfare finanziarizzato”, la stessa poi che lo avrebbe fatto implodere, è rappresentata dai famosi mutui subprime. Mutui concessi senza chiedere alcuna garanzia al sottoscrittore e poi immessi nel mercato per disperderne il rischio. Spingendo l’aumento generale dei prezzi immobiliari e gonfiando la bolla immobiliare.
Dietro al sogno neoliberale della “proprietà” l’incubo del debito insostenibile
Lo scoppio della crisi nel 2008 avrebbe rivelato come dietro il sogno neo-liberale della “proprietà” si nascondeva l’incubo del debito insostenibile, del pignoramento e dello sfratto. L’ondata di finanziarizzazione trainata da mutui e cartolarizzazioni in Europa si infrangeva così in quegli anni nelle centinaia di migliaia di sfratti e oltre 10 milioni di famiglie in grave disagio abitativo nel 2012. Mentre nello stesso periodo più di mille miliardi di euro venivano usati per il salvataggio delle banche, innescando la lunga (e per certi versi mai conclusa) crisi dell’Eurozona.
Lungi dal mettere un punto, la fine della prima grande ondata di finanziarizzazione con la crisi del 2008 avrebbe solo aperto le porte a quella che diversi studiosi definiscono una “finanziarizzazione della casa 2.0”. Anche in questo caso, la sfera dell’abitare e le sue dinamiche di finanziarizzazione riflettono una trasformazione più ampia del neoliberismo in senso, se possibile, ancor più regressivo. Come il fragile e insostenibile compromesso del keynesismo privatizzato ha lasciato il passo all’austerità “espansiva” ed un’accelerazione nella precarizzazione del lavoro, così il sogno di una inclusiva “società di proprietari” si restringe sempre di più. Lasciando largo a una nuova “generazione in affitto” (la Generation Rent).
Le classi medio-basse hanno sempre minore capacità di accedere a una casa di proprietà
Quello a cui si è assistito negli ultimi dieci anni in gran parte dei Paesi europei è la sempre minore capacità per le classi medio-basse di accedere a una casa di proprietà. Con un parallelo aumento del mercato degli affitti privati (e dei loro prezzi). A cosa è dovuto? Le ragioni sono diverse. Da una parte, dopo la crisi del 2008, sono diventate generalmente più stringenti le condizioni per ottenere un mutuo.
Allo stesso tempo, con l’intervento dei governi nel salvataggio delle banche e nel rilancio del settore delle costruzioni, i prezzi delle case sono tornati a salire. E molto più in fretta dell’aumento dei salari (che in Italia, ad esempio, è rimasto al palo da trent’anni). Insieme all’arretramento dei salari, sullo sfondo, l’aumento generalizzato della precarizzazione e mobilità del lavoro hanno gradualmente eroso le prime condizioni economiche e sociali dell’espansione della proprietà. Mentre l’accesso a un mutuo diventava sempre più proibitivo, la disponibilità di alloggi sociali e a prezzi calmierati si andava assottigliando, attraverso tagli al welfare e la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico.
Il mercato degli affitti privati terra di conquista dei grandi attori finanziari
Schiacciati da mutui inaccessibili e un’edilizia sociale sempre più ridotta all’osso, non resta che il mercato degli affitti privati. Che nel frattempo è diventato terra di conquista dei grandi attori finanziari e del capitalismo delle piattaforme nel settore immobiliare. Da un lato un gigante della sharing economy come AirBnb, che sottrae case e appartamenti agli affitti a lungo termine, facendone impennare allo stesso tempo i prezzi e imboscando poi il bottino nei paradisi fiscali. Dall’altro, accanto ai fondi di investimento tradizionali, negli ultimi dieci anni hanno acquisto un’influenza sempre maggiore società specializzate in investimenti e gestione dei beni immobiliari. Fra cui spiccano i REIT (Real Estate Investment Trusts).
Cresciuti sulle spoglie degli sfratti, pignoramenti e svendita del patrimonio edilizio dopo la crisi del 2008, che hanno acquisito e gestito su spinta dei governi per liberare i bilanci delle banche dai quei crediti immobiliari deterioriati, queste società vanno controllando fette sempre più ampie del mercato degli affitti in particolare nelle grandi città. A differenza dei fondi di investimento che acquistano case per rivenderle a un prezzo maggiore in breve tempo, queste società adottano strategie di lungo termine basate sulla rendita da affitti, controllandone l’offerta in modo da spingere in alto i prezzi e contribuendo alla gentrificazione di interi quartieri e alla marginalizzazione delle classi meno abbienti.
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Un’inedita ondata di mobilitazioni attraversa l’Europa
Contro questa nuova finanziarizzazione dell’abitare e la cronica carenza, ormai strutturale, di alloggi a prezzi accessibili, un’inedita ondata di mobilitazioni sta attraversando l’Europa negli ultimi anni, da Berlino ad Amsterdam, fino a Barcellona. Una lotta che inizia a dare i suoi frutti in quelle città, come l’introduzione di limiti più stringenti all’aumento degli affitti, l’obbligo per i proprietari di affittare gli appartamenti vuoti e il freno posto all’acquisto di immobili da parte delle società immobiliari e grandi proprietari (ad Amsterdam).
Fermare la finanziarizzazione della casa e costruire un modello alternativo che metta al centro il diritto all’abitare non è solo sempre più necessario e urgente: è anche possibile da realizzare, come queste lotte ci insegnano.