I fondi europei “green” che investono nel carbone

Alcuni fondi di investimento europei, pur rispettando i criteri per definirsi green, finanziano la crescita del carbone nel resto del mondo

Una miniera di carbone © 6381380/iStockPhoto

Le più grandi imprese del carbone al mondo godono di massicci investimenti da parte di fondi europei che si presentano come “green”. Questi gli esiti di un’indagine di Climate Home e altri partner. Al centro dell’inchiesta la partecipazione di numerosi investitori dell’Unione europea al rilancio del settore carbonifero. C’è anche Fideuram, controllata di Intesa Sanpaolo. Interrogati, gli asset manager (quelli che rispondono) raccontano di essere perfettamente in linea con gli obiettivi di sostenibilità stabiliti a livello europeo.

Quali sono i fondi europei “green” ancora legati al carbone

I fondi europei che si presentano come “green” investono complessivamente almeno 65 milioni di euro in imprese inquinanti. A beneficiarne sono le compagnie del carbone di Cina, India, Stati Uniti, Indonesia e Sudafrica. Tutte insieme, emettono ogni anno 1.393 milioni di tonnellate di CO2. Se fossero uno Stato, sarebbero il quinto più grande inquinatore al mondo.

Chi sono questi investitori? Si tratta di big come BlackRock, Goldman Sachs e Fideuram, controllata di Intesa San Paolo. Tutti, nel 2021, avevano aderito alla Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ). L’impegno condiviso era quello di allineare i propri portafogli a investimenti che non danneggiassero il clima. Nonostante gli esiti della Cop26 di Glasgow, che prevedevano un phase down (rallentamento) del carbone, in questi anni la sua capacità globale ha continuato a crescere. Paesi come Cina, India e Indonesia hanno potenziato la propria flotta di centrali anche grazie al contributo dei fondi europei che si presentano come green.

Tutto secondo le regole

I fondi oggetto dell’indagine sono disciplinati dalla Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR). Il testo li definisce «light green» (articolo 8) o «dark green» (articolo 9). In particolare, un fondo ai sensi dell’articolo 8 «promuove le caratteristiche ambientali e sociali», senza ulteriori specifiche. I prodotti disciplinati dall’articolo 9, invece, hanno come obiettivo gli «investimenti sostenibili».

In teoria, il regolamento avrebbe l’obiettivo di chiarire la direzione degli investimenti dei gestori patrimoniali, così da tutelare risparmiatori e pensionati da investimenti dannosi per il clima. In pratica, una serie di fondi europei riesce a stare perfettamente nelle definizioni stabilite e investire, al contempo, in imprese che hanno il proprio core nel carbone. Le autorità europee di vigilanza (ESA) hanno denunciato questo effetto collaterale, affermando il pericolo di greenwashing.

Il carbone sostenuto dai fondi d’investimento green europei

Tra le società che stanno beneficiando di questi investimenti ci sono i principali produttori indiani e cinesi, Coal India e China Shenhua. Insieme a loro, i produttori di energia dal carbone: NTPC in India e China Resources Power Holdings in Cina. Anche l’Indonesia ha però la propria quota di finanziamenti, incassati da Adaro Energy. Imprese che, nonostante la crisi climatica, stanno tutte pianificando ulteriori espansioni. Progetti di crescita non necessari, come stabilito già dall’Agenzia internazionale per l’energia che sul punto è stata molto chiara: non sono necessarie centrali né miniere, né c’è bisogno di espandere quelle esistenti. Soprattutto se l’obiettivo resta la decarbonizzazione dell’energia entro il 2050.

I grandi produttori di carbone fanno orecchie da mercante. L’India resta il primo Paese, con una produzione annua che supera i 773 milioni di tonnellate. L’ultimo anno ha visto raddoppiare la quota di carbone utilizzato. Complici le ondate di calore, è schizzato il consumo di aria condizionata e con questo la domanda energetica. L’ambizione del Paese è quella di raggiungere la cifra tonda di un miliardo di tonnellate entro il 2025-2026. Per arrivarci, scaverà nuove miniere ed espanderà quelle esistenti: progetti che al momento contano anche sui fondi d’investimento europei. Proprio Coal India nell’ultimo rapporto annuale ha dichiarato che le pressioni internazionali per rispettare l’Accordo di Parigi sono una delle principali minacce alle sue attività.

Anche Cina Shenhua ha l’obiettivo di arrivare a investimenti per un miliardo di dollari entro quest’anno. Le sue 353 pagine di report annuale del 2023 menzionano solo 6 volte la locuzione «climate change». In gran parte dei casi, esprimendo l’intento di «tener d’occhio i cambiamenti climatici» per migliorare l’uso pulito del carbone.

Quali fondi, quali soldi?

I fondi europei individuati da Climate Home come partecipanti agli investimenti nella produzione di carbone sono tre. C’è Fideuram, emanazione di Intesa Sanpaolo, AllianceBernstein, con sede negli Usa, Mercer, controllata del grande broker assicurativo Marsh McLennan. Gli investimenti di Fideuram superano i 16 milioni di dollari, nonostante la politica di esclusione del carbone che il fondo professa. L’obiettivo green che persegue è non fornire investimenti a società «che derivino almeno il 25% dei loro ricavi» dal carbone.

Nonostante quanto dichiarato, la controllata della più grande banca italiana investe in almeno sei grandi compagnie carbonifere. Il fondo non ha fornito risposte a Climate Home che riporta una nota scritta per cui «gli investimenti in settori ad alte emissioni di CO2 non sono in conflitto con gli obiettivi della SFDR, che riguardano la trasparenza degli investimenti di sostenibilità, né con l’Accordo di Parigi, che promuove una transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2». Anche Mercer sposa la stessa linea argomentativa, dichiarando alla testata di non investire in fondi che derivano più dell’1% delle proprie entrate dal carbone. E, quindi, di non violare gli impegni SFDR. Bernstein non ha risposto alla richiesta di commenti.

Dal carbone all’acciaio: dove vanno a finire i soldi dei fondi green

Alcuni fondi che si presentano come green, in effetti, non hanno investimenti diretti nella produzione energetica derivata dal carbone. In molti casi, a godere dei finanziamenti è il settore siderurgico: i soldi dei risparmiatori finanziamo imprese che producono coke o met (carbone metallurgico) per la produzione di acciaio.

I fondi articolo 8 di Goldman Sachs finanziano con diversi milioni di dollari il più grande produttore europeo di carbone da coke, Jastrzebska Spolka Weglowa, e il colosso cinese Shanxi Meijin. Anche BlackRock investe nel SunCoke di Warrior Met (in Alabama) e di Shanxi Meijin. Mentre quest’ultimo fondo ha giustificato a Climate Home le proprie politiche con la tutela degli interessi degli investitori, da Goldman Sachs non c’è stato nessun commento. Nel frattempo in Europa si è aperto il dibattito sulla necessità di modificare la SFDR e ridefinire cosa voglia dire «investimento sostenibile».