Fondi sostenibili, l’Unione europea prepara una rivoluzione?
La consultazione lanciata dalla Commissione di Bruxelles sui fondi sostenibili potrebbe portare anche all’addio alla classificazione attuale
L’Europa si prepara a dire addio alla classificazione attuale dei fondi d’investimento sostenibili dal punto di vista ambientale? È ancora presto per dirlo, ma è chiaro che qualcosa bolle in pentola. Parliamo degli standard stabiliti dal regolamento Sustainable Finance Disclosure Regulation (SFDR). Che distingue tra i fondi “articolo 8” (light green, ovvero che promuovono caratteristiche ambientali e sociali, ma collocano denaro anche in attività di altro tipo) e “articolo 9” (dark green, ovvero i più verdi, in linea teorica).
A gennaio, tale distinzione è diventata più stringente. Con il risultato che circa il 40% dei fondi della seconda categoria è passata all’articolo 8. Un’ecatombe. Anche per questo, la Commissione europea ha lanciato una consultazione nel settore, che si concluderà il prossimo 15 dicembre. E in gioco ci sono numerose “piste” per una riforma. Compresa quella dell’abbandono totale della classificazione, entrata in vigore due anni e mezzo fa.
Cambiamenti in vista per la classificazione dei fondi sostenibili
Una possibilità inaspettata per la maggior parte degli attori del settore. Era in effetti difficile attendersi un’ipotesi così drastica. Eppure, la consultazione evoca in effetti l’idea di adottare un approccio totalmente nuovo. La formulazione della Commissione è la seguente: «In tale scenario, concetti come quelli legati agli standard sociali e ambientali, all’investimento responsabile e alla distinzione tra fondi articolo 8 e articolo 9 potrebbero scomparire».
Ma per fare spazio a cosa? Secondo quanto indicato dalla stampa internazionale, l’obiettivo sarebbe di allargare le maglie delle classificazioni. Avvicinandosi all’approccio della Financial Conduct Authority britannica, meno stringente.
Quali sono le criticità della SFDR
È utile ricordare che, in maniera generale, i fondi articolo 8 devono fornire informazioni chiare sulle loro politiche di investimento sostenibile e sul modo in cui prendono in conto i criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nel loro processo di selezione degli investimenti. I fondi articolo 9, invece, investono nelle società allineate alla tassonomia dell’Unione Europea delle attività economiche considerate sostenibili. Quelli articolo 6, infine, non sono considerati conformi agli standard ambientali, sociali e di governance.
Tuttavia, esistono alcune “zone grigie” (o verde sbiadito, bisognerebbe dire). A cominciare dalla stessa definizione di investimento sostenibile, troppo spesso oggetto di interpretazioni. La stessa commissaria europea per i Servizi finanziari, l’irlandese Mairead McGuiness, alla fine dello scorso anno, pur affermando come fosse “prematuro” considerare fallito il tentativo di classificazione discendente dagli articoli 8 e 9, aveva ammesso le grandi “difficoltà di interpretazione” dei mercati.
Altre ipotesi sul tavolo passano per l’imposizione a tutti i fondi di una sorta di “punteggio di trasparenza” in materia di sostenibilità. Oppure si potrebbe optare per una moltiplicazione delle categorie, per ovviare alla situazione attuale. Ovvero una definizione considerata troppo “larga” sotto l’ombrello dell’articolo 8, e troppo “stretta” per quanto riguarda invece l’articolo 9.
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«In generale ci sembra prematuro e incauto commentare in questa fase. Auspichiamo, però, che il percorso intrapreso dalla Commissione europea verso la sostenibilità e la trasparenza possa continuare, magari con norme di più semplice interpretazione e condivise a livello comunitario. Riteniamo, infatti, che ci siano margini di miglioramento nella regolamentazione, per fornire ai risparmiatori chiarezza e coerenza sul tema al fine di fare scelte sempre più consapevoli. Di alcuni aspetti di questo percorso, come per esempio la cosiddetta tassonomia sociale, dopo un’iniziale accelerazione, si sono perse le tracce», osserva Roberto Grossi, vice-direttore generale di Etica Sgr.
Secondo l’organizzazione non governativa Finance Watch, «è importante chiarire la nozione di investimento sostenibile, anche se ciò richiederebbe la riapertura dell’SFDR. La flessibilità concessa dalla Commissione permette infatti di adottare metodologie molto diverse tra loro. Che comportano una grande disparità tra prodotti con la stessa classificazione SFDR e che dichiarano lo stesso livello di investimento sostenibile». Di conseguenza, l’SFDR attuale «apre la porta a pratiche di greenwashing».