Francia e Cina: il segnale politico sul clima che arriva dopo la Cop30

Dopo la Cop30, la dichiarazione Francia–Cina rilancia multilateralismo, rinnovabili e interessi strategici. Un segnale politico che va oltre il negoziato Onu

Antonio Piemontese
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Antonio Piemontese
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Francia e Cina – o Cina e Francia, sarebbe ora di imparare a cambiare prospettiva per comprendere meglio il mondo che ci circonda – hanno diffuso una dichiarazione congiunta di impegno nella lotta ai cambiamenti climatici. Il documento arriva al termine della visita del presidente francese Emmanuel Macron a Pechino, dal 3 al 5 dicembre scorsi. Si tratta di un testo interessante. Vediamo perché. 

Dopo la Cop30

Qualcuno l’aveva previsto (Jacopo Bencini del think tank Italian climate network): alla Cop30 di Belém le cose migliori sarebbero avvenute fuori dal negoziato Onu. La conferenza non ha dato “titoli” di grido ai giornali, limitandosi a confermare una direzione, quella della scienza, nonostante l’assenza del  secondo maggior inquinatore globale in termini di emissioni di gas a effetto serra, gli Stati Uniti. 

Ma c’è un altro segnale che arriva dal Brasile: la nascita di un gruppo di Paesi desiderosi di scattare in avanti sull’addio ai combustibili fossili. Un gruppo guidato dalla Colombia che si è dato appuntamento a fine aprile 2026 a Santa Marta (proprio nello Stato centroamericano) per parlare di una tabella di marcia per abbandonare gli idrocarburi. 

Alla testa della compagine, che comprende l’Olanda (co-organizzatrice), diversi Paesi europei e molte piccole isole (le prime a finire sott’acqua per il riscaldamento globale) c’è la pasionaria Irene Velez Torres, ministra dell’Ambiente di Bogotà. È stata lei a dare l’annuncio in una conferenza stampa che un giorno – la Storia ha i propri tempi che non sono quelli del giornalismo – potrebbe essere ricordata come uno spartiacque.

Un nuovo fronte sul phase-out? Il gruppo di Paesi che vuole accelerare

Oppure no. Il negoziato delle Nazioni Unite ha tanti difetti, ma si ripete tutti gli anni da tre decadi e ha raggiunto risultati importanti come l’abbassamento della curva del riscaldamento globale dai 4 gradi prima dell’Accordo di Parigi ai 2,8 di oggi. E, in generale, è dotato di procedure chiare e codificate per la risoluzione dei conflitti e delle impasse. Un nuovo appuntamento, al di là delle photo-opportunity, non ha alcuna garanzia di durare nel tempo. Potrebbe esserci una sola edizione, e non sarebbe nemmeno la prima volta. Inoltre, non è dotato di regole: significa, banalmente, che non ci sono meccanismi per prendere decisioni. E come decidere cosa inserire nel documento finale ? Maggioranza? Consensus? In sostanza, si rischia di creare un doppione delle Cop, molto meno efficace.

Non è però il caso di  sottovalutare il segnale. Soprattutto politico. I sostenitori di un cronoprogramma per l’uscita dalle fonti fossili in Brasile erano un’ottantina. Non sono certo la maggioranza globale in termini di popolazione, ma non sono neanche una goccia nell’oceano. Ed è questa una delle eredità di Belém: qualcosa cova sotto la cenere. 

Cosa dice la dichiarazione congiunta tra Francia e Cina sul clima

Veniamo ora al testo diffuso da Parigi e Pechino e ai punti principali. Il documento è pieno di messaggi subliminali rivolti agli Stati Uniti e a Donald Trump. Si apre con una conferma del multilateralismo e degli accordi nati in seno all’Onu, tra cui il protocollo di Kyoto e l’accordo di Parigi. Proprio quello da cui il commander in chief  si è ritirato per la seconda volta a gennaio (gli stati Uniti dell’era Bush si ritirarono anche da Kyoto).

Che si riaffermi il multilateralismo in un testo bilaterale sembra paradossale, ma ha il significato di scaricare la responsabilità di agire: significa che nessuno ha intenzione di prendersi il mondo sulle spalle. E Pechino, del resto, troppo frettolosamente attesa come leader climatico alla Cop30, in realtà si è nascosta per tutta la conferenza: nessuna intenzione di mettersi alla guida del movimento per il clima, solo una questione di convenienza economica (vende tecnologia green) e strategica (non ha petrolio, quindi le rinnovabili convengono. Inoltre le proteste contro l’inquinamento da smog dei primi anni Duemila hanno messo seriamente a rischio la stabilità del regime).

Transition away, nucleare e rinnovabili: cosa c’è nel testo Francia–Cina

Il “transition away from fossil fuels” che non è entrato nella decisione principale di Belém si ritrova invece qui, assieme a un impegno per le rinnovabili. E come abbiamo visto, non si tratta solo di idealismo, ma anche di interesse economico. La mano francese si vede chiaramente nel ribadire l’impegno a triplicare il nucleare entro il 2050: Parigi dipende fortemente dall’atomo.

Washington riecheggia ancora nel riferimento alla scienza dell’Ipcc, il panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, la cui opera è la base dei lavori delle conferenze Onu sul clima. E che viene spesso attaccato dai negazionisti. Si parla inoltre di proseguire l’impegno sullo shipping sostenibile. Che qualche settimana fa aveva visto gli Stati Uniti bullizzare piccoli Paesi con tattiche di intimidazione, addirittura, personali, secondo quanto riferito da persone presenti. Si menziona, poi, l’Antartide, e si parla di uno «strumento internazionale vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica». Infine, si «considera» la possibilità di darsi appuntamento alla prima metà del 2026 per creare un gruppo di lavoro sulle sfide climatiche e ambientali.

Gutta cavat lapidem: il peso geopolitico dell’intesa Francia–Cina

La goccia scava la pietra, ma in questo caso si tratta di qualcosa di più. Cina e Francia sono partner commerciali, e il commercio (non a caso un tema portante della Cop30) è entrato nel testo della dichiarazione congiunta. I due Paesi affermano di impegnarsi per un sistema economico internazionale «supportive» e «open». Un paradosso per un Paese a economia guidata come la Cina; ma in realtà l’apertura è intesa solo oltreconfine. E infatti Pechino ha criticato il Cbam, la “tassa” europea sulle emissioni applicata alle importazioni, vista come una misura protezionistica unilaterale irrogata con la scusa dell’ambiente.

Insomma, il clima viene usato come merce di scambio su altri tavoli. E non capirlo non consente di  comprendere cosa accade oggi nel negoziato globale. E quali sono le leve da muovere per salvare il mondo dall’aumento delle temperature.  

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