«Soltanto il 50% delle fusioni e acquisizioni è un successo»

Intervista a Audrey Rouziès, docente della School Of Management di Tolosa ed esperta di fusioni e acquisizioni

Audrey Rouzies è docente presso la School of Management di Tolosa. A suo avviso le operazioni di fusione e acquisizione dovrebbero essere «democratizzate»

Le fusioni e acquisizioni troppo spesso vengono effettuate «da un pugno di manager, banchieri e consulenti». Preoccupati più di «chiudere al più presto l’affare» che di gestirlo in modo adeguato. È per questo che «solo nella metà dei casi gli obiettivi annunciati al momento della due diligence vengono effettivamente raggiunti».

Al contrario, sarebbe necessario democratizzare i negoziati, coinvolgere i lavoratori e i loro rappresentanti, ascoltare i quadri, ragionare sui costi sociali. Audrey Rouziès è docente di Strategia aziendale presso la School Of Management di Tolosa ed esperta di mergers and acquisitions (M&A). Il suo è un approccio eterodosso, che punta a prendere in considerazione anche il lato sociale, umano e culturale delle operazioni.

Puntare sulle fusioni e acquisizioni per i management delle aziende è sempre utile?

Chi fa ricerca nel settore sa che non più del 50% delle operazioni riesce. Quota che potrebbe scendere al 30% se di prendono in considerazione in particolare alcune variabili. Per rispondere alla domanda occorre perciò chiedersi quali sono gli obiettivi. Per la Borsa gli effetti sono sempre importanti: è noto che il valore delle azioni cresce rapidamente dopo l’annuncio di una possibile fusione. E che esso cala, al contrario, se l’operazione salta. Ciò perché gli investitori sanno che si dovrà probabilmente investire.

«Nelle fasi di due diligence spesso lavora una decina di persone. A fronte magari di decine di migliaia di lavoratori»

Proviamo allora a mettere da parte le performance finanziarie.

Da un punto di vista “globale”, se parliamo di performance, le fusioni e le acquisizioni non sempre funzionano. Anzi, spesso vanno a finire male. E a quel punto i management devono effettuare onerosi aggiustamenti per cercare di avvicinarsi agli obiettivi definiti all’inizio. Il problema principale è che esiste un’enorme distanza tra i soggetti che indicano la strategia e quelli che la mettono in pratica. I fallimenti nascono da qui.

Chi gestisce le operazioni di fusione e acquisizione?

Per i grandi gruppi sono pochissime persone a lavorare nella fase di pre-fusione o pre-acquisizione. Quelle che gli anglofoni chiamano due diligence, che normalmente dura un anno. A gestirla ci sono i top management delle aziende,  e poi ci sono alcuni avvocati, banchieri d’affari e consulenti. Una decina di persone. E la loro agenda ha un obiettivo: concludere prima possibile l’affare. Perché prima concludono, prima fatturano. Invece occorre tempo. Occorre capire chi si compra o con chi ci si fonde. Altrimenti i nodi arriveranno dopo al pettine. Senza contare che a fronte di quel pugno di persone ci sono a volte decine di migliaia di lavoratori.

Qual è la responsabilità delle banche d’affari?

Dipende dalla dimensione dell’operazione. Per le piccole imprese i banchieri arrivano tardi. In ogni caso forniscono una visione molto finanziaria nella fase di due diligence. Spesso manca completamente un approccio umano.

Umano?

Proprio così. Occorre chiedersi se si è umanamente compatibili. È essenziale. La due diligence deve essere anche umana, organizzativa, culturale.

Spesso fusioni e acquisizioni si risolvono in tagli al personale. È inevitabile?

Assolutamente no, si può evitare. Ho lavorato con le imprese e chi mi contatta sa che il mio è, appunto, un approccio anche umano. Ho lavorato sulla fusione Air France-KLM e all’epoca il presidente della compagnia francese Jean-Cyril Spinetta promise che non ci sarebbero stati licenziamenti. Nei sette anni successivi, effettivamente nessuno fu mandato via. Ho lavorato con Eramet in Norvegia e anche in quel caso c’è stata un’acquisizione senza tagliare posti di lavoro. È una questione di volontà.

Air France e KLM, uno degli affari più importanti degli ultimi anni in termini di fusioni e acquisizioni
La fusione tra Air France e KLM è citata come caso virtuoso da Audrey Rouziès © tupungato/iStockPhoto

Come hanno fatto a convincere gli azionisti?

Esistono obiettivi di riduzione dei costi, ma anche di espansione. Nel caso di Air France – KLM si trattava di aumentare gli hub, le rotte. Se si aumentano le attività si possono mantenere i posti di lavoro. Poi Air France ha anche operato prepensionamenti, chiaro.

«Fusioni e acquisizioni sono un successo se si allineano i processi, se emerge una cultura comune»

Quando si può parlare di reale successo di un’operazione?

Come detto, se si parla di Borsa il successo è rapidissimo. Ma prendiamo un’azienda non quotata. In questo caso si può parlare di successo quando abbiamo raggiunto gli obiettivi strategici e di sinergia. Quando si è riusciti a fare 1+1=3. Ma questo va misurato sul lungo periodo. Per capire se c’è un allineamento dei processi, se emerge una cultura comune servono non meno di cinque anni.

Lei propone una democratizzazione dei negoziati, cosa vuol dire?

Ad esempio, coinvolgere in ogni fare i rappresentanti sindacali. È ciò che è accaduto nel caso norvegese. Loro fungono da doganieri: sono persone interne alle imprese ma presenti in sindacati nazionali. Ebbene, ho osservato spesso che i sindacalisti di due aziende si conoscono già prima delle operazioni. Possono così far circolare informazioni utili per i top management. Così si opera uno scambio orizzontale ma anche verticale con i decisori. Inoltre, è utilissimo coinvolgere i quadri, i funzionari. Spesso hanno avuto un percorso accademico simile, hanno frequentato le stesse università, appartengono alle stesse reti. È così che l’operazione diventa più umana, più basata sulla fiducia.

La tendenza alle concentrazioni, se non agli oligopoli, appare presente in tutti i settori. Banalmente, se si continua su questa strada prima o poi si arriverà a monopoli?

È vero che a un certo punto non ci sarà più modo di concentrarsi. Ci sarà allora una politica di spin-off.

Parliamo di concorrenza: le regole antitrust nel mondo occidentale sono sufficienti?

Mi sembra che oggi le autorità di controllo facciano il loro lavoro. Abbiamo visto vietare alcune acquisizioni. Tuttavia, poco fa parlavamo di impatti sociali. Ebbene, le autorità antitrust non guardano a questa dimensione. Non guardano all’etica. Misurano solo gli impatti sul mercato e le posizioni dominanti. Allora una proposta: perché chiedere loro di esprimere pareri e raccomandazioni anche dal punto di vista sociale?