Organizzazione con base nel Regno Unito fondata nel 2011, Conflict Armament Research (CAR) ha come obbiettivo la generazione di prove sulle forniture di armi nei conflitti armati, al fine di informare le autorità e le istituzioni competenti. E supportare la gestione e il controllo delle armi nel mondo.
Per raggiungere il proprio scopo, CAR invia delle vere e proprie squadre investigative sul campo. Con la particolarità che “il campo” sono i teatri di conflitto armato attivi. Gli investigatori attestano, quindi, attraverso la ricerca di tracce documentali e testimonianze fotografiche, la presenza di ordigni, munizioni e armamenti nei luoghi di impiego. E cercano di rintracciare i fornitori e le catene di approvvigionamento del materiale bellico.
Dalle risultanze delle investigazioni deriva una raccolta di dati utili a migliorare le pratiche di gestione e controllo efficaci. E questi dati confluiscono nella piattaforma di monitoraggio e ricerca iTrace, la quale include un Policy Resource Center (PRC) ed è finanziata dall’Unione Europea e dal governo tedesco. Il sistema ha lo scopo di dotare i responsabili politici di informazioni precise e verificate sulla diffusione degli armamenti, dal momento che «il progetto – scrive CAR – combina un vasto programma di indagini sul campo, in conflitto con il più potente database di tracciamento delle armi ad accesso pubblico al mondo».
Le squadre di CAR svolgono indagini sulle armi legate ai conflitti, siano esse recuperate dalle forze di sicurezza di un governo oppure depositate e sequestrate in occasione di resa o cessazione delle ostilità. E, talvolta, tenute nascoste o trattenute da forze militari ribelli sul campo. Un lavoro pericoloso e prezioso per individuare i flussi del commercio illegale e la fornitura di armi convenzionali a destinatari non autorizzati, comprese le forze d’insurrezione e gruppi terroristici.
Grazie ai finanziamenti dell’Unione europea per il 2015-2016, CAR ha potuto rivedere il Policy Resource Center. E l’interfaccia oggi consente ai responsabili politici di passare rapidamente dalla mappaon line dei ritrovamenti a una serie completa di documenti specifici per Paese. Un arsenale informativo che comprende leggi e regolamenti nazionali, rapporti sull’esportazione di armi e il monitoraggio delle sanzioni delle Nazioni Unite, rapporti nazionali sull’attuazione del programma d’azione dell’Onu e ogni ulteriore prova verificata del traffico di armi.
Questo set di dati globale funge da monitor indipendente unico per l’attuazione degli accordi internazionali sul controllo degli armamenti, tra cui il Programma d’azione delle Nazioni unite e il Trattato sul commercio di armi (ATT), che di recente ha visto l’abbandono degli USA ad opera dell’ex presidente Trump. iTrace è inoltre un aiuto per le agenzie nazionali di controllo delle esportazioni di armi nell’identificazione dei rischi di diversione prima dell’esportazione.
Le squadre investigative sul campo di CAR documentano fotograficamente tutti gli elementi e datano e georeferiscono i siti di documentazione. Vengono utilizzate occasionalmente anche informazioni e fotografie ricavate dai social media, «ma le indagini non si basano su di esse, poiché – specifica l’organizzazione – la provenienza di tali dati è spesso difficile da verificare». Per la grande quantità di pezzi individuati, la documentazione e il tracciamento avviene solo su una parte di essi, anche perché alcuni degli elementi documentati non sono rintracciabili.
A seguito del proprio lavoro d’indagine, CAR contatta tutti i governi di riferimento e le aziende citate nei suoi rapporti e conserva in un formato crittografato sicuro tutti i documenti, le note di interviste, e-mail, registrazioni, fotografie e altre informazioni ottenuti da terze parti. Inoltre CAR precisa che le fonti forniscono ogni documento e materiale «volontariamente e con piena consapevolezza del loro utilizzo da parte di CAR». L’organizzazione inglese, infatti, non intraprende lavori sotto copertura né utilizza metodi investigativi clandestini.
Nel dicembre 2017, in un suo rapporto (Weapons of the Islamic State), CAR ha documentato 40mila pezzi di materiale bellico recuperati dalle forze dello Stato islamico (ovvero l’ISIS o IS o Daesh) tra il 2014 e il 2017. Nelle sue indagini ha verificato che la maggior parte delle armi e delle munizioni trovate erano state fabbricate in Cina e Russia. E quasi un terzo da Stati membri dell’UE ex appartenenti al Patto di Varsavia. Diversi di questi materiali avevano effettuato un viaggio di esportazione tortuoso: riesportati dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita ai gruppi di opposizione siriani prima di finire nelle mani del sedicente Califfato.
Nel rapporto Weapons of the Islamic State si scopre anche che un missile anticarro di fabbricazione bulgara, prima venduto all’esercito americano, ci aveva messo 59 giorni per giungere nella disponibilità dell’ISIS, il quale è stato tuttavia capace di fabbricare anche in autonomia le proprie armi e ordigni improvvisati (IED) su scala industriale. Una produzione resa possibile da una solida catena di approvvigionamento, in particolare di precursori di esplosivi chimici dalla Turchia.
Dal lavoro d’indagine del CAR, nella Repubblica centrafricana emerge come, nonostante gli embarghi sulle armi imposti dalle Nazioni unite e dall’Unione europea, il governo sudanese abbia potuto continuare a importare materiale bellico e Dual Use (ovvero componenti e attrezzature potenzialmente adatte a scopi sia civili che militari). In particolare, il Sudan avrebbe così saputo sviluppare le proprie capacità di produzione interna. Non stupisce allora che materiale bellico di provenienza sudanese sia poi finito nelle mani di gruppi armati in Sud Sudan, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Libia, Mali e Niger.
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