Gas, Russia, rinnovabili. Le (poche) risposte di Eni agli azionisti critici

Le domande poste da Fondazione Finanza Etica a Eni hanno ricevuto solo alcune risposte. È chiaro che l'azienda punta ancora su gas e petrolio

L'amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi © Eni/Flickr

Puntuale, come ogni anno dal 2008, è arrivata anche nel 2022 l’assemblea generale degli azionisti di Eni. E, ancora soltanto online causa Covid, arrivano anche le domande dell’azionista (critico) Fondazione Finanza Etica. Un ingaggio sui temi per noi classici (strategia di transizione energetica, ruolo delle rinnovabili, prospezioni internazionali) ma anche nuovi (Plenitude, Covid), nonché per conto dell’associazione A Sud sulle iniziative territoriali dell’azienda (Abruzzi, Taranto, Gela, Licata, Basilicata).

Le rinnovabili coprono solo il 10% del margine operativo lordo di Plenitude

Abbiamo potuto così seguire l’evolversi delle strategie aziendali e contestato alcune scelte che ci sembravano poco chiare, certamente molto costose sul piano del marketing ma niente affatto coerenti con le dichiarate opzioni di sostenibilità.

Iniziamo con Plenitude, la nuova società con cui Eni intende darsi una nuova verniciata di verde. «È un’epoca in cui l’energia nasce anche da fonti rinnovabili. Come il sole e il vento, da cui produciamo sempre più energia. In Italia e nel mondo», proclama il sito. Va bene, diciamo noi, ma quanto dei 600 milioni di margine operativo lordo del 2021 è stato generato effettivamente dalle rinnovabili? Il 10% ci risponde Eni, perché il resto (540 milioni) è acquisto e vendita ai clienti retail. Eni ci dice che prevede che il margine salirà nel 2025 a 1,4 miliardi e che il 30% sarà generato da rinnovabili, il 10% dalle colonnine di ricarica per e-mobility e il 60% sempre da business retail.

Nei Piani strategici obiettivi sempre più ambiziosi, ma sempre più lontani

Quindi, niente, diciamo noi, rispetto alle dimensioni dell’azienda. Come possa Plenitude essere considerata «un attore chiave del processo di decarbonizzazione» dell’azienda solo Dio lo sa. Ma, a proposito, ci spiegate com’è che questa decarbonizzazione avverrà realmente, visto che fino al 2025 continuerete ad aumentare la quota di energia prodotta da fossili? Infatti, ad ogni Piano strategico gli obiettivi di decarbonizzazione diventano sempre più ambiziosi ma… spostati in avanti.

Un impianto di Eni a Taranto
Un impianto di Eni a Taranto © Cineberg/iStockPhoto

Nel 2030 si prevede una riduzione delle emissioni del 35% contro il -25% previsto nel 2021; poi si passa ad un -80% al 2040 contro il -65% previsto al 2021. Insomma, numeri; ma la realtà? Intanto la crescita degli idrocarburi aumenterà per tutta la durata del Piano 2022-2025 ad una media di 3% all’anno e una capex media anno (flussi di cassa in uscita per investimenti) di 4,5 miliardi di euro. Il plateau di produzione di idrocarburi sarà raggiunto nel 2025, con 1,9 milioni di barili/giorno.

Nel periodo 2022-2025 idrocarburi in crescita del 3% all’anno

Ci spiegate come fate a raggiungere gli obiettivi ambiziosi di riduzione dell’impronta carbonica dopo aver aumentato così tanto la produzione da idrocarburi? La risposta è quanto meno evasiva: abbiamo «una metodologia proprietaria di contabilizzazione delle emissioni di gas ad effetto serra distintiva», che abbiamo commissionato alla società RINA (sì, ricordate bene. È l’azienda che certificò il rispetto degli standard di sicurezza SA8000 nei laboratori della Ali Enterprises a Karachiaveva, in Pakistan. Tre settimane prima di un incendio nel quale morirono più di 250 persone). Niente altro che questo. Ma il sospetto viene se uno non aderisce a standard internazionali, e se ne fa uno per conto proprio, pagando una società per redigerlo. 

E poi, la strategia di decarbonizzazione Eni intende raggiungerla sostituendo progressivamente gli idrocarburi con il gas, la cui quota arriverà al 60% entro il 2030 e al 90% entro il 2050. Ora, se il gas può ridurre in parte le emissioni rispetto al petrolio e, al limite, potrebbe essere concepibile come fonte provvisoria di transizione, questa per Eni è chiaramente una fonte sostitutiva, non di transizione. Peraltro, grazie alla tassonomia sulla finanza sostenibile che ha incluso nucleare e gas fra le fonti energetiche sostenibili, potrà anche ricevere trattamenti di favore. Esattamente come le rinnovabili. Le quali perderanno competitività e attrattività per aziende come Eni rispetto al gas.

Sempre in questo ambito, altre risposte restano per noi deludenti. Come quella che (non) indica l’apporto delle tecnologie di cattura e stoccaggio del biossido di carbonio nella revisione del modello di business, o della conversione delle raffinerie tradizionali in bioraffinerie. Riferimenti senza un numero. Che dimostrano come il Piano strategico si affidi quasi interamente al gas come sostituto degli idrocarburi.

Eni punta quasi interamente sul gas

E poi… la Russia. Abbiamo fatto domande specifiche sulla fornitura di gas dalla Russia a Eni. Gran parte delle questioni (prezzo medio di acquisto, percentuali di profitto, margini di profitto) ricevono zero risposte: sono dati sensibili e quindi non sono pubblici. Però ce n’è una interessante sulle possibili conseguenze finanziarie della guerra in Ucraina.

Si viene a sapere che nel 2021 Eni ha importato 30 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia, ma di questi solo 22 destinati all’Italia, mentre gli altri 8 vanno alla Turchia attraverso il gasdotto Bluestream. Quindi se ne deduce che Eni compra 8 miliardi di metri cubi di gas dalla Russia e li rivende alla Turchia, speculandoci sopra. In vista delle conseguenze della guerra, come è noto, Eni sta cercando nuovi fornitori. A dire il vero in Paesi che non sono esattamente delle oasi di pace: Libia, Egitto, Nigeria, Indonesia, Angola, Congo.

Nel mondo nuovo delle possibili guerre e instabilità locali per l’energia, puntare solo sul gas e sulle fonti fossili può essere un rischio serio per conti e reputazione aziendale. Ma ancor più per la stabilità economica, sociale e politica di tutti noi.