Gender Gap, una tassa occulta da 5mila miliardi
A livello mondiale la disparità uomo-donna crea danni che valgono 3 volte il Pil italiano. Ridurre il divario migliora le performance economiche e il benessere collettivo
Più povere sono le donne, più povero è il mondo. E non è solo un modo di dire che strizza l’occhio all’altra metà del cielo. Solo attraverso la realizzazione della parità di genere si riusciranno infatti a realizzare gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile del millennio al 2030.
A certificarlo, lo scorso febbraio è un rapporto delle Nazioni Unite: Turning promises into action: Gender equality in the 2030 Agenda for Sustainable Development. «Ci siamo impegnati a non lasciare nessuno indietro, con gli obiettivi del millennio sulla sostenibilità. Ma i nuovi dati e le analisi di questo rapporto sottolineano che, se il progresso in materia di parità di genere non sarà incrementato con forza, la comunità globale non sarà in grado di mantenere la sua promessa» ha spiegato il direttore esecutivo Onu, Phumzile Mlambo-Ngcuka.
Sulle donne il peso di crisi e disuguaglianze
Dal campione di 89 paesi per i quali sono disponibili dati aggiornati, secondo l’UN Women (il dipartimento Onu per l’uguaglianza di genere) ben 330 milioni di poveri sono donne. Ogni 100 uomini che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno, si contano 104 donne.
Più del 50% delle donne e ragazze che vivono nei centri urbani dei Paesi in via di sviluppo vive in condizioni drammatica. Senza accesso all’acqua pulita, adeguate strutture igienico-sanitarie, alloggi durevoli e con spazi insufficienti.
E sono «spesso donne, i lavoratori malpagati che ricevono salari di sussistenza e vengono privati dei diritti fondamentali. Sulle loro spalle grava di più il peso della cosiddetta “economia dell’1%”» denuncia Oxfam nel rapporto “Ricompensare il lavoro e non la ricchezza” presentato all’ultimo World Economic Forum di Davos. «Di tutta la ricchezza globale creata nell’ultimo anno, l’82% è andato all’1% della popolazione mentre il 50% meno abbiente non ha beneficiato di alcun aumento» ricorda l’Ong.
Il dividendo dell’equità
Eppure investire sulle donne, sul loro benessere, sui loro salari, sulla loro salute e istruzione, sui servizi alle famiglie, così come sulla loro maggiore partecipazione alla politica e alla direzione di piccole e grandi imprese, ci farebbe tutti più ricchi. Il calcolo è del World Economic Forum. Secondo gli analisti WEF infatti la parità di genere è strettamente correlata al prosperare delle economie e delle società. «Il miglioramento della parità di genere può comportare dividendi economici significativi». Cioè investire nelle donne conviene, anche in termini di PIL.
Un tesoro tre volte più grande del Pil italiano
Un esempio? La parità di genere economica potrebbe aggiungere ulteriori $ 250 miliardi di dollari al PIL del Regno Unito, 1.750 miliardi di dollari a quello degli Stati Uniti, 550 miliardi ai giapponesi, 320 miliardi di dollari alla Francia e 310 miliardi al PIL alla Germania.
Altre stime del WEF suggeriscono che la Cina potrebbe vedere un aumento del PIL di 2,5 trilioni di dollari grazie alla parità di genere e che il mondo nel suo complesso potrebbe aumentare il PIL globale di 5,3 trilioni di dollari entro il 2025 (in pratica, tre volte il Pil dell’Italia), se solo riducesse di appena il 25% il divario uomo/donna nella partecipazione economica. Meccanismo che potrebbe portare nel gettito fiscale globale oltre 1,4 trilioni di dollari, con ben 940 miliardi di ricaduta sulle economie emergenti.
«L’uguaglianza di genere è sia un imperativo morale sia economico. Alcuni paesi lo hanno compreso e ora stanno prendendo delle misure economiche per affrontare i loro gap di genere», ha affermato Saadia Zahidi, responsabile istruzione, questioni di genere e lavoro del World Economic Forum.
Il risultati del Gender Gap Index
I dati del Global Gender Gap Index del WEF, sin dal 2006 sottolineano come siano le donne a pagare il prezzo maggiore della crisi, della contrazione dei servizi, dei salari e delle opportunità. Il rapporto classifica 144 paesi sul divario tra donne e uomini su salute, istruzione, indicatori economici e politici attraverso l’elaborazione di un indicatore che va da 0 (disparità) a 1 (parità).
Tale indicatore rivela che il 96% dei 144 paesi in classifica ha colmato il gap su sanità e sopravvivenza media rispetto agli uomini e il 95% per il rendimento scolastico. Mentre su politica ed economia si misurano gli indici più bassi dall’istituzione del Global Gender Gap Index. Appena il 58% del gap relativo alla partecipazione economica è stato colmato: procedendo con il ritmo attuale, occorreranno altri 217 anni per colmare il divario economico tra uomini e donne. Tanto più che, giusto l’anno scorso, si è registrata una preoccupante inversione di tendenza.
Italia in caduta libera
Le preoccupazioni in tal senso non risparmiano nessun continente. Nemmeno l’Europa (che pure può vantare alcune punte di diamante ormai conclamate nella lotta al gender gap).
Ai livelli più bassi del continente c’è ad esempio la Grecia (78esima in classifica generale). Ma più giù (82°) troviamo l’Italia, che che scende ancora in picchiata libera: era al 41esimo posto del 2015 e al 50esimo del 2016. Più sotto ancora, Cipro (92) e Malta (93).
Va meglio per il Nord America: il Canada è al 16esimo posto (e secondo in quanto a tassi di miglioramento) e gli Stati Uniti al 49esimo. Mentre nell’Europa orientale e nell’Asia centrale figurano tre paesi presenti nella top 20 globale: Slovenia (7), Bulgaria (18) e Lettonia (20). Nel range più basso della classifica si trovano, invece, Armenia (97), Azerbaigian (98) e Ungheria (103). America Latina e Caraibi presentano un gap di genere medio del 30% ma colloca due Stati tra i primi 20 del mondo (Nicaragua e Bolivia). E il Brasile è uno dei cinque paesi che hanno completamente colmato il loro divario di genere nel campo dell’istruzione.
Colossi asiatici, pessimi risultati
In Asia, alcuni Stati fanno segnare risultati pessimi: la Cina, 100esima. E poi, peggio ancora, India, Giappone e Corea del Sud, rispettivamente al 108esimo, 114esimo e 118esimo posto.
L’Africa sub-sahariana presenta invece la gamma più ampia di risultati. Piazza tre Paesi nella top 20 (Ruanda al 4 posto, Namibia al 13esimo e il Sudafrica 19esima). Ma molti altri totalizzano il punteggio più basso, come il Mali al 139esimo posto e il Ciad al 141.
I peggiori di tutti? In Medio Oriente e Nord Africa
Sono, invece, il Medio Oriente e il Nord Africa le regioni con il punteggio più basso dell’Indice. Solo Israele è nei primi 50 (44esimo). Tutti gli altri paesi sono nell’ultima parte della classifica: anche i migliori della regione, Tunisia (117esima), Emirati Arabi Uniti (120esimi) e Bahrein (126esimo). Così come sono in coda i quattro dei cinque paesi di livello più basso al mondo per l’empowerment politico: Kuwait (129esimo), Libano (137esimo), Qatar (130esimo) e Yemen all’ultimo posto.