Nella storia della giustizia climatica ci saranno un pre-Shell e un post-Shell?
Energia, trasporti, CO2. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
La notizia è che un tribunale dei Paesi Bassi ha imposto al colosso petrolifero anglo-olandese Royal Dutch Shell di ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra del 45%, entro il 2030, rispetto ai livello del 2019. I giudici hanno dato ragione ad un gruppo di Ong – e a 17.379 cittadini che le hanno sostenute – in una seconda class action climatica portata avanti nella nazione europea. La prima ha visto protagonista l’associazione Urgenda, che ha fatto condannare lo Stato a fare la propria parte per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
La speranza è che il caso-Shell possa rappresentare un punto di svolta. E non soltanto nella giurisprudenza dei Paesi Bassi. Le azioni legali avviate per costringere i governi a conformarsi alle necessità della battaglia contro i cambiamenti climatici, infatti, si moltiplicano pressoché ovunque nel mondo. La grande novità è che, stavolta, la sentenza ha riconosciuto la responsabilità di un’impresa privata in merito al riscaldamento globale. E non solo: i giudici hanno spiegato, di fatto, anche un’altra cosa. Ovvero che Shell deve ma soprattutto può abbassare le proprie emissioni. Farlo è possibile, dunque. in barba alle “giustificazioni” addotte dai board dei colossi delle fonti fossili di tutto il mondo, che tentano disperatamente di procrastinare la transizione ecologica e perpetuare finché possibile il business as usual.
Va inoltre sottolineato il fatto che la decisione del tribunale olandese su Shell si applica sia alle emissioni dirette di gas ad effetto serra che a quelle indirette (quelle cioè dipese dall’uso dei suoi prodotti). Tenendo conto che ancora oggi la stragrande maggioranza degli investimenti della compagnia sono nelle fonti fossili, i giudici hanno di fatto chiesto ai dirigenti di rivoluzionare la strategia aziendale. Sentenziando anche che la transizione ipotizzata dalla società finora – raggiungere la carbon neutrality al 2050 – è del tutto insufficiente. La speranza è che, tra qualche anno, si possa parlare di un “pre” e di un “post-sentenza Shell”.