Glencore sotto inchiesta negli Usa. Sospetta corruzione dall’Africa al Venezuela

Il colosso minerario svizzero Glencore nel mirino del dipartimento di Giustizia Usa. Si sospettano casi di corruzione e riciclaggio. L'azienda: «Cooperiamo»

Dalla Nigeria, alla Repubblica Democratica del Congo, passando per il Venezuela. Il colosso svizzero Glencore è finito nel mirino del dipartimento della Giustizia degli Stati Uniti in seguito ad un’ampia inchiesta per presunti casi di corruzione, legati ad attività portate avanti dalla multinazionale dal 2007 ad oggi.

Applicata la legge sulle pratiche di corruzione all’estero

Il governo americano ha applicato la legge sulle pratiche di corruzione all’estero (Foreign Corrupt Practices Act). E ha chiesto all’azienda, leader mondiale del settore minerario e della compravendita di commodities, di trasmettere una serie di documenti. Questi ultimi dovrebbero consentire di comprendere se i comportamenti dell’azienda, sospettata non solo di corruzione ma anche di riciclaggio, siano stati o meno leciti.

A rendere nota la procedura a proprio carico, il 2 luglio 2018, è stata la stessa Glencore. In un comunicato, il gruppo elvetico ha dichiarato di voler collaborare con la giustizia americana. Ma l’annuncio ha provocato immediatamente una reazione dei mercati. Il titolo, quotato alla Borsa di Londra, è arrivato a perdere più del 10%.

Non si conoscono ancora nel dettaglio i contorni dell’inchiesta statunitense. Tuttavia, un analista citato dal quotidiano economico francese Les Echos, ha affermato che essa «sembra particolarmente ampia». Lo stesso esperto ha aggiunto che «la società potrebbe essere oggetto di un’inchiesta anche da parte delle autorità britanniche, in particolare per sospetti casi di corruzione in Congo».

Due grandi miniere in Congo

Nella nazione africana Glencore gestisce due gigantesche miniere (la Katanga Mining e la Mutanda Mining), che fanno del gruppo svizzero il più grande estrattore di rame e cobalto. E sempre in Congo l’azienda diretta da Ivan Glasenberg, imprenditore di origini sudafricane, ha dovuto fronteggiare una serie di problemi. A cominciare dalla riforma del codice minerario, che ha reso meno vantaggioso per le multinazionali straniere operare in loco.

Inoltre, nello scorso mese di giugno, l’azienda ha chiuso un contenzioso con la società mineraria di Stato Gecamines. Esso riguardava la Kamoto Copper, impresa gestita in comune, della quale Glencore detiene il 75%. L’impresa elvetica ha accettato di convertire in azioni un debito pari a 5,6 miliardi di dollari.

Il ruolo dell’uomo d’affari israeliano Dan Gertler

Pochi giorni dopo, ha deciso anche di ricominciare a versare le royalties a uno dei principali partner nella nazione africana: l’imprenditore israeliano Dan Gertler.

Secondo l’emittente radiofonica francese RFI, proprio il nome dell’uomo d’affari – da dicembre nella lista nera degli Usa – potrebbe complicare la faccenda per Glencore. Gli occhi degli inquirenti sarebbero infatti puntati su un contratto firmato dalla KCC, filiale locale dell’azienda, e dalla Denovo Congo SPRL che sarebbe legata al gruppo Fleurette di Gertler.

«Il contratto è datato 3 dicembre 2013 – prosegue RFI – e all’epoca l’imprenditore era già chiacchierato. Una transazione aveva infatti convinto il Fondo monetario internazionale a sospendere i prestiti a Kinshasa. E anche l’Africa Progress Panel dell’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan aveva manifestato dubbi. Dal 2007, tuttavia, Glencore e Gertler sono partner in Congo».

Inoltre, la radio transalpina afferma che KCC «pagava ogni anno 6 milioni di dollari alla Denovo per fornire tutta una serie di servizi». In particolare per il «mantenimento delle relazioni con la presidenza di Joseph Kabila, con il Parlamento e i differenti ministeri. E perfino con ambienti giudiziari. Gertler era infatti già sospettato di aver pagato delle tangenti a numerose autorità congolesi, tra i quali alcuni magistrati e lo stesso presidente Kabila, per conto di un fondo d’investimenti americano.

E se il leader della nazione africana ha negato ogni addebito, nel 2016 la Security and Exchange Commission, organismo che vigila sui mercati negli Stati Uniti, aveva chiesto conto di determinati comportamenti al fondo. Il quale aveva invece ammesso i fatti».

Un “comitato speciale” per collaborare con gli inquirenti

Nel frattempo, la Glencore ha istituito un “comitato speciale” di controllo, che sarà incaricato di “supervisionare le risposte fornite al dipartimento di Giustizia americano”. Esso sarà composto da tre dirigenti, tra i quali il consigliere Tony Hayward, ex amministratore delegato del colosso petrolifero inglese BP. Ma la situazione appare alquanto scomoda per la multinazionale. Anche in considerazione delle denunce presentate in Svizzera dalla ong Public Eye.

Il quotidiano elvetico Le Temps, inoltre, ha ricordato che alla fine del 2017 il nome di Glencore è apparso anche nei cosiddetti “Paradise Papers”. E anche in quel caso erano emersi i legami con Gertler, che avrebbe consentito alla multinazionale di acquisire asset in Congo a condizioni vantaggiose. «È bene che la giustizia americana faccia luce sui comportamenti dell’azienda, che le hanno permesso di fare affari a prezzi stracciati», ha affermato Marc Gueniat, di Public Eye.

Ora, secondo un’analisi di Le Monde, «per Glencore, il più grande rischio non è di dover pagare pesanti sanzioni. Ma di perdere la fiducia di finanziatori e investitori. Il che equivarrebbe ad una catastrofe in un settore in cui gli operatori hanno necessità di ricevere fondi a tassi vantaggiosi».