Green jobs, per i giovani italiani un’opportunità da 1,6 milioni di posti di lavoro
Indagine Legambente-Green Factor: le competenze verdi hanno altissimi potenziali occupazionali, nonostante la crisi da coronavirus. Per sostenerle, urgono incentivi all'economia circolare
Il dato è stato rilevato appena prima che la crisi sanitaria causata dal coronavirus SARS-CoV-2 arrivasse come una bomba sull’economia italiana e mondiale. Per il breve periodo un indubbio ostacolo. Ma è difficile pensare che i suoi effetti blocchino nel medio-lungo termine un trend che ormai appare consolidato: il tessuto produttivo nazionale ha sempre più fame di competenze professionali “verdi”. I ragazzi che, nel proprio percorso formativo, accrescono questo know how avranno un varco privilegiato per collocarsi nel mercato del lavoro. Quanto grande? Un milione e 672mila posti di lavoro.
La previsione è contenuta in un’indagine sviluppata da Legambiente e Green Factor, nell’ambito del progetto ECCO (Economie Circolari di COmunità).
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Le sorprese tra i green jobs
L’analisi ha indagato non solo il potenziale in termini di quantità di posti disponibili ma anche il tipo di abilità green ricercate. Un aspetto, quest’ultimo, senz’altro interessante. Evidenzia infatti come le competenze verdi non riguardano solo i classici lavori più strettamente legati all’economia circolare (industria alimentare, tessile, manifattura, riciclo, metallurgia, trasporti, public utilities di energia, gas e acqua). Accanto ad essi, con percentuali di richiesta a volte anche superiore, vengono indicate le professioni legate a commercio, logistica, ristorazione, servizi turistici, finanziari, assicurativi, sanitari e culturali.
Figure come cuochi, gestori di B&B e agriturismi, addetti all’assistenza di adulti e bambini, falegnami, estetisti, webmaster sono tra quelle che mostrano un elevato “indice green”, percentuale che misura il potenziale di risparmio energetico e sostenibilità ambientale della singola professione.
Più di 50 professioni analizzate
«Sono state analizzate due classi di professioni. Un primo gruppo di 29 categorie, con circa un milione e mezzo di posizioni aperte sul mercato del lavoro nel 2019. Tutte sono potenzialmente coinvolte in processi di economia circolare dal basso o in imprese via via più strutturate fino alle grandi con oltre 50 dipendenti» commenta Marco Gisotti, direttore di Green Factor. «Nel secondo gruppo sono state classificate altre categorie professionali. In tutto 22. In esse esplicitamente Istat pone riparatori e manutentori: un mercato di 234.140 posizioni disponibili in entrata solo nello scorso anno».
A colpire in particolare sono alcuni dei risultati contenuti nel Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere per mappare le competenze più richieste nel mercato del lavoro. Quasi l’ottanta per cento (esattamente il 78,8%) dei contratti programmati (a tempo indeterminato o a tempo determinato, ma in ogni caso della durata superiore a un mese) dalle aziende italiane è destinato a persone che possono vantare competenze verdi nel proprio curriculum professionale.
Competenze green più importanti di quelle digitali
È sorprendente l’alto tasso di competenza green richiesto per professioni come il cuoco (55%), il barista (44%) o il parrucchiere (44%), ma anche professioni più tecniche, come i meccanici e i riparatori di bicilette (39%). Anche agli installatori, manutentori e riparatori di apparecchiature informatiche sono richieste buone competenze green (58) e persino nel campo dei webmaster, necessari per la gestione e il marketing dei servizi online, l’indice green è del 38%.
«L’attitudine al risparmio energetico e alla sostenibilità ambientale si rivela la prima competenza richiesta dalle imprese subito dopo le cosiddette soft skills» si legge nel rapporto Le competenze green elaborato nel 2017 da Unioncamere. «Essa si posiziona, quindi, prima delle capacità comunicative scritte e orali in lingua italiana e di quelle straniere. Viene prima persino prima delle competenze digitali e della conoscenza degli strumenti per la comunicazione visiva e multimediale, e subito dopo, invece, le capacità di lavorare in gruppo, di risolvere problemi, di lavorare in autonomia e la flessibilità e l’adattamento».
Altro aspetto da non sottovalutare è il titolo di studio connesso con le competenze green. Esse vengono infatti richieste non solo a chi possiede un titolo universitario (83,1%). Molto alte le richieste anche per i neodiplomati (78,1%) e tra chi si affaccia al mondo del lavoro subito dopo le scuole dell’obbligo (79,8%).
Coronavirus? Opportunità per un futuro più sostenibile
Oltre ai dati rielaborati a partire dai numeri di Unioncamere, la ricerca Legambiente-Green Factor ha indagato l’opinione di esperti nell’ambito di economia socialeL’insieme dei soggetti che operano con una visione orientata all’economia civile ovvero perseguendo un obiettivo più ampio rispetto al profitto che, da parte sua, assume un caratteApprofondiscie circolare, per iniziare a stimare l’impatto socio-economico della crisi sanitaria determinata dal Covid-19. Nonostante i timori e le chiusure imposte dal lockdown, è emerso come la crisi sanitaria sia percepita come un problema per il 42% dei casi, ma rappresenti, allo stesso tempo, l’occasione per costruire un nuovo paradigma occupazionale più sostenibile nel 61% dei casi.
La tendenza trova conferma nelle proiezioni degli intervistati a 1, 5 e 10 anni dall’epidemia per quel che riguarda i posti di lavoro nei settori dell’economia circolare. L’immediato futuro crea preccupazione, è ovvio. Ma le stime appaiono più rosee via via che la proiezione si distanzia nel tempo. I soggetti intervistati ritengono che i lavori green cresceranno nel prossimo anno quasi dell’8%, per lasciare spazio al 26,4% nei prossimi 5 anni.
Attesi incentivi e meno burocrazia per far volare l’economia circolare
Molto atteso il ruolo delle istituzioni in chiave europeista. Un sentimento, quello della fiducia verso una visione europea dell’ambiente, che tende a radicarsi nella prospettiva di un più lungo periodo. La stima dell’aumento dell’occupazione green ammonta al 34,5% nei prossimi 10 anni, grazie alla fiducia negli investimenti e nelle politiche europee.
I soggetti scelti hanno, inoltre, valutato i fattori utili per consolidare azioni di economia circolare e quelli che possono rappresentare al contrario un rischio per il suo sviluppo. Tra gli interventi più attesi, la diminuzione della pressione fiscale (con un peso di 85 su 100) per chi per chi opera nell’economia circolare e il perfezionamento del sistema di leggi e regolamenti nazionali e locali anche per chi vorrebbe iniziare (84,2).
L’indagine mostra inoltre che i rischi maggiori per gli intervistati derivano da fattori pre-Covid. Questioni strutturali quindi. La crisi sanitaria ha un peso di 45,8 su 100 nelle loro risposte. Ma è ben distante dai vincoli imposti dalla burocrazia (che ha un peso di 74,2) e dalla scarsa attenzione che le istituzioni deporrebbero in essa in ambito locale (68,3).
«L’economia e i processi circolari rappresentano la direttrice sulla quale è possibile innervare percorsi economici civili per generare posizioni lavorative e includere persone in condizioni di marginalità» commenta Lorenzo Barucca, Responsabile Nazionale di economia civile Legambiente. «Crediamo che la strada dell’inclusione circolare rappresenti una sana ricetta di sviluppo economico che guarda al rilancio in chiave green di settori strategici per il Paese. Tra loro: turismo, mobilità, ristorazione, energia e rifiuti».