Greenpeace: così i media hanno distorto le ragioni delle proteste degli agricoltori

Un report di Greenpeace dell’Osservatorio di Pavia racconta le false narrazioni prodotte in Italia sulle proteste degli agricoltori

La responsabilità dei media nel deviare le proteste degli agricoltori © Afif Ramdhasuma/Unsplash

Le proteste degli agricoltori sembrano finite. Erano esplosa qualche anno fa, nell’Est dell’Europa. Poi erano deflagrate lo scorso autunno, quando i trattori avevano cominciato a bloccare le strade e invadere le piazze di Paesi come Germania, Francia e Italia. Arrivando poi nella scorsa primavera a stazionare sotto le varie sedi dell’Unione europea a Bruxelles. Le proteste degli agricoltori sembrano finite. Perché a poche settimane dalle ultime elezioni continentali il Parlamento europeo, su pressione della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, ha di fatto eliminato la transizione ecologica. Ha rimodellato al ribasso i contenuti accettabili del Green Deal e limato gli unici punti condivisibili dalla già blanda e controversa Pac (Politica agricola comune).

Perché le proteste degli agricoltori si sono fermate

Il che è un paradosso. Perché tutti questi provvedimenti messi in campo dall’Unione europea erano già inutili al fine della transizione ecologica e punitivi nei confronti dell’agricoltura, che si diceva di voler aiutare. Se è vero che tra il 2014 e il 2023 sono state approvate 63 diverse misure a favore degli agricoltori per 2,5 miliardi di euro, questi fondi sono finiti non ai piccoli coltivatori ma alle multinazionali. In pratica l’80% della Pac è andata al 20% dei coltivatori parte delle grandi corporazioni. Il secondo paradosso è che, dopo l’intervento di von der Leyen che ha fermato le proteste degli agricoltori, questa iniqua distribuzione è rimasta. Mentre sono saltati tutti i punti relativi a un graduale abbandono di pesticidi ed energie fossili.

Perché, come raccontato fin da subito da Valori, tutta la protesta in fondo si è giocata su un paradosso in cui il nemico, invece di essere il capitale, l’iniqua distribuzione dei sussidi, i diserbanti e i combustibili fossili che inquinano e devastano la Terra, sono diventati le azioni climatiche e la transizione ecologica. Le uniche idee sensate per salvare il pianeta e, quindi, l’agricoltura e la filiera del cibo. Una filiera che è stata studiata appositamente dai burocrati di Bruxelles per proteggere i grandi monopoli della coltivazione, della distribuzione e della vendita al dettaglio. A discapito dei piccoli produttori, come raccontato su queste pagine da Daniele Calamita.

Proteste degli agricoltori: tra estrema destra e false narrazioni

E questi paradossi non sono innocenti, o casuali. Perché dietro lo spostamento dell’asse della protesta dal vero nemico a quello che dovrebbe essere il miglior amico è stato dimostrato esserci una vera e propria strategia. Assai costosa, pagata dalle multinazionali e messa a terra dall’estrema destra, da sempre al servizio dei padroni. E questo, come dimostra un recente rapporto di Greenpeace realizzato in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia, è potuto accadere anche grazie alla interessata collaborazione di una certa parte dei media e della stampa italiana. Anch’essa storicamente in prima linea nel difendere il diritto del più forte, anche a costo di manipolare la realtà.

Il report si focalizza sul periodo dal primo gennaio al 29 febbraio 2024. Prende in esame i sette telegiornali della tv generalista (Tg1, Tg 2, Tg 3, Tg 4, Tg5, Studio Aperto e Tg La7) e i grandi quotidiani come Corriere della sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa. «La costruzione del racconto sulla natura delle proteste mette però spesso insieme le due dimensioni (climate action e ragioni delle proteste, ndr.). Questo avviene sia nella mediazione giornalistica, sia quando protagonisti della narrazione sono direttamente le voci di chi manifesta e di altri soggetti intervistati. L’indistinto flusso narrativo che mischia i due ambiti non giova alla comprensione del fenomeno. […] Il risultato è in molti casi quello di ridurre la complessità in una semplificata dicotomia giornalistica tra misure per l’ambiente e bisogni del mondo agricolo».

Le responsabilità dei media: la costruzione di un falso nemico

Analizzando il materiale estrapolato, articoli dei quotidiani e servizi dei notiziari, il report individua quindi sette tipi di narrative ricorrenti. Europa cattiva /Europa incapace, dove a essere cattive sono soprattutto le misure di transizione ecologica. L’ambientalismo ideologico/il finto ambientalismo, ovvero il nemico supremo. Il conto da pagare, come se questo non fosse responsabilità di multinazionali e sperequazione negli aiuti. Il buon contadino custode dell’ambiente, ovvero nessuno ci deve dire come proteggere la natura. Tradizionale (e tipico) è bello, quindi no alle innovazioni ecologiche. No global in salsa anti green, un chiaro indirizzo sovranista. Mangiare sintetico, ecco il complotto e la diffusione della paura: se guidiamo le macchine elettriche, poi scordatevi le lasagne di nonna perché finiremo a cibarci di insetti.

Ecco dunque perché le proteste degli agricoltori sembrano finite. Non perché abbiano vinto, o abbiano ottenuto quello che chiedevano. Ma perché fin da subito si è creato un falso bersaglio: le misure green e la transizione ecologica. Un diversivo che potesse proteggere le multinazionali che monopolizzano la filiera e i legislatori che destinano loro l’80% degli aiuti miliardari. Un falso nemico che potesse allo stesso tempo proteggere i veri responsabili dei gravissimi problemi che attraversano il mondo agricolo e impedire ogni passo verso la sostenibilità che, essendo equa, va a loro svantaggio. E questo è stato possibile grazie alla manovalanza dell’estrema destra e all’interessato aiuto dei grandi media. Perché, come conclude il report, «la costruzione del nemico, quando si parla di politiche green, è negli articoli e nei servizi analizzati molto chiara».


Agricoltura e clima: è la stessa crisi è il tema dell’incontro in programma a FestiValori, al Teatro San Carlo di Modena, domenica 20 ottobre alle ore 11:00. Ne parleranno Tina Balì, Fondazione Metes, Maria Grazia Mammuccini, Presidente Federbio, Maurizio Martina, vicesegretario generale FAO, Barbara Nappini, Presidente Slow Food, Martin Schüller,
Fairtrade Germania, e Sara Segantin, attivista e divulgatrice.