I cittadini europei più poveri sono sovraindebitati: «L’Ue li protegga»

Finance Watch: «Sempre più prestiti per far fronte a difficoltà finanziarie. Le fasce più deboli rischiano la spirale del debito». Attesa per la Direttiva europea

Matteo Cavallito
Un centro commerciale a Vilnius, Lituania. La UE sta completando in questi mesi la nuova Direttiva sul credito al consumo © Oleksii Leonov/Flickr
Matteo Cavallito
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L’Europa ha un problema con il debito. Ma attenzione: una volta tanto non parliamo delle pendenze degli Stati, tuttora parzialmente sgravate da una politica monetaria espansiva che ha prodotto costi di finanziamento negativi per tutti (Grecia e Italia escluse, ça va sans dire). Quanto piuttosto di quel debito nascosto, frammentato e non  meno pericoloso che pesa particolarmente sui soggetti più vulnerabili: i consumatori, soprattutto quelli a basso reddito.

È il fantasma del credito al consumo, un fenomeno in espansione, sostiene la Ong di Bruxelles Finance Watch, e dai risvolti talvolta «predatori». Sul quale la stessa UE dovrebbe intervenire al più presto.

Nella UE €5,8 trilioni di debito

Il debito delle famiglie nell’Unione europea, dicono gli analisti di CEIC Data, è più che triplicato nel decennio pre-crisi, passando dai 2.500 miliardi ai 7,7 trilioni di dollari del luglio 2008. Oggi si viaggia attorno ai 6.500 miliardi (il 14% circa del totale del Pianeta), 5,8 trilioni di euro al cambio attuale. Ma la geografia del debito rivela molte sfumature. Nel terzo trimestre del 2018, rilevava all’inizio dell’anno il Financial Times, il peso delle pendenze delle famiglie nell’Eurozona ammontava al 57,6% del Pil, il livello più basso da dodici anni. Un dato molto più basso rispetto ai numeri del vicino Regno Unito, dove il peso del debito familiare, 86% del prodotto interno lordo (quasi il doppio del dato cinese, per dire), era persino superiore a quello registrato negli USA (75%).

Ma la situazione è piuttosto variegata anche all’interno dell’unione monetaria. In Olanda si registra il record continentale a quota 103%. Due volte e mezzo il valore relativo misurato in Italia (40%), il Paese meno indebitato d’Europa sul fronte familiare. Quanto alla Spagna siamo alle montagne russe: tra la vigilia della crisi e il 2010, il debito è praticamente raddoppiato toccando quota 85% salvo poi diminuire fino al 60% scarso di fine 2018.

Il credito «scorretto» colpisce i più poveri

Su questi numeri pesano soprattutto i fattori legati al mercato immobiliare. I Paesi dove la proprietà delle abitazioni è più diffusa, come il nostro, sono ovviamente favoriti. Quelli caratterizzati dalla bolla speculativa più intensa hanno patito maggiormente e patiscono tuttora. Ma il problema più oscuro e trascurato, in definitiva, potrebbe essere proprio quello dei prestiti di piccola entità, sempre più difficili da restituire.

«Oggi, sempre più persone chiedono prestiti personali, in molti casi per far fronte a spese quotidiane o a difficoltà finanziarie» scrive Finance Watch.

Il riferimento corre inevitabilmente ai più poveri. «Con i prestiti concepiti sempre più spesso per sfruttare i clienti attraverso condizioni complesse o scorrette, tutto questo sta diventando un problema. E l’aspetto peggiore è che le persone più vulnerabili possono avere accesso solo a questo genere di credito».

La UE? «Protegga i debitori»

Il risultato, sostiene Finance Watch, è l’accumulo di debito ingestibile, contratto in uno stato di necessità e condizionato da pratiche commerciali scorrette. I costi «sono significativamente superiori alla media del mercato tradizionale» e le condizioni contrattuali troppo complesse per essere comprese fino in fondo. «Il principale svantaggio – scrive ancora la Ong – è il costo per i consumatori che non pagano ogni mese l’intero saldo e continuano a maturare interessi supplementari. Alcuni prestiti sono progettati in modo tale che la maggior parte degli utenti sia intrappolata in un ciclo di prestiti a tempo indeterminato». I profitti su questo tipo di clientela sarebbero «molto più elevati».

Da qui l’invito alla UE a «colmare le lacune dell’attuale normativa a protezione dei debitori». Tra le richieste: controllo sui tassi effettivi, messa al bando delle forme di credito più rischiose e delle offerte porta a porta, sorveglianza da parte dell’Autorità Bancaria Europea. La UE è attualmente al lavoro per la stesura della nuova versione della Consumer Credit Directive (CCD), la Direttiva per la protezione dei debitori. L’approvazione definitiva della Commissione è prevista per la fine del 2019. Le nuove norme puntano a migliorare la Direttiva introdotta nel 2008. Basterà?

Il credito è un diritto?

Forse. Ma la questione è più complessa. Nella sua analisi, ad esempio, Finance Watch si chiede se quello al credito possa essere considerato come un diritto universale. Ovvero se sia applicabile anche al settore dei consumi, senza scontrarsi – implicitamente – con il rischio di sovraindebitamento. Emblematico, aggiungiamo noi, il caso del microcredito, salutato come panacea anti povertà dopo l’assegnazione del premio Nobel per la Pace al banchiere dei poveri (Sic) Muhammad Yunus nel 2006, e poi messo ampiamente in discussione all’inizio dell’ultimo decennio.

Gli esempi potrebbero continuare. Lena Lavinas, docente di Economia del Welfare all’Università Federale di Rio de Janeiro, ha ridimensionato le lusinghiere cifre ufficiali sul calo della povertà nel Brasile dell’era Lula denunciando proprio il boom del credito al consumo e la progressiva privatizzazione del welfare.

Raghuram Rajan, già docente all’Università di Chicago ed ex governatore della Banca Centrale indiana, ha spiegato la crisi come conseguenza delle facilitazioni al credito immobiliare. Inteso, a sua volta, come il mezzo «più semplice, popolare e rapido» per mascherare le disuguaglianze nella società americana a partire dagli anni ’90. Non esattamente credito al consumo, ma il principio è lo stesso. Chissà se l’Europa ha capito la lezione.