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Crisi: ultimo atto. C’è troppo debito nel mondo: vale 3 volte il Pil globale

Il debito globale vale 1/4 di quadrilione di dollari, il 318% del Pil. Nessun disastro imminente. Ma prima o poi dovremo fare i conti con il problema

Matteo Cavallito
Matteo Cavallito
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La crescita del debito globale rende l’economia «molto meno resiliente a eventuali shock legati a redditi o tassi di interesse». Lo sostiene una recente nota della società svizzera Lombard Odier Investment Managers. Nessuna tragedia all’orizzonte, ci mancherebbe. Ma una crescente consapevolezza del problema. L’indebitamento viaggia a livelli record e il rallentamento dell’economia mondiale non aiuta. Cresce il disagio, insomma. E con esso la sensazione di una certa resa dei conti. A dieci anni e più di distanza dalla crisi.

Il debito globale vale 244mila miliardi di dollari

Nel terzo trimestre del 2018, l’ultimo per il quale sono disponibili dati certi, il debito complessivo registrato nel mondo ammontava a 244,2 trilioni (mila miliardi) di dollari. Il dato, sottolinea l’Institute of International Finance, segna una crescita del 3,9% rispetto a 12 mesi prima e non è troppo distante dal record di marzo 2018: 247,7 trilioni. A conti fatti parliamo di una cifra equivalente al 318% del Pil globale.

Impressionante è il confronto di lungo periodo. All’inizio del XXI secolo, ha ricordato Bloomberg, il debito complessivo del Pianeta valeva 84 trilioni di dollari, poi saliti a 173mila miliardi nel 2008, l’anno del collasso Lehman. La crisi, insomma, non ha arrestato la tendenza, ma non tutti i comparti hanno contribuito allo stesso modo.

Bene le banche, male governi e imprese

I governi, per dire, hanno fatto un ampio ricorso al credito visto che la loro esposizione totale è passata da 37 a 67 trilioni di dollari tra il 2008 e l’inizio del 2018. L’incidenza sul Pil di questa massa debitoria è cresciuta nello stesso periodo del 28%. Contemporaneamente il debito delle imprese non finanziarie ha raggiunto i 74 trilioni di dollari contro i 46 di dieci anni fa.

Quello di individui e famiglie è passato da 37 a 47mila miliardi, in linea però con la crescita economica (la sua incidenza sul Pil è rimasta pressoché costante). Banche e istituzioni finanziarie, invece, appaiono più solide: il loro debito è aumentato da 58 a 61 trilioni di dollari, ma si è ridotto in termini relativi cedendo quasi 10 punti percentuali in rapporto al Pil.

Le imprese USA hanno debiti per 9.100 miliardi

In sintesi è accaduto questo: dopo la crisi le autorità regolamentari hanno imposto alle banche parametri più stretti e gli istituti centrali contemporaneamente, hanno avviato una politica espansiva azzerando i tassi. Con il costo del denaro a quota zero le imprese hanno potuto indebitarsi più facilmente e oggi suscitano una certa preoccupazione. Negli Stati Uniti, ad esempio, il debito delle imprese private è passato dai 4,9 trilioni di dollari del 2007 ai 9,1 di metà 2018. Con l’economia in crescita e i tassi ancora relativamente bassi la situazione appare gestibile. Ma in caso di rallentamento o di accelerata restrittiva della Fed (rialzo dei tassi, insomma) i rischi aumentano.

Occhio al reddito

Sarà un eccessivo debito a scatenare la prossima crisi? Non proprio, sottolinea la nota di Lombard Odier, ma una cosa è certa:

“maggiori livelli di indebitamento rendono l’economia vulnerabile agli shock e questo, a sua volta, amplifica l’impatto degli shock sull’economia”.

Il vero fattore di rischio, secondo l’analisi, è costituito dal reddito: “una contrazione del reddito – si legge ancora – può incidere drasticamente sulla capacità di chi è fortemente indebitato di onorare il debito, con il rischio di default”.

Il pensiero corre alla guerra commerciale tra Washington e Pechino e alle sue conseguenze. Vale per la Cina, dove il debito è cresciuto a dismisura. Ma vale anche per gli Stati Uniti. Secondo Forbes, tra posti di lavoro bruciati e aumento dei prezzi sulle importazioni, la guerra dei dazi tra Trump e Xi potrebbe costare agli americani una perdita sul reddito di quasi 47 miliardi di dollari.

La resa dei conti

Le principali preoccupazioni riguardano soprattutto i mercati emergenti il cui debito complessivo è passato da 16mila a quasi 70mila miliardi di dollari nello spazio di un decennio. Attenzione anche ai Paesi in via di sviluppo: nel 2017 i crediti in dollari vantati nei loro confronti ammontavano a 3,7 trilioni. Una massa debitoria che rischia di pesare sempre di più in caso di progressiva svalutazione delle monete locali sul biglietto verde.

Ma forse, suggerisce qualcuno, è il caso di guardare al problema nel suo complesso. È il monito dell’Institute of International Finance secondo il quale molti Paesi dovranno fare i conti prima o poi con debiti insostenibili. Il modello di crescita basato sull’accumulo di finanziamento dovrà essere messo da parte e l’espansione economica tirerà il freno a mano.

«Potrebbe essere questo il capitolo conclusivo della crisi finanziaria», ha osservato il Washington Post. Che ha precisato: «L’adozione di bassi tassi d’interesse da parte delle banche centrali è stata giustificata dall’obiettivo di evitare una depressione mondiale», ha ricordato. Ma il credito a basso costo, lamentano da sempre i critici, ha anche dato sostegno ai prestiti rischiosi «che non potevano sopravvivere a tassi più alti». La resa dei conti, in un certo senso, potrebbe essere vicina.