Il grano russo fa boom: e Mosca tifa (ottusamente) climate change

La Russia rema contro la lotta ai cambiamenti climatici e grazie al riscaldamento globale è regina del grano. Ma gli scienziati avvertono: sarà vittoria di Pirro

In Russia il riscaldamento globale fa meno paura di quanto non accada in Europa, dove il popolo più preoccupato dall’avanzata dei cambiamenti climatici è quello italiano. L’Italia condivide infatti i suoi timori con buona parte della comunità internazionale, che si è riunita pochi giorni fa a Katowice, in Polonia, per individuare risorse e studiare politiche utili a frenare l’aumento delle temperature. Con scarsi risultati, a dire il vero.

Ma su come e quanto investire in questa battaglia collettiva le posizioni in campo restano molteplici. E se le isole del Pacifico, sempre più spesso spazzate dagli uragani, rischiano di scomparire per l’innalzamento del livello del mare e tuonano contro l’accordo al ribasso di Cop24, la Russia sta investendo e facendo profitti proprio sul global warming.

Non per nulla la patria di Gazprom, secondo produttore di gas serra tra i giganti multinazionali del settore oil & gas, viene associata regolarmente a manovre – più o meno pubbliche, lecite e dirette – per ammorbidire l’impegno internazionale nel ridurre le emissioni climalteranti.

E non stupisce che proprio a Katowice, insieme a quelle di Stati Uniti, Arabia Saudita e Kuwait, la delegazione inviata da Vladimir Putin abbia insistito perché non fossero inserite nei documenti finali parole che dessero sostegno alle conclusioni allarmanti dell’ultimo rapporto dell’Ipcc sul clima, secondo il quale, di questo passo, il mondo potrebbe raggiungere i +1,5 gradi centigradi già nel 2030».

Russia, tanto grano come non se ne vede da 25 anni

Un’allarme di cui non si è mai occupato l’ex ministro dell’agricoltura russo Alexander Tkachev, in carica fino a maggio 2018. Il quale tuttavia ha affermato più volte di «immaginare che i cereali alla fine spodesteranno il petrolio come maggior fonte di reddito da esportazione del Paese». Una previsione riportata sulle pagine di Bloomberg.com e ancora lontana dal realizzarsi, a vedere i dati recenti della bilancia commerciale russa. Ma che non nasconde l’impetuosa corsa del grano russo.

infografica bilancia import-export Russia 2016 – fonte atlas.media.mit.edu – Eng

Le esportazioni di grano dalla Russia sono cresciute fino a raggiungere il livello più alto mai toccato da nessun Paese negli ultimi 25 anni (il record precedente risale al 1992-1993 e apparteneva agli USA). Grazie ad un raccolto eccezionale e al valore del rublo relativamente debole, il grano russo è infatti estremamente competitivo su tutti i mercati, guadagnando quote fino a ieri sconosciute. Negli stessi Stati Uniti, ad esempio, o su piazze come quella del Venezuela, notoriamente in profonda crisi, anche alimentare.

confronto maggiori esportatori di grano, campagna 2014-15 e campagna 2018-19 – Elaborazione BMTI all’11-12-2018

Un quadro ampiamente confermato dallo studio di Giampaolo Nardoni, analista di Borsa merci telematica italiana, secondo cui la Russia è diventata il primo esportatore mondiale di grano. Principalmente a discapito dell’Unione europea, la cui quota sull’export mondiale di grano è scesa dal 22% al 13%.

Dati alla mano, grazie a una crescita dell’export avvenuta ad un ritmo annuo del +12,5%, oggi (campagna commerciale 2018/19) l’ex Unione sovietica rappresenta il 20% di tutte le esportazioni mondiali di grano (valeva il 14% nella campagna 2014/15). Una percentuale che si traduce in un incremento dei volumi nell’ordine del +60%: dalle circa 22 milioni di tonnellate di grano del 2014/15 alle 36 stimate per la campagna 2018/19.

I motivi del boom

La volata traina anche altri prodotti (mais e orzo su tutti), ed è sospinta da un’aumento del consumo globale di cereali del 2,8% medio l’anno nel periodo 2011-2016 (nel 2017-18 i cereali russi esportati sono stati 52,4 milioni di tonnellate). Tanto più che la Russia è anche un grande esportatore di mangimi. E, in generale, si tratta di un trend che non sembra rallentare.

Il Consiglio internazionale dei cereali prevede un aumento annuale del loro consumo dell’1,4% fino al 2021, e le previsioni di FAO vedono il consumo alimentare di grano tenere il passo con la crescita della popolazione mondiale.

GRAFICO produzione, consumo e riserve mondiali di cereali – FAO, 6 dicembre 2018

Tutto concorre all’ascesa dell’export dalla Russia. Con un’associazione – esposta da Nardoni – tra fattori di politica economica internazionale ed elementi legati al cambiamento climatico:

  1. conseguenze dell’embargo russo che, limitando l’import di prodotti alimentari, ha determinato una forte di politica di investimenti nel settore delle materie prime agricole, tra cui cereali e grano in particolare;
  2. investimenti nel settore tradotti principalmente in un miglioramento delle strutture logistiche (trasporti, siti di stoccaggio e commercializzazione, nuovi terminal) e in misure di sostegno per l’acquisto di terreni. Tanto che Reuters ipotizza per la Russia ulteriori record nell’export: 77,7 milioni di tonnellate di cereali entro il 2022;
  3. crescita delle temperature che sta consentendo di rendere agricole superfici che prima non erano coltivabili. Quella stessa crescita delle temperature che in Europa, particolarmente in quella continentale, ha fortemente ridotto la produzione di grano nell’annata 2018/19 (-12%, ai minimi pluriennali).
confronto quotazioni e prezzi del grano per l’export da Russia, Europa e Stati Uniti – elaborazione BMTI

140 milioni di acri in regalo dal climate change

Una progressione costante e forse destinata a continuare. Stando a quanto riporta Bloomberg, infatti, – «la temperatura nelle aree produttrici di cereali dell’Eurasia aumenterà fino a 1,8 gradi entro il 2020 e fino a 3,9 gradi entro il 2050, con il maggiore aumento in inverno. Ciò significa una stagione di crescita più lunga e migliori raccolti».

trend delle esportazioni di grano dalla Russia nel periodo 1993-2018 – fonte USDA, elaborazione Bloomberg.com

Il cambiamento climatico significa perciò che le fattorie russe potranno «espandersi verso nord, verso terre che non sono mai state utilizzate per coltivare grano. Ma, cosa ancora più importante, aiuterà la Russia, e in misura minore l’Ucraina e il Kazakistan, a recuperare terreni coltivati che sono caduti in disuso nel 1991 fino al 2000 – circa 140 milioni di acri (cioè circa 56 milioni di ettari, ndr)». Terreni abbandonati nei primi anni del capitalismo post-sovietico perché il loro sfruttamento venne valutato come antieconomico.

Più terra, quindi. E più investimenti: indotti dalle sanzioni e dalle prospettive di abbandono delle fossili, finalizzati a sburocratizzare e ammodernare agricoltura e logistica. Il combinato disposto tra questi input metterebbe le ali al sistema agricolo russo. Che, proprio in quanto piuttosto arretrato, sembra avere un potenziale di crescita ancora inesplorato.

Maugeri: delicato equilibrio a rischio. Imprevedibili gli effetti

Ma il gioco della Russia, che da un lato spinge sul grano e gli idrocarburi e dall’altro nega che i cambiamenti climatici siano opera dell’uomo, promuovendo un’idea di adattamento più che di contrasto, è pericoloso. Perché «Nessun Paese guadagna dal cambiamento climatico».

L’affermazione, netta e perentoria, è del professor Maurizio Maugeri, docente di Scienze e politiche ambientali all’Università statale di Milano. L’innalzamento delle temperature «mette in atto una serie di meccanismi in gran parte sconosciuti. Per cui è un rischio per tutti. Ci può essere nell’immediato un aumento della produttività, ma cosa possiamo dire della proliferazione di parassiti o di altri elementi che incidono sull’agricoltura? Andiamo a rompere una situazione tutto sommato di equilibrio, e accanto ai danni che già oggi possiamo comprendere e prevedere, in un sistema così complicato si mette in movimento una serie di altre ripercussioni che non possiamo neanche immaginare».

impatto globale sul Pil pro-capite dell’innalzamento delle temperature. Previsioni IPCC degli scenari RCP 4.5 e RCP 8.5 – fonte, FMI, Outlook 2017. Rappresentative Concentration Pathways (RCP) sono scenari di concentrazioni di gas serra elaborati dall’IPCC. RCP 4.5 è uno scenario intermedio, che presuppone maggiore attenzione all’ambiente, con un picco delle emissioni intorno al 2050 e da allora in poi in declino. RCP 8.5 è uno scenario non mitigato in cui le emissioni continuano a salire per tutto il XXI secolo.

Grasso: guadagni a breve compromessi dagli eventi climatici estremi

Una posizione sostanzialmente analoga a quella di Marco Grasso dell’Università di Milano-Bicocca, esperto di politica e governance dei cambiamenti climatici. Il quale, nell’esprimere diffidenza rispetto agli studi “molto aggregati”, richiama le valutazioni pubblicate a settembre 2017 nell’Outlook del Fondo Monetario Internazionale.

«In questo studio viene fatta una simulazione su cosa succederebbe nel 2050 in tutti i Paesi del mondo di fronte a un innalzamento di 1°C della temperatura rispetto al livello preindustriale. Che è quello che sta accadendo ed è molto meno di quanto si prevede che potrebbe accadere da qui alla fine del secolo. Per la Russia si avrebbe un aumento dell’output pro-capite dello 0,83%. Un Paese come la Mongolia, sottoposta a climi estremi, avrebbe un aumento intorno al 1,4%. Per il Canada +0,78%.

incremento della temperatura globale elaborato dall’IPCC, osservato e secondo due scenari di previsione RCP 4.5 e RCP 8.5 – fonte FMI, Outlook 2017

Ma i calcoli così precisi del Fondo Monetario Internazionale riguardano guadagni a breve termine. Perché invece, a vedere sul medio-lungo periodo, si innescherebbero problemi relativi a siccità, alluvioni, ondate di calore che comprometterebbero i vantaggi a stretto giro. Anche in quei Paesi che ne avessero beneficiato».