In Italia è allarme istruzione (eppure le soluzioni esistono…)

A parte il ciclo della scuola primaria, la qualità formativa si sta abbassando. Pochi gli interventi contro abbandono precoce e disuguaglianze. A risentirne, l'intero sistema-Paese

Oltre 800mila studenti, in Italia, su circa sette milioni, negli ultimi tre anni, hanno abbandonato prematuramente scuola e formazione. Secondo i dati del Ministero dell’Istruzione a luglio 2019, almeno 100mila tra loro, dai 13 e i 17 anni risultano «dispersi» nel percorso tra il primo e secondo grado di scuola dell’obbligo. Il dato è già di per sé allarmante. Ma ad esso bisogna sommare l’abbandono scolastico e formativo di 598mila giovani dai 18 ai 24 anni nel 2018.

Dispersione scolastica e formativa in Europa, tra i 18-24 anni, Fonte Eurostat

Sale l’abbandono scolastico

Valore in aumento, salito al 14,5%, secondo Eurostat, contro il 10% previsto dalla UE. Secondo il quadro strategico europeo, entro il 2020, il 40% dei 30-34enni dovrebbe essere in possesso di un titolo di studio universitario o professionalizzante. Ma, anche su questo secondo target, siamo fermi al 27,8%. Fanalino di coda in Europa che, nel 2018, ha raggiunto l’obiettivo arrivando al 40,7%. Con Francia, Spagna e Regno Unito in testa, già da diversi anni.

I dati Invalsi confermano: ancora bassa la qualità dell’apprendimento 

L’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (Invalsi), con l’ultimo rapporto a luglio 2019, ha confermato come la qualità dell’apprendimento non sia uniforme per gli studenti in tutto il Paese. Seppure in lieve miglioramento, restano forti differenze tra chi frequenta scuole del nord, centro, sud e isole.  Con enormi problemi, soprattutto, in matematica e inglese, a partire dalle medie inferiori.

I dati erano già emersi dall’indagine PISA – Ocse 2015: un terzo degli studenti italiani 15enni non raggiungeva, già allora, un livello di competenze sufficiente, in lettura, matematica, scienze.

La spesa pubblica per l’istruzione: tra le più basse in Europa 

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, aveva assicurato, nell’introduzione al Documento Economico Finanziario 2019 di aprile scorso, che «tra i principali obiettivi programmatici dell’azione di governo vi è anche il sostegno all’istruzione scolastica e universitaria».

In realtà, la spesa per l’istruzione scenderà nel 2020, al valore più basso di sempre: solo al 3,5%, del PIL. Più di un punto in meno alla media europea, che viaggia intorno al 4,7% secondo le elaborazioni di Openpolis.

Non c’è, quindi, da stupirsi, se «l’Italia è ancora agli ultimi posti in Europa per numero di laureati, tasso di abbandono e competenze». Lo afferma Istat, nell’ultimo rapporto di monitoraggio sugli indicatori di benessere e sostenibilità, (BES), gli equivalenti dei Sustainable Development Goals (SDG), gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dall’ONU. Il nostro è il Paese OCSE che spende meno in Europa per la pubblica università.

Spesa pubblica, Def 2019, Fonte MEF

Azzerare la dispersione scolastica fa alzare il PIL

Eppure, proprio l’azzeramento della dispersione scolastica produrrebbe tra 1,4% e il 6,8% del PIL. Potremmo passare da 21 miliardi di euro a 106 miliardi di euro, a seconda del livello di crescita del Paese, secondo uno studio di Fondazione Giovanni Agnelli, WeWorldOnlus e Associazione Bruno Trentin con CsvNet.

Impedire la dispersione e l’abbandono, migliorare la qualità dell’istruzione, renderla più equa e inclusiva, resterebbe, quindi, un obiettivo fondamentale per il benessere sociale ed economico di generazioni presenti e future. Ma l'obiettivo, però, è al centro delle politiche europee e internazionali, non dell’agenda politica italiana.

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Mille riforme per tornare indietro

Nonostante le continue riforme scolastiche che, almeno dagli anni 2000, si sono avvicendate con ogni governo, la strategia per contrastare la dispersione scolastica, oggetto anche di un’indagine parlamentare nel 2014, non è ancora sfociata in un piano esecutivo. Eppure, la persistenza della povertà in vaste aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno e la presenza di analfabetismo funzionale in età adulta, pone ancora la popolazione italiana al di sotto della media europea per competenze alfabetiche e numeriche, come dimostrano i dati dell’indagine PIIAC.

Distribuzione percentuale della popolazione sui livelli di competenza di literacy per ripartizione territoriale
Distribuzione percentuale della popolazione sui livelli di competenza di literacy per ripartizione territoriale. FONTE: Indagine PIAAC.

I numeri della scuola dell’obbligo

Sempre dal 2000, le nostre istituzioni scolastiche, pur facendo parte del sistema scolastico nazionale, hanno una propria autonomia amministrativa, didattica e organizzativa: la più imponente agenzia di sviluppo del Paese, frequentata nell’ultimo anno scolastico da almeno 7.682.635 allievi e allieve. Un organismo gigantesco che ha saputo includere, nonostante la carenza di insegnanti di sostegno, i bambini con disabilità e più recentemente, centinaia di migliaia di figli di immigrati.

Un sistema complesso, mantenuto attivo grazie al lavoro quotidiano di 681.311 docenti, 141.412 insegnanti di sostegno e 8500 dirigenti. Tutti insieme si distribuiscono in 8221 istituzioni principali e 41.060 diverse sedi scolastiche, dando vita a 370.611 diverse classi.  A questi numeri si aggiungono quelli delle scuole paritarie, 12.662, frequentate da 879.158 bambini. Di questi ben 541.447 hanno frequentato le scuole dell’infanzia private, carenti nel pubblico.

Le soluzioni ci sono già: nel documento della cabina di regia contro il fallimento formativo 

La fotografia dello stato dell’arte della scuola italiana è contenuta nelle 55 pagine della relazione prodotta, nel 2018, dalla cabina di regia per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa, istituita dal ministro dell'Istruzione, Valeria Fedeli, sotto il governo Gentiloni. «Il contrasto al fallimento formativo è possibile solo attraverso una politica nazionale e trasversale che veda impegnati tutti gli attori: scuola, famiglie, comuni, regioni - sottolinea a Valori, Marco Rossi Doria, che ne ha coordinato i lavori.

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«Non occorre una nuova legge o un set di misure ulteriori ma una regia politica seria fondata su un patto nazionale condiviso che serva a riconoscere ciò che già funziona sostenendo la prospettiva di un consolidamento delle buone pratiche» si legge nel documento.

La scuola italiana è rimasta una scuola di classe

Quello che emerge dall'analisi è che povertà economica e povertà educativa stanno andando di pari passo. E sono alla radice dell’abbandono scolastico precoce, figlio di disagio economico e sociale, con effetti a breve e lungo termine: dalla difficoltà di trovare lavoro, all’aggravamento della disuguaglianza.

Un esempio su tutti. In base ai dati Ocse-Pisa, se si esaminano i ragazzi con i livelli più bassi di competenza nei saperi irrinunciabili (matematica di base e lettura) il 36% dei quindicenni figli di famiglie povere non raggiunge le competenze minime in matematica e il 29% in lettura e comprensione di semplici testi. Ancora una volta, si evidenzia il forte divario territoriale: i quindicenni con basse conoscenze in lettura e in matematica sono, rispettivamente, il 23% e il 20% al Nord,  e ben il 34% e il 30% al Sud.

L’anello debole: le scuole medie inferiori e il biennio delle superiori

Qualcosa di positivo c’è: la tenuta educativa e didattica migliore è nella scuola primaria italiana, che si mostra capace di assicurare risultati positivi in competenze chiave come lettura e comprensione dei testi. Ma con risultati che non sono confermati dal percorso scolastico successivo, tra i 10 e i 15 anni. Le dolenti note iniziano, infatti, con il passaggio alle scuole medie e al successivo biennio.

Oggi è obbligatoria l’istruzione impartita per almeno 10 anni, che riguarda la fascia di età compresa tra i 6 e i 16 anni, con il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il 18esimo anno di età. Il sistema scolastico italiano, tra una riforma e l’altra, però, non si è ancora adeguato. Le medie inferiori terminano infatti a 14 anni.

Tra obbligo scolastico e obbligo formativo 

C’è l’obbligo formativo, ossia il diritto/dovere dei giovani che hanno assolto all’obbligo scolastico, di frequentare attività formative fino all’età di 18 anni. Ma non ci sono ancora strumenti efficaci per monitorare questo passaggio, specie per chi non si iscrive ai licei, agli istituti tecnici, al termine delle scuole medie. La formazione professionale, infatti, è in capo alle regioni.

Proprio l’uscita precoce dal percorso di istruzione e formazione, tra obbligo scolastico e obbligo formativo sembra essere uno dei nostri mali peggiori.  Diversamente da quanto accade in altri Paesi d’Europa, dove non c’è interruzione fino ai 16 anni, permettendo così anche un miglior orientamento sulle scelte future. E una minore dispersione.

5 proposte per uscire dall'impasse

I lavori della VII Commissione della Camera nel 2014, avevano indicato chiaramente le cinque priorità per uscire dalla dispersione scolastica. A partire dall’ingresso precoce nel sistema scolastico, con l’incremento dell'accesso agli asili nido e alla scuola dell'infanzia. Soprattutto nelle regioni del Sud d'Italia e nelle Isole.

https://www.facebook.com/Valori.it/videos/2228694610491423/

Nell’attesa di un eventuale riordino dei cicli, occorrono percorsi certi di istruzione e formazione professionale, ben definiti, per ogni regione italiana. Alcune di esse non li hanno ancora istituiti. Non deve poi mancare un vero piano di formazione per i docenti in servizio. Con la sperimentazione di princìpi educativi e nuove pratiche didattiche per favorire l’apprendimento.

Il tutto deve essere monitorato, con un'anagrafe nazionale dello studente, in grado di valutare preventivamente il rischio basso, medio o alto di abbandono precoce degli studi. In modo da attivare gli interventi, nei confronti delle famiglie degli studenti a rischio, potenziandone i compiti e le capacità educative.

Dal governo giallo-verde il nulla

Ma con i 15 mesi del governo Lega-M5S si è solo perso tempo: lo scorso febbraio, il ministro dell’Istruzione Bussetti, si è infatti limitato a ribadire alcune di queste priorità nell’atto di indirizzo delle politiche del Miur. Ad esse sono seguiti, nelle ultime settimane, alcuni decreti, che si rifanno, in parte, ai Fondi Europei (PON-FSE). Le risorse stanziate dallo Stato, restano, però, troppo esigue. Occorrerebbe andare a rileggere quanto aveva già scritto l'economista Carlo Cottarelli, incaricato della spending review nel governo Monti: «spendiamo ‘troppo’ in quasi tutti i settori, tranne in cultura e istruzione».