La crisi climatica fa pagare soprattutto i più poveri. Anche alle Hawaii
I devastanti incendi alle Hawaii hanno fatto emergere la crisi abitativa, sociale ed economica di chi lavorava nel turismo
Il riscaldamento globale – per definizione – colpisce tutti, ovunque. Ma, come spesso accade, sono le persone più esposte ai rischi e più vulnerabili a pagare il prezzo maggiore delle sue conseguenze. A partire dai danni che possono provocare gli eventi estremi. Le persone che soffrono di più la crisi climatica, in particolare, sarebbero quelle che hanno un reddito basso o un titolo di studio inferiore a un diploma.
E poi le persone che appartengono a una minoranza etnica o le più anziane. Insomma, quelle meno consapevoli di ciò che sta per succedere o che sono meno in grado di muoversi, di spostarsi, di scappare altrove per evitare un pericolo. A sostenere questa tesi negli Stati Uniti è stato il rapporto Climate Change and Social Vulnerability in the United States realizzato nel 2021 dalla United States Environmental Protection Agency (EPA), l’Agenzia di protezione dell’ambiente degli Stati Uniti.
La città di Lahaina, sull’isola di Maui, distrutta dagli incendi115 morti alle Hawaii per il devastante incendio sull’isola di Maui
Più che una previsione, lo studio dell’EPA è sembrato una premonizione a tutti coloro che ad agosto hanno vissuto l’incendio devastante che ha colpito le Hawaii, in particolare l’isola di Maui, e che ha causato la morte di almeno 115 persone e la distruzione di oltre 2.200 tra edifici e abitazioni. Un bilancio quasi definitivo secondo il governatore Josh Green che fa del disastro naturale (se così si può definire) di quest’anno il peggiore nella storia delle Hawaii e il più letale degli Stati Uniti dal 1918 quando un incendio di proporzioni gigantesche devastò lo stato del Minnesota provocando centinaia di morti e decine di migliaia feriti sfollati.
Un incendio che, anche se non imputabile direttamente al riscaldamento globale, è stato certamente aggravato da alcuni fattori concomitanti. Quali terreni aridi dovuti a stagioni particolarmente secche dal punto di vista delle precipitazioni. Temperature estive molto più alte della media. E forti venti dell’uragano Dora che hanno aumentato i fattori di rischio. Lo stesso Green ha affermato che le fiamme sono state alimentate da condizioni meteo mai viste prima, collegando in qualche modo l’evento estremo ai cambiamenti climatici. Del resto, gli scienziati da tempo evidenziano come il riscaldamento globale, causato in gran parte dall’utilizzo di combustibili fossili, porterà ad un aumento della frequenza e della violenza dei fenomeni meteorologici.
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A conferma, però, del fatto che sono le persone più vulnerabili a subire le conseguenze peggiori, c’è anche un racconto del quotidiano New York Times che ha dato voce a ciò che hanno vissuto gli anziani ospiti di una senior house, una casa di riposo della cittadina di Lahaina, tra le zone più colpite dalla tragedia. La casa gestita dalla non profit Hale Mahaolu era tra le poche che offrivano soluzioni a prezzi abbordabili per gli anziani di Maui. Che, sempre più, rischiano di finire per strada proprio per le liste di attesa infinite che regolano gli ingressi in queste residenze. Una camera con vista sull’oceano Pacifico, per intenderci, costava solo 150 dollari al mese, circa 138 euro.
Le Hawaii erano già in emergenza abitativa. Per chi portava avanti il carrozzone del turismo
«Se riesci a entrare in questa casa di riposo, è come se avessi vinto alla lotteria», ha dichiarato al New York Times Sanford Hill, 72 anni, un fotografo che ha vissuto sull’isola di O‘ahu e che per due anni ha dovuto vivere da senzatetto prima di ottenere un posto. «Qui ci rimani finché muori», ha aggiunto Hill anche se nella sua testa mai avrebbe pensato che la morte sarebbe sopraggiunta sotto forma di un inferno di fuoco. Per ora, infatti, sono due le vittime accertate tra i residenti della casa di riposo.
L’altra faccia della medaglia riguarda le migliaia di abitazioni distrutte. Anche se è vero che a Maui c’erano (e ci sono) anche residenze di personaggi miliardari – come la conduttrice televisiva Oprah Winfrey e il fondatore di Amazon Jeff Bezos –, a essere maggiormente colpite sono state le case modeste delle migliaia di persone che, nell’ombra, portavano avanti l’industria più remunerativa delle Hawaii: quella turistica.
Un disastro nel disastro che ha portato alla luce quella che già si poteva definire un’emergenza abitativa legata alla scarsissima disponibilità di alloggi a basso costo in un luogo ormai trasformato dalla gentrificazione e dal turismo. Qui ogni chilometro quadrato va sfruttato al massimo e lo spazio vitale per i numerosi lavoratori che fanno andare avanti lo spettacolo è sempre più ridotto.
Un sistema basato su lavoratori trattati come viaggiatori di terza classe sul Titanic
Come fossero viaggiatori di terza classe su una nave da crociera. Anzi, su un Titanic. Ma come il Titanic, questo sistema era destinato ad affondare e l’evento estremo scoppiato sotto forma di fiamme a inizio agosto ha causato danni per oltre 5 miliardi e mezzo di dollari e almeno 11mila profughi.
Numeri straordinari, soprattutto per un Paese come gli Stati Uniti, la ex locomotiva del mondo. Che oggi deve far fronte a emergenze climatiche come fosse un Paese in via di sviluppo qualsiasi. Del resto, lo slogan impresso sul padiglione del Pakistan alla conferenza sul clima di Sharm el-Sheik, alla Cop27, recitava: «What goes on in Pakistan, won’t stay in Pakistan». Ovvero «ciò che sta succedendo in Pakistan, non rimarrà in Pakistan».
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Il riferimento era alle devastanti alluvioni che hanno colpito il Paese asiatico nel 2022. Un monito, una premonizione anche in questo caso, di come debba cambiare, in chiave universalistica, la lotta contro la crisi climatica. Una lotta che deve anzitutto affrontare il tema delle disuguaglianze economiche e sociali, eliminandole. Per poi dar spazio alla costruzione di una nuova forma di sviluppo che non lasci indietro nessuno, in ogni parte del mondo.
Questo è ciò che il disastro hawaiano, come molti altri prima di lui, ci insegna nel lungo percorso verso la giustizia climatica e sociale.