Opacità finanziaria. Il doppio gioco di 5 nazioni del G7 (Italia inclusa)
Nel 2021, Stati Uniti, Giappone, Italia, Germania e Regno Unito hanno limitato i miglioramenti nell'opacità finanziaria internazionale
A partire da oggi, 18 maggio, e fino a venerdì i ministri delle Finanza dei Paesi del G7 e i governatori delle banche centrali sono riuniti a Bonn. Si tratta del secondo appuntamento sotto la guida tedesca. Molti i temi all’ordine del giorno: oltre alle priorità del governo di Berlino (sostenibilità della ripresa economica post-Covid, rafforzamento della stabilità finanziaria delle economie nazionali e riconversione digitale e ecologica) i ministri rinnoveranno il proprio impegno nel far rispettare le sanzioni sui patrimoni nascosti degli oligarchi russi.
Si stima che 10mila miliardi di dollari siano detenuti offshore da individui facoltosi attraverso accordi segreti. 2,5 volte il valore di tutte le banconote e monete in dollari ed euro in circolazione oggi nel mondo. E la classifica delle giurisdizioni che aiutano gli ultraricchi a nascondere i propri patrimoni potrebbe sorprendere.
Gli Stati Uniti in testa alla classifica dell’opacità finanziaria
Intorno a quel tavolo, a Bonn, siederanno i ministri di tre Paesi che compaiono nella top ten delle nazioni non sufficientemente trasparenti in materia fiscale, stilata dal Tax Justice Network. Parliamo di Stati Uniti, Germania e Giappone. Il Financial Secrecy Index 2022 pubblicato martedì 17 maggio dall’organizzazione non governativa analizza il livello di opacità finanziaria delle diverse giurisdizioni. Classificandole secondo il loro livello di complicità nel permettere agli individui che lo desiderano di proteggere i propri patrimoni dal fisco.
Gli Stati Uniti, in particolare, sono balzati in testa alla classifica, registrando la peggiore valutazione dal 2009 (anno della prima edizione dell’indice). Secondo il Tax Justice Network, la nazione guidata da Joe Biden è responsabile del 5,74% del rischio di opacità finanziaria a livello mondiale. Ovvero di pratiche che facilitano gli abusi fiscali e consentono il riciclaggio di denaro.
Il Financial Secrecy Index è la misura del grado di opacità finanziaria fornita da una giurisdizione. Essa risulta dalla combinazione del punteggio di opacità e del peso a livello globale. Ovvero il valore dei servizi finanziari forniti dalla giurisdizione a residenti di altri Paesi. Un dato espresso in percentuale rispetto all’insieme dei servizi finanziari forniti da tutte le giurisdizioni a tutti i non residenti nel mondo. Per gli Stati Uniti questo valore è pari al 25,8%.
L’impegno di Biden per la trasparenza non è ancora sufficiente
Dal 2020 l’offerta di opacità finanziaria del Paese è aumentata del 31%. Diventando la più alta mai misurata. Attualmente quasi il doppio di quella Svizzera, al secondo posto della classifica. Una crescita dovuta in parte al peggioramento del punteggio di opacità, passato da 63 a 67 su 100. Ciò soprattutto perché gli Stati Uniti non si sono ancora adeguati agli standard e alle pratiche internazionali sullo scambio di informazioni con gli altri Paesi. Alcuni dei quali in vigore da oltre un decennio. Inoltre, la nazione nordamericana ha aumentato del 21% il volume dei servizi finanziari forniti ai non residenti.
Un risultato in contrasto con le dichiarazioni d’intento del presidente Joe Biden. Il quale ha fatto della trasparenza nel settore finanziario un pilastro della sua politica estera. Arrivando a dichiarare: «Guiderò gli sforzi a livello internazionale per portare trasparenza nel sistema finanziario globale, perseguire i paradisi fiscali, sequestrare gli asset rubati e rendere più difficile ai leader che derubano i loro cittadini nascondersi dietro società anonime». Lo stesso Biden ha guidato un’azione senza precedenti per arginare gli abusi fiscali delle multinazionali, attraverso la promozione di un’aliquota minima globale. Pur riconoscendo, per usare le parole della Segretaria al Tesoro Janet Yellen, che gli Stati Uniti possono essere ancora oggi «il posto migliore per nascondere e riciclare guadagni illeciti».
Nonostante lo scarso impegno del G7 a livello globale l’opacità finanziaria diminuisce
A livello globale, l’indice di segretezza finanziaria ha registrato una riduzione del 2%, dopo il 7% del 2020. Ciò significa che si sono ridotti gli spazi per pratiche come la proprietà anonima di beni immobiliari, il segreto bancario e l’uso di trust per sottrarre ricchezza al controllo della legge. Ovvero quelle pratiche messe sotto osservazione nel tentativo di applicare le sanzioni agli oligarchi russi.
Secondo gli autori dell’indice, i passi avanti sono dovuti principalmente alla crescita del numero di Paesi che hanno migliorato le proprie normative sulla “proprietà effettiva”. Cioè la richiesta di identificare le persone fisiche che possiedono, controllano o beneficiano di una società. Inoltre, è cresciuto il numero di Paesi, in particolare a basso reddito, che hanno migliorato la cooperazione internazionale in materia di antiriciclaggio e scambio di informazioni.
I progressi ottenuti, tuttavia, sono stati limitati proprio da alcuni Paesi del G7. I cui ministri delle Finanze si riuniscono a Bonn per impegnarsi a far rispettare le sanzioni sui patrimoni nascosti degli oligarchi russi. Negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Germania, Giappone e Italia “l’offerta” di servizi che consentono di usufruire di diverse forme di segretezza finanziaria hanno fatto sì che il miglioramento sia stato, appunto, solo del 2%. Escludendo tali cinque nazioni, si sarebbe raggiunta una riduzione dell’indice pari al 5%. Una dinamica che, di fatto, crea le condizioni affinché gli oligarchi russi, ma anche gli evasori fiscali, i riciclatori di denaro e i politici corrotti di tutto il mondo possano continuare a nascondere i propri patrimoni.
«Serve un registro patrimoniale globale»
Il Tax Justice Network non si limita però ad analizzare la situazione e denunciare criticità. Nel proprio indice elabora anche proposte. La più importante è l’istituzione di un registro patrimoniale globale. Una proposta sostenuta da alcuni importanti economisti, come Gabriel Zucman, Joseph Stiglitz e Thomas Piketty, in una lettera aperta nello scorso mese di aprile. E da Mario Draghi a marzo 2022, con la richiesta di creazione di un registro patrimoniale internazionale pubblico per le persone con un patrimonio superiore a 10 milioni di euro.
Si tratterebbe di un registro internazionale e centralizzato di tutte le ricchezze e di tutti i beni di grande valore collegati ai loro proprietari effettivi. Così da far emergere dall’ombra migliaia di miliardi di dollari di ricchezza e beni nascosti all’estero e sottratti alla tassazione e alla redistribuzione per affrontare le disuguaglianze. Alex Cobham, amministratore di Tax Justice Network, lancia la sfida: «Il G7 deve chiarire da che parte sta nella lotta al segreto finanziario impegnandosi a creare un registro patrimoniale globale».