Che cos’è l’inflazione e cosa comporta per la vita di tutte e tutti noi
Cosa è l'inflazione, quali sono le sue ripercussioni delle fluttuazioni dei prezzi per i consumatori e quali le contromisure possibili
Il 2021 è stato un anno segnato dall’inflazione: nella zona Ocse, che riunisce i Paesi più sviluppati, i prezzi sono cresciuti del 5,8%. Livelli così alti non si vedevano da 25 anni. In Italia questo aumento ha toccato il 3,7%, a novembre, su base annua. I governi e le banche centrali di mezzo mondo hanno le antenne alzate. Jerome Powell, presidente della Federal Reserve americana, si dice pronto a intraprendere azioni incisive qualora il fenomeno persistesse ancora a lungo. Che potrebbero tradursi in un rialzo dei tassi di interesse. Dall’altra parte dell’Atlantico, la sua omologa europea Christine Lagarde predica pazienza e non intende prendere provvedimenti.
La crescita dei prezzi e il potere d’acquisto
Un aumento dei prezzi di quasi il 6%, mai visto nell’ultimo quarto di secolo, è un dato che si fa notare e di cui tutti parlano. Come va interpretato, dunque, questo fenomeno? E, prima di tutto, in cosa consiste l’inflazione?
L’inflazione è una crescita progressiva del livello generale dei prezzi nel tempo. Se i prezzi aumentano, la moneta perde valore: con 100 euro di ieri, oggi puoi comprare meno cose, e se il tuo stipendio non cresce alla stessa velocità dei prezzi, stai perdendo potere d’acquisto.
L’aumento dei prezzi viene indicato con il cosiddetto tasso di inflazione: una percentuale che, per convenzione, esprime la variazione nell’arco di un anno. Quel 5,8%, quindi, si riferisce al tasso del periodo novembre 2020-novembre 2021.
Un tasso d’inflazione basso è un fenomeno normale e prevedibile. E una condizione fondamentale per una crescita equilibrata dell’economia e dell’occupazione è una certa stabilità dei prezzi. La Banca centrale europea ha individuato questa soglia di sicurezza in un tasso di inflazione del 2%, che con le proprie politiche monetarie cerca di mantenere.
Come si calcola l’inflazione?
In Italia il tasso di inflazione è calcolato dall’Istat. L’istituto nazionale di statistica costruisce a tavolino un paniere di beni e servizi, rappresentativo dei consumi reali delle famiglie. Fuori le valigie, dentro le mascherine: il paniere viene modificato nel tempo per replicare fedelmente i consumi degli italiani, dando al prezzo di ciascun elemento il peso con cui va a incidere sul portafoglio dei consumatori.
Dall’osservazione di questo paniere scaturisce un indice, ovvero un numero che esprime la media dei prezzi dei beni al consumo (ponderata con l’incidenza di ciascuno sul loro insieme). Il tasso di inflazione altro non è che la differenza percentuale tra diversi indici nel tempo.
Nel nostro Paese l’Istat, ogni mese, calcola tre indici e la loro rispettiva evoluzione. L’indice nazionale per l’intera collettività, il Nic, fotografa il fenomeno dell’intero sistema economico italiano. Questo dato nel 2021 è cresciuto, appunto, del 3,7% a novembre. L’indice per le famiglie di operai e impiegati, il Foi, rappresenta i prezzi al consumo per le famiglie dei lavoratori dipendenti. Anche qui troviamo un aumento del 3,6%. Infine, l’Ipca, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, viene usato per comparare l’inflazione italiana con quella del resto dell’UE, e nell’ultimo anno è salito del 3,9%.
Perché i prezzi sono aumentati così tanto?
A monte di una crescita dei prezzi di solito si cela un aumento dei costi di produzione oppure una maggiore domanda. Spesso i due fenomeni si sovrappongono e contribuiscono a originare l’inflazione. È quello che è successo l’anno scorso.
Se apriamo il nostro paniere del 2021 salta all’occhio il settore che più di tutti ha inciso sull’accelerazione del fenomeno, quello della produzione di energia. Rispetto all’anno precedente, i beni energetici hanno subito un aumento dei prezzi del 30,6%. Una crescita vertiginosa, dovuta alla mancanza di risorse. Le riserve di gas naturale in Europa sono ai minimi storici, con la Russia che ha ridotto la propria fornitura. È la vecchia legge dell’economia: se l’offerta non soddisfa la domanda, i prezzi crescono.
Il settore energetico non è l’unico ad avere sofferto della mancanza di offerta e di un aggravio dei costi. Come spiega l’economista statunitense Paul Krugman, nel 2021 si è inceppato il “nastro trasportatore”, e il mondo ha vissuto una grande crisi logistica. Nella catena delle forniture si sono creati veri e propri colli di bottiglia e tuttora non si riesce a far fronte a una domanda straordinaria di beni, che negli ultimi mesi è stata originata anche dalle varie politiche di recovery post-Covid.
Ripresa e inflazione, il dilemma delle banche centrali
Nel tentativo di rilanciare le proprie economie e far fronte alla pandemia, le banche centrali hanno in qualche maniera contribuito alla crescita dei prezzi. Le cosiddette politiche di “allentamento quantitativo” dell’economia (gli inglesi lo chiamano quantitative easing) mirano a immettere nuovi fondi nel sistema con l’acquisto di titoli da parte degli istituti centrali. Più soldi in circolazione, più capacità di consumo, più domanda, e quindi anche prezzi più alti.
Il problema, dunque, è che in un periodo di grave crisi, come quello attuale provocato dalla pandemia e seguito dal terremoto finanziario globale del 2008, le politiche monetarie espansive sono cruciali per non soffocare la ripresa. La grande difficoltà è perciò nel comprendere fin dove occorra “spingersi” con il quantitative easing, sostenendo la crescita senza però provocare un’impennata dei prezzi.