Cosa ci racconta davvero l’innalzamento del livello di oceani e mari

L’innalzamento del livello del mare minaccia coste, città e cultura. Cause, scenari e soluzioni per affrontare uno dei rischi più concreti della crisi climatica

Luca Lombroso
L'innalzamento del livello del mare minaccia le citta costiere © Robertobinetti70/iStockPhoto
Luca Lombroso
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L’innalzamento del livello dei mari rappresenta uno degli impatti più emblematici dei cambiamenti climatici. È un processo lento, ma inesorabile e subdolo, che mette a rischio coste, lagune, città costiere anche densamente abitate e delta fluviali. In Italia minaccia luoghi simbolo del turismo e del patrimonio culturale, come la Riviera romagnola e Venezia.

L’aumento della temperatura media globale sta causando la fusione dei ghiacciai montani e delle calotte glaciali continentali, come accade in Groenlandia e nelle penisole dell’Antartide. L’acqua risultante defluisce negli oceani e nei mari interni, incluso il nostro Mediterraneo, provocando un innalzamento del livello con una serie di conseguenze che ora andremo ad approfondire.

Ma non finisce qui. L’innalzamento del livello del mare è un fenomeno complesso, dovuto non solo alla fusione dei ghiacci, ma anche a un altro processo: l’espansione termica dell’acqua. Per questo è utile e importante capire cosa sta accadendo ai nostri mari e oceani, quali sono le cause, le prospettive future e le possibili conseguenze.

L’innalzamento del livello del mare, dati ed evidenze scientifiche: cos’è il mareografo

Ancor prima dell’era dei satelliti, un prezioso strumento ha permesso di raccogliere dati sul livello del mare: il mareografo. Senza entrare nel dettaglio del suo funzionamento, va ricordato che l’Italia è stata storicamente all’avanguardia in questo tipo di misurazioni. Il mareografo di Genova è in funzione dal 1884, mentre quello di Venezia, a Punta della Salute, risale addirittura al 1872. Entrambi mostrano chiaramente un aumento del livello medio del mare compreso tra +1,2 e +1,6 millimetri all’anno nel periodo 1900–2000.

Il fenomeno, tuttavia, è complesso: in particolare a Venezia, alla risalita del mare si somma la subsidenza, ovvero l’abbassamento del suolo, dovuto sia a cause naturali che all’intervento umano. Il risultato è che, rispetto a un secolo fa, l’innalzamento complessivo del livello marino nella città lagunare ha raggiunto i 25 centimetri.

Non solo strumenti scientifici: anche l’arte ha offerto un contributo prezioso alla ricerca. Uno studio particolarmente interessante ha analizzato i dipinti del Canaletto (Giovanni Antonio Canal, 1697–1768) per ricostruire l’evoluzione del livello del mare a Venezia. Le sue opere mostrano, ad esempio, la linea di galleggiamento delle gondole in rapporto agli edifici, o il livello dell’acqua vicino a monumenti come la Basilica di San Marco e il Palazzo Ducale. Dai confronti emerge che, rispetto al XVIII secolo, il livello medio del mare nella città lagunare si è innalzato di circa 70 centimetri.

canaletto il bacino di san marco
Canaletto, Il bacino di San Marco (c. 1738) – Boston, Museum of Fine Art

Sfatare i miti: come cambiano davvero i livelli del mare nel tempo

Più recentemente, dati precisi sono arrivati dai satelliti, come il TOPEX/Poséidon, equipaggiato con altimetro radar. Negli ultimi decenni il trend risulta in costante crescita: a livello globale, il mare si sta alzando di circa 3,4 millimetri all’anno, un fenomeno in accelerazione dovuto alla crescente fusione dei ghiacci in Groenlandia e Antartide e all’espansione termica degli oceani.

A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che stiamo parlando di variazioni su scale temporali di pochi decenni o secoli, trascurabili rispetto alla lunga storia geologica della Terra. Ma ciò che ci interessa non è il mondo di centinaia di milioni di anni fa, dominato dai dinosauri e geologicamente molto diverso dall’attuale, ma il periodo in cui si è sviluppata la specie umana. Per fare due esempi: grazie alla paleoclimatologia e ai cosiddetti “detective del clima” – i dati indiretti che ci raccontano il passato – sappiamo che durante l’ultimo massimo glaciale, circa 20mila anni fa, il livello medio globale del mare era circa 120 metri più basso rispetto a oggi.

Al contrario di quanto spesso si pensa, l’ultima volta che la Groenlandia fu davvero verde e priva di ghiacci non fu nel 1300, ai tempi di Erik il Rosso, ma circa 125mila anni fa, durante un periodo interglaciale. In quell’epoca, il livello del mare era tra i 6 e i 9 metri più alto rispetto a oggi. L’Ipcc (il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite), nel suo rapporto speciale su oceani e criosfera, ricorda inoltre che nel periodo caldo del Pliocene medio – circa 3 milioni di anni fa – con temperature globali di 2–4 gradi centigradi superiori a quelle attuali, il livello marino era fino a 25 metri più alto. Dati che dovrebbero farci riflettere, e – se ci consentite – anche preoccupare.

Perché il livello del mare si alza: le cause principali

Lo abbiamo già accennato: l’innalzamento del mare è causato sia dalla fusione dei ghiacci continentali sia dall’espansione termica degli oceani. Non è invece coinvolto il fenomeno della progressiva fusione del ghiaccio marino artico estivo. Quel ghiaccio, infatti, galleggia sull’acqua – come un cubetto in un cocktail – e quando fonde non fa salire il livello del liquido nel bicchiere. Diverso è il caso del ghiaccio “appoggiato” sulle terre emerse, come quello della Groenlandia o dell’Antartide: quando fonde o si stacca precipitando in mare, fa aumentare il volume d’acqua, fino a farla traboccare. È un buon esempio di quello che gli scienziati chiamano tipping point, un punto di non ritorno. Ma di questo abbiamo già parlato, e potete trovare maggiori dettagli nel nostro articolo.

Tornando alle cause, il 6° Rapporto di valutazione dell’Ipcc (AR6) indica che tra il 1901 e il 2018 le principali componenti dell’innalzamento del livello del mare sono state: l’espansione termica degli oceani (38%) e la fusione dei ghiacciai (circa 41%). Il restante 21% è attribuibile ad altri fattori, tra cui il contributo delle calotte glaciali di Groenlandia e Antartide. E non è una buona notizia: il ruolo di queste ultime è in costante crescita. Oggi, infatti, la principale causa dell’innalzamento è proprio la fusione combinata di ghiacciai e calotte glaciali, e il loro contributo è destinato ad aumentare ancora nei prossimi decenni.

A proposito: avete notato che parliamo sempre di “fusione” e mai di “scioglimento”? È una regola base della divulgazione scientifica. Il termine corretto per indicare il passaggio da solido a liquido – come avviene per ghiaccio e neve – è infatti “fusione”. “Sciogliere” si usa più propriamente in chimica o nel linguaggio quotidiano, ad esempio quando si scioglie lo zucchero nel caffè.

Le proiezioni future sull’innalzamento del livello del mare

Proviamo a cominciare dalle notizie meno negative, per quanto possibile. Secondo lo Special Report Global Warming of 1.5°C dell’Ipcc, riuscire a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia più prudente indicata dall’Accordo di Parigi – 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali – offrirebbe un vantaggio significativo rispetto a un aumento di 2 gradi centigradi. In termini concreti, a +1,5 gradi l’innalzamento globale del livello del mare entro il 2100 è stimato intorno ai 43 centimetri; con +2 gradi si salirebbe a circa 50 centimetri, con un’accelerazione più marcata nella seconda metà del secolo. Sette centimetri possono sembrare poca cosa, ma possono fare una grande differenza – tanto più che, secondo molti scienziati, queste proiezioni sono ottimistiche e l’impatto reale potrebbe essere ben più grave. Senza contare che l’obiettivo degli 1,5 gradi centigradi appare ormai fuori portata, anche per effetto dell’aumento delle spese militari (Dong e altri, 2025).

1.5 crisi climatica
La differenza tra 1.5 e 2 gradi centigradi di aumento della temperatura media globale © WWF

Restando agli scenari dell’IPCC, il 6° Rapporto di Valutazione (AR6) prevede un innalzamento del livello del mare compreso tra +28 e +55 centimetri nello scenario a basse emissioni (SSP1-1.9), e tra +63 e +101 centimetri nello scenario ad alte emissioni (SSP5-8.5). Ma il 2100 non rappresenta un punto di arrivo: chi nasce oggi potrebbe arrivare a vedere il XXII secolo, e l’IPCC stima che entro il 2300 il livello del mare potrebbe aumentare fino a 2–3 metri, a seconda delle traiettorie emissive seguite.

Potremmo anche citare le stime più pessimistiche, che parlano di un aumento fino a 8 metri entro il 2300. Ma forse non è necessario spingersi così oltre: già un innalzamento di “soli” 50–60 centimetri sarebbe sufficiente a provocare impatti enormi.

Innalzamento del mare: gli impatti su coste e città

Ci sarebbe molto da approfondire, tra numeri e proiezioni, sugli impatti che l’innalzamento del mare avrà su città costiere come Venezia, Napoli, New York, Dacca. Si parla di milioni, forse decine di milioni di profughi climatici, con effetti devastanti sui grandi delta fluviali – Nilo, Mekong, Gange-Brahmaputra – ma anche sul nostro Po. Erosione costiera, ingressione salina, sommersione permanente, migrazioni forzate: le conseguenze si estenderanno all’economia, agli ecosistemi e al patrimonio culturale.

Citiamo qui alcune simulazioni realizzate da Climate Central. Se volete, potete esplorare direttamente i possibili scenari per l’Italia grazie a uno strumento interattivo disponibile online.

Qualche anno fa avevo realizzato alcuni video per illustrare cosa potrebbe accadere, in uno scenario pessimistico ma tutt’altro che impossibile, in alcune aree delle coste emiliano-romagnole e a Venezia. Con un aumento della temperatura media globale di 2 gradi centigradi, città come Ravenna e Ferrara risulterebbero già seriamente minacciate dal mare. Quanto a Venezia, le prospettive appaiono ancora più drammatiche.

Soft o hard? Le soluzioni per convivere con il mare che sale

L’adattamento è ormai una componente fondamentale per affrontare la minaccia delle inondazioni costiere e del rischio di essere letteralmente sommersi. Il tema è ampio e le strategie spaziano tra “soluzioni soft” e “soluzioni hard”. Le prime includono interventi come l’arretramento costiero e il ripristino delle zone umide; le seconde prevedono opere come barriere mobili, dighe e il rialzamento delle infrastrutture. Si tratta tuttavia di soluzioni spesso impattanti, sia sul piano ambientale che – paradossalmente – in termini di emissioni climalteranti generate dalla loro realizzazione. Senza contare i limiti legati a costi e adattabilità. È fondamentale, infine, che l’adattamento non diventi un alibi per rinunciare alla riduzione delle emissioni o per giustificare interventi speculativi e ad alto impatto.

Ancora una volta, un promemoria per chi governa e allarga le braccia e puntando solo sull’adattamento: non può esserci vero adattamento senza una seria azione di mitigazione.

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