L’intelligenza artificiale manda Microsoft «fuori strada» sul clima
Microsoft ammette che le sue emissioni di CO2 sono aumentate di quasi il 30%. La colpa è della crescita dei data center per l’intelligenza artificiale
Carbon negative, water positive, zero waste, circularity: è pieno zeppo di terminologia “verde” l’ultimo bilancio di sostenibilità di Microsoft. Per la precisione si tratta dell’Environmental Sustainability Report (“How can we advance sustainability?” è la domanda che campeggia in copertina). Un titolo che fa già capire che è declinata in primo luogo in senso ambientale la narrazione della sostenibilità che si snoda nelle quasi 90 pagine del documento. Anche se è più corretto chiamarle slide: colorate, interattive e stracolme di dati e informazioni.
L’onestà di ammettere che non è tutto ok
Quando si approcciano o meglio navigano questi documenti, è bene munirsi di bussola. Cioè partire con uno sguardo all’indice. Poi soffermarsi sull’introduzione, qui firmata da presidente e Chief Sustainability Officer, perché fa spesso le veci di un executive summary. Quindi incrociare i contenuti che si era magari già deciso di cercare e quelli che il documento mette in evidenza, per vedere se c’è corrispondenza.
Soprattutto procedendo in questo modo, alcune cose balzano immediatamente all’occhio nel bilancio del colosso di Redmond. Ad esempio, che al centro di tutto c’è la lotta contro la crisi climatica, con inclusa stoccata ai “risultati deludenti” della Cop28. Che a pervadere tutto il documento è la metafora del viaggio (verso la sostenibilità) intrapreso da Microsoft. Che ci sono alcune aree, fra quelle su cui Microsoft dichiara di focalizzarsi, in cui i risultati sono “on track” con gli obiettivi: fra queste, la riduzione delle emissioni Scope 1 (dirette) e Scope 2 (indirette collegate all’energia utilizzata).
Ce ne sono però altre, e qui bisogna fare i complimenti per l’onestà e appunto perché sono evidenziate subito nel documento, in cui si è fuori strada rispetto agli obiettivi fissati. C’è in particolare un problema con le emissioni Scope 3. Sono le emissioni generate non direttamente dall’azienda, bensì dai vari soggetti che compongono la catena del valore. Di conseguenza, rappresentano la quota di gran lunga più rilevante. Per cui è un problema grosso.
L’intelligenza artificiale fa impennare le emissioni Scope 3 di Microsoft
Microsoft dice che rispetto al 2020, anno assunto come riferimento, nel 2023 le emissioni Scope 1 e 2 sono diminuite del 6,3%. Le emissioni Scope 3 sono invece aumentate del 30,9%. Complessivamente, dunque, si segna un balzo in avanti del 29,1% rispetto al 2020. Un dato fortemente negativo, visto anche che le azioni di contrasto alla crisi climatica sono al cuore della strategia di sostenibilità dell’azienda.
Quali le cause? Anche qui l’azienda lo ammette: ad aver compromesso la riduzione delle emissioni sono le infrastrutture e l’elettricità necessarie alle nuove tecnologie. Proprio quelle su cui Microsoft – e tutta Big Tech, per la verità – sta investendo tantissimo anche in chiave sostenibile: “Accelerare le soluzioni di sostenibilità con l’intelligenza artificiale”, titola un intero paragrafo del documento che parla di transizione net zero, decarbonizzazione, resilienza climatica. Proprio quelle di cui sono in tanti, fra cui ovviamente Microsoft, a decantare le magnifiche sorti e progressive quanto al ruolo che possono svolgere nel contrasto alla crisi climatica.
Intendiamoci: è plausibile, o forse anche probabile, che abbiano ragione. Ma bisogna vedere che tempi occorreranno affinché ciò accada su larghissima scala, cioè a livello mondiale. Perché il “collasso climatico”, come lo chiama il segretario generale dell’Onu, António Guterres, è qui e ora e non c’è da aspettare neppure un secondo per combatterlo, dato che s’è perso fin troppo tempo. Di quali tecnologie stiamo parlando? In particolare di una: l’intelligenza artificiale (IA), specialmente l’IA generativa.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sul clima
La costruzione di sempre più data center su cui gira l’intelligenza artificiale, spiega Microsoft, e la quantità di CO2 incorporata sia nei materiali per l’edilizia, sia nei componenti hardware (server, semiconduttori) collegati, è alla base del boom delle emissioni. Tra l’altro, all’aumento dei data center è legata anche l’altra grande area in cui l’azienda ammette di non essere on track, cioè la riduzione dei consumi idrici e il reintegro di più acqua di quanta i data center ne consumano. E allora servirà dare una robusta pennellata di verde a cemento, acciaio, combustibili, microchip, dice sempre Microsoft, che qui però sembra buttare un po’ la palla in tribuna, perché son cose che valgono per tutti.
Più specificamente, l’azienda dichiara di aver lanciato un’articolata strategia per abbattere queste emissioni, che però pare un po’ fumosa e contraddittoria, almeno in alcuni punti. Si parla infatti di aumenti di efficienza, però da conseguire attraverso le innovazioni dei data center; di miglioramenti nella misurazione, però ancora da ottenere sfruttando il potere della tecnologia digitale; o di dare sostegno a politiche pubbliche sul clima (altra palla in tribuna).
Che ne sarà degli obiettivi al 2030 di Microsoft, che vuole addirittura diventare carbon negative, cioè rimuovere dall’atmosfera più emissioni di quelle che produce? Ma la domanda vera è: che ne sarà di tutti noi? Già, infatti, la lotta alla crisi climatica è zoppa, per usare un eufemismo. Se poi colossi del calibro di Microsoft dicono che continueranno a investire in intelligenza artificiale per far sì che l’IA possa aiutare il prima possibile ad affrontare i problemi che però oggi sempre l’IA sta aggravando di molto, siamo a posto: un circolo vizioso da manuale. Almeno nel brevissimo periodo. Nel lungo periodo si vedrà. Ma nel lungo periodo, si sa, saremo tutti morti.