Italia senza glifosato: dalla Toscana al Valdobbiadene, il biologico insegna
La Toscana bandirà il glifosato nel 2021, prima della Ue. E il Prosecco Superiore l'ha già fatto. Sulla scia del bio e coi progressi della meccanica
Italia avanti sulla strada dell’abbandono del glifosato con la decisione di bandirlo dalla fine del 2021 intrapresa dalla regione Toscana, in anticipo di circa 12 mesi sullo stop che l’Unione europea potrebbe decretare a partire dal 2022. E tuttavia, data anche la potenza di condizionamento di cui le lobby dell’agrochimica godono a Bruxelles e Strasburgo, questa storia è stata già abbastanza ricca di sorprese per poter considerare quest’esito scontato.
Glifosato, proroga Ue, nonostante proteste e condanne
Basti pensare che la proroga europea all’impiego per altri 5 anni della sostanza base del famoso erbicida Roundup di Monsanto è venuta dopo aspre discussioni e tensioni politiche. Ed è stata approvata alla fine del 2017, nonostante le contestazioni e le campagne di protesta messe in atto da un fronte amplissimo di organizzazioni ambientaliste e legate alla cittadinanza attiva in difesa della salute. E soprattutto dopo che il glifosato era stato classificato come “probabile cancerogeno” dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) già nel 2015.
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Da allora si sono susseguiti ulteriori capitoli della “saga” che sembrano spingere sempre di più verso un abbandono dell’adozione in agricoltura di questo fitofarmaco, quanto meno nel Vecchio Continente. Dal divieto unilaterale all’utilizzo votato in Austria e Germania sub iudice della Commissione Ue, al caso del sindaco bretone Daniel Cueff, che dal suo piccolo paese, Langouët, ha convogliato una protesta variegata contro il diktat statale, ed è stato portato in giudizio dalla prefettura di Francia, fino alle condanne subite nei tribunali americani da Bayer – che nel 2018 ha acquisito Monsanto -, proprio in cause avviate contro gli effetti sulla salute del Roundup.
E poi c’è un moltiplicarsi di azioni positive di qualche portata anche in Italia. In Toscana, come accennato, dove sono state fissate già oggi direttive più stringenti rispetto ai vincoli comunitari e alle normative nazionali sull’utilizzo della sostanza, in attesa di avere una regione “glifosato free” tra 2 anni. E in aree agricole d’eccellenza come quella del Consorzio di tutela del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene, dove amministratori e produttori di vino vanno a braccetto per tutelare il territorio.
Stop ufficiale e condiviso nella terra del Prosecco Superiore
La condivisone di obiettivi ha generato un Regolamento di Polizia rurale di Valdobbiadene, adottato in modo analogo dalle quindici amministrazioni locali del territorio. Nel documento si attesta che «Dal 1° gennaio 2019 non è più consentito l’utilizzo di prodotti fitosanitari ad azione erbicida con sostanza attiva a base di Glifosate su tutte le colture tanto erbacee quanto arboree ovvero seminativi, frutteti e vigneti».
Un passo avanti deciso che supera di slancio la delibera toscana per i tempi di attuazione, anche se non per la superficie di terra coinvolta.
E che induce a chiedersi se davvero siano tutti d’accordo su questa linea di condotta. Ma, soprattutto: come si fa nella pratica agricola a rinunciare a un erbicida tanto diffuso e tanto apprezzato?
D’altra parte il glifosato non è il primo pesticida buttato giù dalla collina. Come dimostra il protocollo viticolo del Prosecco Superiore Docg. «Abbiamo eliminato circa 18 molecole che venivano usate e che sono autorizzate per i trattamenti nei vigneti – spiega Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg -. Siamo quindi di fronte ad aziende che hanno messo in primo piano la qualità del territorio in cui operano», contribuendo a realizzare «l’area europea più estesa che ha vietato l’uso del glifosato».
L’abbandono del principio attivo del Roundup nel Conegliano-Valdobbiadene, al di là delle classifiche di estensione, è interessante per come è avvenuto. Ovvero, sia con il coinvolgimento di esperti agronomi che con «la logica di un tavolo di concertazione delle amministrazioni comunali, e delle istituzioni pubbliche del territorio, penso ad Arpa, Asl e Crea». Fino a rendere concreta un indirizzo che ora riguarda tutti i soggetti, pubblici e privati, attivi sul territorio coinvolto, dai produttori vitivinicoli a chi esegue le manutenzioni nei giardini o lungo la ferrovia. Esprimendo perciò una compattezza tanto più convinta quanto più si pensa che il Consorzio non ha alcun potere impositivo su molecole autorizzate, a livello europeo e nazionale.
Eroismo, tecnologia e valore fondiario scacciano il Roundup dalla collina
Naturalmente tra volontà e attuazione intercorre la necessità di avere strumenti e soluzioni adeguati. «Dove c’è la possibilità, in poche aree, si fanno lavorazioni meccaniche del terreno, ma nella core zone dell’Unesco, viene svolto un lavoro manuale che esalta la viticoltura eroica, con costi sicuramente aggiuntivi. Ma anche la consapevolezza che è un territorio fragile e, in assenza di questo impegno appassionato, è destinato ad essere occupato dai rovi, abbandonato, martoriato da frane e smottamenti».
E se per attrezzarsi a compiere lo sfalcio meccanico dei terreni aggredibili «incentivi non ce ne sono», afferma Nardi, è pur vero che stiamo parlando di una filiera che ripaga in tanti modi chi ci lavora. «La remunerazione della produzione della vite offre un’equa ripartizione del valore aggiunto nelle varie fasi, dalla produzione dell’uva alla vinificazione, all’imbottigliamento. […] senza contare il valore fondiario: al di là del Cartizze, che occupa 107 ettari a Valdobbiadene, dalle pubblicazioni specializzate viene riconosciuto in cifre che variano tra 1 e 2 milioni per ettaro».
Valutazioni che, insieme all’ambito riconoscimento di queste colline tra i patrimoni Unesco, giustificano il peso e l’apporto di una manodopera di qualità e di sacrificio. In una zona marginale, ripida, dove non sono mai arrivate le fabbriche. E dove tuttavia è stato costruito un modello in cui convivono sostenibilità economica e sociale (su questo territorio sono 6750 le persone che lavorano direttamente in un’ipotetica grande azienda del Prosecco Superiore) e oggi anche ambientale. Consapevoli che, conclude Nardi, «la reputazione del territorio e la sua valorizzazione, e del nostro prodotto, passa attraverso scelte di sostenibilità a prescindere».
La scuola del bio
Dalla Toscana al Veneto assistiamo perciò all’adozione di una parte della lezione decennale dell’agricoltura biologica, messa in pratica da chi non può essere tacciato di avere avversioni preconcette verso la chimica di sintesi, e semplicemente sposa il principio di cautela. Le alternative al glifosato esistono e sono accessibili, del resto. E a spiegarlo in dettaglio, da un punto di vista accademico, è per esempio Cristiana Peano (docente di arboricoltura generale e coltivazioni arboree) in un recente intervento pubblicato per Slow Food.
Ma non solo. Perché similmente fa Massimo Roncon dell’azienda biologica Agricola Grains. Uno il cui padre era rappresentante proprio di quei diserbanti che lui oggi rifiuta. Uno che riconosce come le proprietà del glifosato fossero apparse straordinarie e utili ai contadini negli anni ’70, e che poi cominciò, istruito dai pionieri italiani del bio, ad andare da solo in Austria col camion per procurarsi prodotti e mangimi biologici. Senza negare che chi usa il Roundup può risparmiare anche 60-80 euro per ettaro sulle lavorazioni, bruciando la parte verde e cancellando la microfauna utili alla fertilità del suolo.
«Continuando a utilizzare concimi e fertilizzanti chimici, a irrorare con il glifosato, – spiega infatti Roncon – il terreno di casa che devi lasciare ai tuoi figli rischia di morire, perché il classico lombrico non lo trovi più se scavi sotto terra. È bene invece tenere il terreno coperto con un inerbimento guidato con colture specializzate (cover crops) e sovesci invernali, perseguendo una logica contraria. Tenendo quindi il terreno coperto d’inverno e d’estate». E così, invece di vedere campi inariditi lungo l’autostrada, o un striscia giallo-bruciato che corre sotto i filari, il diserbo «si può tranquillamente sostituire con una fresa o una falciatrice rientrante impiegata sotto il vigneto. Apparecchiature moderne, che consumano sempre meno, facili da utilizzare, e il cui acquisto non è così proibitivo, grazie ai Psr».