Clima, 12 aziende agricole d’Europa a scuola di agroecologia

Il recente allarme IPCC sull'impatto dell'agricoltura sul clima impone riforme urgenti: un percorso avviato dalla Ue sta dimostrando come ridurre la CO2, migliorando i terreni

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Diffondere un’agricoltura amica del clima e capace mitigare l’effetto dei cambiamenti climatici, potenziando inoltre la capacità dei contadini nell’adattare la gestione aziendale ed economica. L’obiettivo è abbastanza semplice da enunciare, ma certo ben più impegnativo da tradurre nel lavoro dei campi quotidiano. E però la sfida è cruciale, soprattutto alla luce dell’ultimo – preoccupante – rapporto IPCC (gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici).

Da agricoltura, il 23% delle emissioni di gas serra

Nel rapporto si evidenzia come quasi un quarto delle emissioni di gas serra causate dall’uomo siano legate ad agricoltura, allevamenti e attività forestali. Inoltre, in agricoltura, dal 1960 ad oggi, l’uso di fertilizzanti è aumentato di 9 volte (e le aree naturali convertite a scopi agricoli sono pari a 5,5 milioni di chilometri quadrati). Per di più, le coltivazioni utilizzano il 70% dell’acqua dolce presente sulla Terra.

Ce n’è abbastanza per premere il pedale dell’acceleratore verso una transizione che coinvolga il settore agricolo. Le punte di diamante di quel mondo – 12 aziende agricole biologiche – stanno tentando quella strada già da qualche tempo. Uno sforzo positivo che – si spera – potrebbe diventare una best practice replicabile su larga scala.

Cinque anni di studi

Alla base di questo percorso, ci sono cinque anni di studi e applicazioni messi in atto dal progetto SOLMACC (Strategies for Organic and Low-input Farming to Mitigate and Adapt to Climate Change), co-finanziato nell’ambito del programma Life dell’Unione europea.

MAPPA le 12 aziende agricole coinvolte nella sperimentazione delle buone prassi agricole amiche del clima – fonte progetto SOLMACC 2013-2018

Le dodici fattorie bio coinvolte sono distribuite, da nord a sud, tra Svezia, Germania e Italia. Selezionate per rappresentare sia le differenti regioni climatiche dell’Europa sia la varietà delle tipologie: con allevamento, seminativi o miste; specializzate in orticoltura; piccole, grandi o a conduzione familiare.

Il punto di partenza è il tempo che stringe di fronte al climate change sempre più incombente. Tra terre che inaridiscono e devastazioni per uragani e piogge torrenziali. E un modello di agricoltura attuale – tanto più quello intensivo che adotta un’impostazione industriale – responsabile del 10-12% delle emissioni globali di gas serra sul Pianeta. Con un costo sociale ed economico non più sopportabile.

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Agroecologia, 4 aree di intervento per ridurre le emissioni

Stando a un recente articolo pubblicato su «Nature Climate Change», per ogni tonnellata di CO2 rilasciata nell’atmosfera l’umanità paga infatti 417 dollari. Il che, guardando al 2017 (37 miliardi di tonnellate di CO2), si tramuta in una cifra di 15mila miliardi di dollari a carico della collettività. Ovvero il Pil annuale dell’intera Ue a 28, oppure quello prodotto in 8 anni dall’Italia.

Gli eventi legati al cambiamento climatico sono in aumento nel mondo. – FONTE: La politica agricola comune post 2020 – proposte legislative

Un tema che il progetto SOLMACC ha affrontato sperimentando e sviluppando nelle fattorie campione pratiche relative a quattro aree:

  1. riciclo dei nutrienti: attraverso lo sviluppo del compostaggio dei residui vegetali e delle deiezioni animali per contrastare la perdita dei nutrienti del suolo. Monitorando inoltre gli effetti sul clima della produzione di biogas da rifiuti liquidi di origine animale – perlopiù nelle aziende svedesi e tedesche -, e la pratica del silaggio per la fertilizzazione.
  2. rotazioni delle colture: effettuata tra diverse colture e leguminose da foraggio per favorire fertilità del suolo, capacità di gestione dei parassiti e fissazione dell’azoto nel suolo.
  3. ridotta lavorazione del terreno: diminuendo l’intensità o la profondità dell’aratura per ridurre l’uso di combustibili fossili utilizzati dalle macchine. Aumentando la quantità di carbonio nel suolo, il riciclo dei nutrienti e frenando l’erosione.
  4. pratiche agroforestali: la combinazione di alberi, colture e bestiame in un unico sistema agricolo per contribuire al sequestro di carbonio nel suolo.
Aree di sperimentazione delle buone prassi agricole amiche del clima – fonte progetto SOLMACC 2013-2018

Meno CO2 senza spendere un euro in più. E non solo nel bio

«Si tratta di tecniche che possono essere tutte adottate anche dalle aziende convenzionali – spiega Daniele Fontanive, tecnico di Aiab che ha seguito le fattorie italiane -. Anche se, pratiche come il sovescio, particolarmente impiegate nell’azienda orticola del veneto che ha partecipato al progetto, incluse dal disciplinare bio per fornire l’apporto di ammendanti (compost e letame), in un’azienda convenzionale spesso sono sostituite dall’acquisto e utilizzo di fertilizzanti di sintesi».

Grazie a queste tecniche, l’Azienda Agricola Fontanabona, situata nella valle del Po, ha ottenuto la riduzione di emissioni di CO2 equivalente (CO2e) del 49% praticando il compostaggio del letame stallatico e della fungaia. Limitando così le emissioni di CH4 e N2O rispetto a quelle prodotte dai tradizionali cumuli di letame. Nel frattempo l’impiego del compost ha «aumentato le rese agricole». Le spese operative e i costi di produzione e manodopera «sono rimasti invariati o hanno perfino subito cali». Piantando siepi e coltivazioni di frutta, nell’ambito delle misure agroforestali, la stessa azienda ha potuto sequestrare diverse tonnellate di carbonio l’anno per ettaro nel suo terreno, tramite la biomassa legnosa e delle potature.

MAPPA impatto climatico sulle rese dei terreni agricoli in Europa nel 2050 – fonte rapporto IDDRI ‘An agroecological Europe in 2050’, settembre 2018

Questi sono solo alcuni esempi dei risultati positivi misurati durante SOLMACC nelle aziende agricole. Tonnellate di carbonio sequestrate in più nei suoli o di CO2 non dispersa in atmosfera, associate ad altri vantaggi secondari, ma non trascurabili. La riduzione dell’erosione, l’incremento della capacità di ritenzione idrica, la creazione di habitat per animali, l’incremento della biodiversità colturale e la sua tutela, una maggiore fertilità o la protezione dei suoli dal vento.

La lezione di SOLMACC: armi più affilate dall’unione tra scienziati e contadini

Insomma, il progetto ha dimostrato che agricoltura sostenibile e lotta al climate change sono facce di una stessa moneta. Che esistono diverse opzioni per ridurre i gas a effetto serra (GHG) a partire dalla gestione del singolo podere, favorendo persino la stabilità economica delle imprese agricole. Ma ciò implica un metodo operativo per cui i contadini non possono essere lasciati soli, stimolando così la richiesta di politiche comunitarie conseguenti. A cominciare dalla prossima PAC 2021-2027.

«Dal punto di vista di un miglioramento delle politiche comunitarie credo che i punti fondamentali da promuovere siano due», spiega Maria Grazia Mammuccini, coltivatrice di una delle 12 fattorie inserite nella sperimentazione SOLMACC. «Innanzituttoun sistema di formazione, ricerca e assistenza tecnica, con un contatto stretto tra mondo scientifico, tecnici e agricoltori. Un approccio partecipativo che è la strada per un’agricoltura più ecocompatibie, con soluzioni adattate alle diverse esigenze dei territori e delle aziende particolari.

In secondo luogo è fondamentale attivare una politica che premi i risultati concreti. Bisogna trovare degli indicatori chiari e misurabili, ad esempio a partire dalla sostanza organica nel suolo, elemento fondamentale in vista della sostenibilità sia per il freno all’erosione che per la capacità di trattenere acqua e assorbire CO2. Ma se ne potrebbero individuare altri, che le politiche dovrebbero misurare e premiare. Rischiando, contrariamente, di diventare un esercitazione burocratica».

variazione pagamenti diretti da proposta 1 giugno 2018 PAC 2021-2027 – analisi Rete rurale nazionale e Mipaaf

Una partita complessa. Per centrare l’obiettivo, secondo i ricercatori, anche il ruolo dei consumatori può risultare determinante: acquistando prodotti biologici coltivati localmente e condividendo conoscenze ed entrando direttamente in contatto con agricoltori “ecologicamente virtuosi”, magari sostenendoli tramite «modelli economici alternativi» come possono essere le forme di CSA (community-supported agriculture).