L’italo-palestinese detenuto senza accuse da Israele. Un nuovo Zaki?

Da due settimane lo studente italo-palestinese Khaled el Qaisi è detenuto senza accuse. Una condizione drammaticamente comune in Israele

Checkpoint israeliano a Hebron © rrodrickbeiler/iStockPhoto

Settembre, fine delle vacanze estive. La macchina stipata di valigie, il figlio piccolo che si lamenta, la canicola del clima ancora estivo malgrado sia ormai tempo di tornare a lavoro. Un’esperienza comune a tanti e, di norma, spensierata. Ma non in Israele, almeno quando le tue origini portano alla Palestina. È ciò che sembra emergere dalla vicenda di Khaled el Qaisi, lo studente italo-palestinese detenuto a Tel Aviv senza accuse da più di due settimane.

La vicenda di Khaled el Qaisi

Khaled el Qaisi è studente di lingue e civiltà orientali all’università Sapienza di Roma e fondatore del Centro documentazione palestinese. È cittadino italiano, ma la sua famiglia proviene dalla Cisgiordania. Il 31 agosto era di ritorno da un viaggio nella sua terra d’origine assieme alla moglie e al figlio piccolo. L’ultima tappa era Amman, capitale della Giordania, dove si sarebbero imbarcati per l’Italia. Un momento sereno, familiare, interrotto al valico di Allenby, che divide il Paese arabo da Israele. Lì le autorità di Tel Aviv lo hanno fermato. Dapprima un semplice controllo bagagli, poi le manette e il trasferimento in un carcere israeliano.

Le sue colpe? Ignote. La magistratura lo trattiene senza aver formalizzato alcuna accusa. Una condizione estranea al funzionamento degli Stati di diritto, ma comune per i palestinesi in Israele. Dalle istituzioni trapela la voce di una più ampia indagine per terrorismo e di alcuni incontri tra el Qaisi e cittadini palestinesi su cui gli inquirenti vogliono vedere chiaro. Ma niente è certo.

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La diplomazia italiana, si apprende sulla stampa, è sorpresa ma serena. «Potrebbe trattarsi di un equivoco», dice al quotidiano La Repubblica una fonte della Farnesina. Di certo c’è che lo studente è incensurato e mai “attenzionato” dalla nostra intelligence. Il console italiano lo ha visitato due volte in carcere. E proprio in carcere, si apprende, Khaled al Qaisi sarebbe stato interrogato a più riprese senza la presenza di un legale.

«Eravamo felici, perché avevamo portato il nostro bambino nei luoghi di origine del padre. Quando all’improvviso è stato fermato dalla polizia. Ho provato più volte a chiedere dove lo stessero portando e non ho avuto alcuna risposta», è il racconto della moglie.

Israele e la detenzione senza accuse

La vicenda di el Qaisi ha tratti kafkiani. Più di due settimane in carcere senza sapere di cosa si è accusati – e nemmeno se esisterà mai un’imputazione formale. Ma per quanto assurda, questa pratica è prassi in Israele. A subirla sono quasi sempre persone di etnia palestinese.

Secondo Amnesty International oltre cinquemila palestinesi sono detenuti senza aver avuto diritto ad un giusto processo e in violazione del diritto internazionale. Di questi, 1.200 si trovano nella condizione dello studente della Sapienza: niente accuse.

La famiglia in Cisgiordania, preoccupata, fa intanto sapere che Khaled non è l’unico coinvolto. Anche un suo fratello è stato arrestato e rilasciato, mentre due cugini risultano ancora in stato di fermo. Anche per loro, a quanto risulta dalla stampa, non si conoscono le accuse.

Le reazioni delle autorità italiane e la solidarietà dei colleghi universitari

In Italia, intanto, parte della politica ha iniziato a mobilitarsi per la sua liberazione. I parlamentari del gruppo Pace tra Israele e Palestina hanno chiesto al ministro degli Esteri, il forzista Antonio Tajani, di impiegare tutte le sue forze per risolvere la vicenda. Nicola Fratoianni, eletto con Alleanza Verdi Sinistra e segretario di Sinistra Italiana, ha presentato un’interrogazione parlamentare. Anche i colleghi dell’università si mobilitano. Il 15 settembre un’assemblea convocata alla Sapienza ha riunito ricercatori e studenti desiderosi di mobilitarsi.

«Non siamo in presenza di un nuovo caso Zaki: perché si tratta di un cittadino italiano e soprattutto perché Israele non è l’Egitto», fanno sapere fonti della Farnesina. Una frase che lascia ben sperare per il futuro del giovane italo-palestinese. Ma il fatto stesso che le autorità debbano affrettarsi a dissipare lo spettro dell’egiziano detenuto ingiustamente per anni dal regime di Al Sisi è indicativo della gravità della situazione – e della qualità dello stato di diritto in Israele.