Chi è Jamie Dimon, da boss di JPMorgan al Tesoro con Trump
Il banchiere, da sempre sostenitore democratico, potrebbe essere l'alfiere delle politiche fiscali espansive della presidenza repubblicana
Ricco, potente, buono per tutte le stagioni e tutti i partiti. Dal 2006 è amministratore delegato e dal 2007 presidente di JPMorgan Chase, la più grande banca degli Stati Uniti in termini di asset. Secondo Forbes ha un patrimonio personale netto di oltre 2 miliardi di dollari. Mentre la rivista Time l’ha inserito più volte nella lista delle 100 persone più influenti del mondo.
Il suo nome è stato accostato più volte alla politica. Prima come membro del gabinetto di almeno due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, poi addirittura come candidato presidenziale. Ora sembra che il suo momento sia arrivato. È stato infatti indicato da Donald Trump come prossimo segretario al Tesoro: l’uomo che dovrà gestire le sorti dell’economia più importante del pianeta. Il suo nome è Jamie Dimon.
Esultano Wall Street e la Silicon Valley
«Ho molto rispetto per Jamie Dimon», ha detto Donald Trump in un’intervista raccolta da Bloomberg a margine di un incontro in cui erano presenti entrambi. Oltre a diversi boss della Silicon Valley come Tim Cook, deus ex machina di Apple. «È qualcuno che prenderei in considerazione», ha aggiunto poi il candidato repubblicano. E lo ha fatto rispondendo a domanda diretta se avesse confermato le voci secondo Dimon sarebbe stato scelto per il ruolo di segretario al Tesoro. In caso di un suo – a questo punto sempre più probabile – trionfo alle elezioni di novembre.
Per la gioia di Wall Street e della Silicon Valley, che non vedono l’ora di lavorare con lui. Un banchiere che sostiene apertamente sfrenate politiche liberiste costruite su tagli delle tasse e del welfare. E come si sa, negli Usa, i presidenti vincono sull’economia.
Jamie Dimon, la politica nel destino. A patto di farla da protagonista
Non è certo la prima volta che il nome del ceo di JPMorgan circola in ambienti politici. Jamie Dimon si è sempre dichiarato vicino al Partito democratico di cui è stato uno dei più importanti finanziatori. Ma non ha esitato a collaborare con i repubblicani. Tanto che era stato tra i candidati alla posizione di ministro dell’Economia già con Barack Obama nel 2009 e poi proprio con Donald Trump nel 2017. Ma non se ne fece nulla.
Più volte il suo nome era circolato addirittura come presidente degli Stati Uniti. Lui però si era sempre tirato indietro dicendo di non essere «abbastanza famoso». E si era limitato a un lavoro di consulenza. Prima con Obama, poi per un breve periodo anche con Trump, dal quale poi si era allontanato. Ma, dopo qualche litigio, adesso sembra che il matrimonio riparatore sia a un passo.
Lo strano rapporto tra Jamie Dimon e Donald Trump
Il rapporto tra Dimon e Trump è sempre stato infatti altalenante. Da finanziatore democratico, il boss di JPMorgan non gli ha mai lesinato critiche. Ma già nel 2019, in un’intervista alla trasmissione televisiva 60 Minutes, Dimon aveva detto che con Trump gli Stati Uniti avevano raggiunto «l’economia più prospera che il mondo abbia mai visto». Poi aveva criticato pesantemente l’attacco al Campidoglio.
E l’anno scorso aveva invitato i repubblicani a appoggiare la sua rivale alla candidatura presidenziale Nikki Haley, ex governatrice repubblicana della Carolina del Sud. Ma evidentemente, con la prospettiva che il suo mandato a JPMorgan sarebbe comunque terminato entro un paio di anni e la conseguente decisione di entrare in politica, ha capito di essere più vicino a Trump che non a Joe Biden, o alla sua probabile erede Kamala Harris, dei quali non ha mai appoggiato le politiche economiche e fiscali.
Il democratico che apprezzava le politiche fiscali di Trump
Lo scorso gennaio al World Economic Forum, infatti, abbastanza a sorpresa Jamie Dimon aveva ripreso a elogiare le politiche fiscali di Trump. «Siamo onesti, a volte l’ex presidente ha fatto anche cose giuste: sull’economia, la Nato, l’immigrazione, la Cina. La riforma delle tasse per le imprese ha funzionato. In tanti lo hanno votano e lo voteranno per questo». E queste parole, dette dal più importante banchiere americano, erano parse a tutti un attacco diretto proprio al presidente in carica e alla sua Bidenomics.
Già allora alcuni commentatori avevano ipotizzato che questo suo riallineamento fosse una chiara indicazione delle sue ambizioni politiche. Dato che già allora i sondaggi raccontavano di un Trump in clamorosa ascesa. È stato lungimirante. Come lo fu quando nel 2006 liberò JPMorgan di tutte le posizioni sui mutui subprime, intuendo la crisi che sarebbe scoppiata nel 2007. Dopo lo scampato attentato e la trionfale convention di Milwaukee, in cui ha detto di «essere sopravvissuto per grazia di Dio», Trump ha messo un piede dentro la Casa Bianca. Adesso che Joe Biden ha annunciato il suo ritiro dalla corsa, e i democratici sono in pieno caos, anche l’altro piede è molto, troppo, vicino.
Ora la battaglia si sposta sulla Fed
L’indicazione di Jamie Dimon come prossimo segretario al Tesoro segna quindi un ritorno a politiche fiscali espansive che puntano sul taglio delle tasse. E a politiche monetarie restrittive a vantaggio dei grandi fondi di Wall Street e delle piattaforme della Silicon Valley. Tutto il contrario di quanto fatto da Janet Yellen, prima donna a diventare a segretaria al Tesoro degli Stati Uniti nel 2021 con Biden. Proprio grazie alle sue politiche monetarie espansive, e all’aumento dei tassi d’interesse della Fed, Yellen aveva abbattuto la disoccupazione.
Anche se, a proposito di Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti, c’è stata un’ulteriore sorpresa. Proprio nella stessa intervista in cui indicava il nome Jamie Dimon come prossimo segretario al Tesoro, Donald Trump ha detto di non avere alcuna intenzione di sostituire Jerome Powell. L’economista messo proprio da lui a capo della Fed nel 2018 e poi aspramente criticato a più riprese proprio per la questione dei tassi. Qui, evidentemente, la partita è ancora aperta.