Argentina, il frullatore economico ultra-liberista di Javier Milei

In piena crisi economica e sociale, l’Argentina ha scelto la destra estrema ultra-liberista di Javier Milei

Andrea Barolini e Valentina Neri
Javier Milei, presidente eletto dell'Argentina © Vox España/Wikimedia Commons
Andrea Barolini e Valentina Neri
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In piena crisi economica e sociale, l’Argentina ha scelto la destra estrema. Javier Milei, fondatore del partito La libertà avanza, ha vinto il ballottaggio di domenica 19 novembre con il 56% dei voti, contro il 44% del ministro dell’Economia uscente, Sergio Massa, candidato della coalizione Unione per la patria che riunisce i partiti peronisti e kirchneristi.

Il nuovo presidente si insedierà domenica 10 dicembre, esattamente quarant’anni dopo il giorno in cui le istituzioni democratiche ripresero il potere in Argentina in seguito alla dittatura. Esultano Jair Bolsonaro e Donald Trump, ex-presidenti rispettivamente del Brasile e degli Stati Uniti. Entrambi saliti al potere anche in virtù della loro attitudine sopra le righe e, per questo, paragonati dai media allo stesso Milei. Entrambi sfiduciati dai loro stessi elettori al termine del primo mandato.

Chi è Javier Milei, il nuovo presidente dell’Argentina

Classe 1970, economista, dal 2014 in poi Javier Milei si è fatto conoscere al grande pubblico per i suoi feroci improperi televisivi contro il sistema e la corruzione della classe politica. Il suo debutto in politica è piuttosto recente. Ispirandosi a Murray Rothbard e definendosi “anarco-capitalista”, nel 2021 ha fondato la coalizione politica di destra La libertà avanza insieme Victoria Eugenia Villarruel, futura vice-presidente dell’Argentina.

È dunque nelle vesti di outsider che si è presentato alle elezioni generali del 22 ottobre. Di comizio in comizio, però, ha guadagnato una crescente popolarità tanto da incassare il 30% dei voti e andare a contendersi il ballottaggio contro Sergio Massa, considerato come il candidato dell’establishment. Il risultato è stato clamoroso, con il maggiore distacco tra due candidati presidenti mai registrato da quando l’Argentina è tornata a essere una democrazia. Decisivo il sostegno da parte dei conservatori Patricia Bullrich, anch’essa candidata ma rimasta fuori dal ballottaggio, e dell’ex-presidente Mauricio Macri.

La ricetta “anarco-capitalista” di Javier Milei

Certo, bisognerà capire se Milei avrà i numeri per mettere in pratica la terapia d’urto di cui parla con tanta veemenza. La sua formazione politica controlla appena 7 seggi su 72 al Senato e 38 su 257 alla Camera (uno di questi 38 è quello che lo stesso Milei occupa dal 2021 e che dovrà cedere a un compagno di partito). «Questo potrebbe portare alla paralisi istituzionale», spiega a Le Monde Lara Goyburu, scienziata politica presso l’università di Buenos Aires. «Pur potendo contare sui deputati di parte della destra, non avrà una maggioranza qualificata». E con ogni probabilità dovrà fare ampio ricorso ai decreti, se vorrà davvero tener fede alle sue promesse.

La ricetta proposta da Javier Milei, infatti, è semplice. Perfettamente in linea con la più pura ortodossia turbo-capitalista. Condita però da populismo sfrenato e ostentata eccentricità. Per comprendere appieno quale sia la linea del nuovo presidente argentino, probabilmente, la proposta più esemplificativa è quella che riguarda la volontà di rendere possibile la vendita di organi da parte dei cittadini della nazione sudamericana. «Perché il corpo è nostro e dobbiamo poterne disporre a piacimento. E perché c’è chi potrebbe averne bisogno». Un amalgama di ultra-liberismo, idolatria della proprietà privata, e demagogica volontà di offrire scorciatoie a chi spera di affrancarsi dalla disperazione. 

Javier Milei
Un comizio di Javier Milei nel 2021 © La Libertad Avanza/Wikimedia Commons

In Argentina l’inflazione fa aprire tardi i negozi (che devono rifare i prezzi)

Di fronte all’inflazione galoppante, che potrebbe arrivare al 185% alla fine dell’anno, le misure proposte potrebbero addirittura aggravare la situazione. In Argentina i negozi di prodotti alimentari ormai aprono ogni giorno in ritardo, perché devono riscrivere tutte le etichette dei prezzi. Non a caso, il tasso di povertà viaggia drammaticamente verso il 40%. 

Certo, siamo lontani dall’inflazione al 4.000% registrata all’inizio degli anni Ottanta, quando l’Argentina era in piena transizione verso la democrazia. Ma anche oggi la popolazione converte appena può i pesos in dollari. Ed è proprio questo uno dei motori del circolo vizioso in cui versa la nazione sudamericana. Perché tale dinamica erode ancor di più il valore della valuta nazionale, e alimenta dunque proprio l’inflazione. 

Una trappola insomma. Perché, per la popolazione, disfarsi dei pesos nel più breve tempo possibile è l’unico modo per mettere al sicuro i pochi risparmi. E qui si innesta la proposta-shock di Milei: introdurre il dollaro come moneta corrente. Per capire il senso di tale proposta occorre però fare un passo indietro. 

Un video della campagna elettorale di Milei

Dai Kirchner a Macri, le ricette (e gli errori) dei presidenti precedenti

Di fronte all’inflazione, il presidente Mauricio Macri, in carica dal 2015 al 2019, aveva proposto una liberalizzazione completa del mercato con la soppressione del controllo sui cambi. Risultato: una fuga immensa di capitali stranieri e il crollo del peso. Così, nel 2018 si è visto costretto a chiedere un nuovo prestito al Fondo monetario internazionale.

Le presidenze dei peronisti – i Kirchner dal 2003 al 2015 e Alberto Fernandes dopo il 2019 – hanno tentato la strada dell’accumulo di importanti riserve in valuta estera (dollari, ovviamente). Ciò al fine di venderla a cadenza regolare sul mercato dei cambi, per comprare pesos e sostenerne il valore. Ovvio che una manovra del genere, per non assomigliare a uno schema di Ponzi in salsa macro-economica e monetaria, deve prevedere un flusso di entrate costante e imponente in dollari

Il sostegno “artificiale” al peso, legato a filo doppio alle esportazioni

Basta in altre parole un soffio di vento per far saltare il “giochino”. E quel soffio di vento si chiama rallentamento economico della Cina, secondo importatore di prodotti argentini (principalmente agricoli) dopo il Brasile. A ciò si è aggiunto l’impatto di una siccità storica, che ha colpito i raccolti. Così, secondo l’Istituto nazionale di statistica (Indec), le esportazioni argentine di soia e mais sono scene del 35% nel 2022. Così, alla banca centrale sono mancati i dollari previsti. E al peso il sostegno “artificiale” derivante dagli acquisti “in house”. 

Al contempo, gli esportatori che ricevono dollari in cambio dei loro prodotti chiedono ai poteri pubblici tassi di cambio più interessanti, altrimenti aspettano a vendere. Bloccando così il sistema economico. Oppure ottengono ciò che chiedono e procedono così, di fatto, a ulteriori svalutazioni mascherate: al mercato nero un dollaro può valere il doppio rispetto ai tassi di cambio ufficiali. Il che, ancora una volta, rappresenta una spinta per l’inflazione. 

Cosa comporterebbe la soluzione drastica di Javier Milei: abbandonare il peso e passare al dollaro

Così, Javier Milei ora propone la soluzione più drastica: eliminare il peso e mantenere solamente il dollaro. Ora, però, la banca centrale argentina possiede poche riserve di dollari, per via della dinamica illustrata. Così, il tasso di cambio applicabile in caso di “dollarizzazione” dell’economia sarebbe estremamente sfavorevole. Il che a breve termine potrebbe comportare un’esplosione della povertà. 

Inoltre, una decisione simile renderebbe l’Argentina dipendente dalla politica monetaria degli Stati Uniti. Ovvero dai tassi di cambio decisi dalla Federal Reserve. Nonostante le congiunture economiche dei due Paesi possano essere anche estremamente diverse. Un rischio enorme, dunque. 

A livello macro-economico, anche qui con un’aderenza marcata all’ortodossia liberista, Milei propone la scure. Più volte, è apparso in campagna elettorale imbracciando una motosega. Ad illustrare la volontà di falcidiare la spesa pubblica

Privatizzazioni, tagli alle tasse e «motosega sulla spesa pubblica»

Tagliando fondi alla salute, all’istruzione, alla ricerca, alle forme di sostegno sociale. Facile ricordare, però, che il reddito nazionale di un Paese è formato da investimenti, più consumi, più la differenza tra importazioni ed esportazioni e proprio dalla spesa pubblica. In un contesto in cui investire è complicato, consumare non ne parliamo, e a esportare si fa fatica, ridurre anche la spesa pubblica rischia di portare l’Argentina in una spirale recessiva drammatica

A ciò si aggiungeranno un piano di privatizzazioni di tutti i settori (nessuno escluso) e un calo drastico delle imposte. Ancora una volta, come chiede la dottrina ultra-liberista. Una riedizione moderna di quanto avvenuto in Cile con Pinochet. Sarà un caso se, tra le altre cose, Milei ha anche negato che la dittatura argentina sia stata responsabile di circa 30mila desaparecidos, minimizzando i crimini commessi dai militari come dei semplici “eccessi”?