La “crescita senza crescita” e il superamento del Pil
Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
La crescita economica è incompatibile con la salvaguardia del clima? Sono decenni che la domanda alimenta un ampio dibattito. Molti economisti, dirigenti d’impresa e politici hanno risposto a più riprese che sì, si può coniugare il principio di una crescita infinita con la riduzione degli impatti ecologici. Stavolta, però, ad esporsi – in senso diametralmente opposto – è stata direttamente l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA).
In una nota intitolata “Growth without economic growth” (“Crescita senza crescita economica”), l’organismo comunitario ha spiegato che l’accoppiata “aumento del Pil-vittoria nella battaglia climatica” è, testualmente, «poco probabile». Secondo l’EEA, al contrario, occorrerebbe cambiare modo di pensare. «Il Green Deal europeo – scrive l’agenzia – necessita non soltanto di cambiamenti tecnologici, ma anche nei consumi e nei comportamenti sociali. La crescita è oggi ancorata culturalmente, politicamente e istituzionalmente. Il cambiamento ci impone di superare democraticamente questi ostacoli. Le società devono ripensare ciò che intendono per “crescita” e “progresso” per costruire un mondo sostenibile. Non dobbiamo più considerare tali concetti da un punto di vista unicamente quantitativo, ma anche qualitativo».
Passo indietro di qualche annetto: «Non possiamo misurare i successi del Paese sulla base del Prodotto interno lordo. Il Pil comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. […] Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Lo disse Bob Kennedy in un celeberrimo discorso pronunciato all’università del Kansas il 18 marzo del 1968.
Sono passati 43 anni. Oggi possiamo aggiungere che nel Pil ci sono anche le industrie minerarie che estraggono carbone, le compagnie che raffinano il petrolio, le gigantesche navi mercantili che attraversano il mondo cariche di container. Se sia il caso o meno di (de)crescere è discutibile. Ma possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che è certamente ora di abbandonare il PIL come indicatore principale per misurare la salute delle nostre economie.