La dieta che salverà noi e il Pianeta. Meno carne e più verdure contro il climate change
11 milioni di morti in meno. Da uno studio scientifico di Lancet la dieta per nutrire 10 miliardi di persone nel 2050. In modo sano e sostenibile
Nel 2050 saremo 10 miliardi di persone sulla Terra. E la dieta che stiamo adottando non può garantire né l’apporto calorico sufficiente per tutti, né adeguata attenzione alle risorse del Pianeta. Non solo. Il modello di consumo di cibo cui fanno riferimento le economie più ricche contribuisce in modo sostanziale al riscaldamento climatico, producendo enormi quantità di gas serra. E allora?
E allora dovremo cambiare alimentazione. Una proposta concreta di cambiamento, praticabile e sostenibile sul piano ambientale e della salute, pensando allo scenario del prossimo trentennio. La dieta che ci salverà arriva da uno studio della EAT Commission, che fa capo alla prestigiosa rivista scientifica «Lancet». Un lavoro durato due anni a cui si è dedicato un gruppo di 30 scienziati da tutto il mondo.
Un lavoro finanziato dal think tank EAT della fondazione norvegese Stordalen, che ha ipotizzato una dieta equilibrata e salutare per 10 miliardi di individui. In grado di contrastare i cambiamenti climatici.
Calorie dai vegetali. E poca carne
Come ormai abbiamo capito, da numerosi approfondimenti e ricerche scientifiche, sul banco degli imputati c’è una dieta che ricava gran parte delle sostanze nutrienti da cibi di provenienza animale. Un problema di equilibrio – o meglio di mancanza di equilibrio – che emerge prepotentemente dai risultati della EAT-Lancet Commission. La quale, lungi dal voler porre una questione etica di stampo animalista, propone una soluzione che possa garantire a tutti 2.500 kcal al giorno, senza danni a clima e salute.
Alla base il fabbisogno energetico medio di un uomo di 70 chili, di 30 anni di età. A patto di condurre una moderata attività fisica, buona parte delle necessità caloriche vengono soddisfatte da alimenti spesso poco considerati, come noci, legumi, cereali integrali. In associazione a tanta frutta e verdura, latticini, zucchero e oli vegetali.
E la carne? Diciamo subito che non sparisce completamente. Ma la sua presenza viene ridimensionata a tal punto da occupare le voci di peso più basse nell’assunzione giornaliera media suggerita (su un totale di 1,323 kg): 28 grammi di pesce, 14 grammi di carne rossa e 29 di pollo. Oltre a 13 grammi di uova.
Tuberi, carne e mais: gli eccessi da correggere nella dieta globale
Insomma, nel mirino ci sono gli ormai consueti allevamenti intensivi. Ma anche diete caratterizzate da un consumo esagerato di vegetali molto ricchi di amido (starchy vegetables). La EAT Commission individua infatti gli squilibri alimentari per area geografica. Sottolinea quali ingredienti andrebbero privilegiati in ciascuna regione, a causa dei deficit di consumo attuali, e quali invece debbano essere limitati, per ridurre i danni connessi al loro surplus.
E così si scopre che al secondo posto nella classifica degli eccessi alimentari, dopo la carne rossa e prima delle uova, si piazza l’assunzione di alimenti come patate, mais, piselli, platano, zucca. Ovvero prodotti che costituiscono un contributo sostanziale di calorie alla base di molte diete povere di carne. Ma, nello stesso tempo, mangiati in sovrappiù anche e soprattutto nelle medesime economie responsabili della maggior parte delle emissioni di gas climalteranti. Emissioni derivate principalmente da produzione e consumo di carne.
Una dieta equilibrata contro il cambiamento climatico
Ed ecco allora che da quello che mangiamo possiamo ricavare un’arma potente per contrastare il climate change.
«La produzione alimentare – scrive infatti la EAT-Lancet Commission – è una fonte primaria di metano e ossido nitroso, che hanno rispettivamente 56 volte e 280 volte il potenziale di riscaldamento globale (in 20 anni) dell’anidride carbonica. Il metano viene prodotto durante la digestione in ruminanti, quali mucche e pecore, o durante la decomposizione anaerobica del materiale organico in risaie allagate. Il protossido di azoto deriva principalmente dai microbi del suolo nei campi coltivati e pascoli, ed è influenzata dalla gestione della fertilità del suolo, come l’applicazione di fertilizzanti».
La diffusione di tutti questi gas può quindi essere controllata intervenendo sulla filiera del cibo, riequilibrando le fonti della loro emissione.
Ma non solo. «La produzione alimentare è la più grande causa del cambiamento ambientale globale. L’agricoltura occupa circa
il 40% della terra, e le produzioni di cibo sono responsabili
di una percentuale che vale fino al 30% delle emissioni di gas a effetto serra sul pianeta e fino al 70% del consumo di acqua dolce».
Da qui gli scienziati compiono un ulteriore passo avanti. In base ad un spostamento verso scenari (EAT-Lancet ne ha analizzati 6) via via più più ambiziosi, e a un bilanciamento ponderato tra modelli di produzione, di spreco e di connotazione dietetica (dove l’opzione vegana è considerata estrema, ma non ottimale), si potrebbero acquisire vantaggi su diversi fronti ambientali. Dal minor consumo di suolo e di acqua, alla riduzione di processi chimici indesiderati (eutrofizzazione, acidificazione), ad una perdita maggiore o inferiore in termini di biodiversità.
11 milioni di morti in meno cambiando il contenuto del piatto
Infine il gruppo di ricercatori ha analizzato i potenziali impatti del cambiamento nella dieta sulla mortalità per malattie legate all’alimentazione. L’ha fatto usando tre approcci differenti, che però hanno portato tutti verso una netta correlazione tra l’adozione diffusa di una dieta sana ed equilibrata e importanti benefici per la salute.
“Ovvio!”, si potrebbe dire. Ma è la misura del beneficio ad apparire decisamente meno scontata e tutt’altro che trascurabile. Perché l’esito sarebbe la prevenzione di circa 11 milioni di morti all’anno. Cioè una percentuale che varia tra il 19% e il 24% del totale dei decessi registrati tra gli individui adulti, secondo i diversi approcci impiegati.
Un computo per cui vale senz’altro la pena insistere su questi temi, e che riguarda – naturalmente – gravi questioni che si trovano dai lati opposti della catena del cibo. Ovvero fame, denutrizione/malnutrizione e obesità (specialmente quella infantile) in crescita. Tutti temi legati alla sicurezza alimentare e agli Obbiettivi di sostenibilità delle Nazioni unite, ad esempio.
Da una parte registriamo infatti statistiche che indicano come sia denutrita oggi una persona su nove al mondo (815 milioni), fino a rappresentare un 12,9% degli individui nei Paesi in via di sviluppo. Che sono anche quelli dove vive la maggior parte della popolazione affamata. Di contro l’obesità mondiale è quasi triplicata dal 1975: nel 2016 oltre 1,9 miliardi di persone con più di 18 anni erano sovrappeso. Oltre 650 milioni erano quelle obese.