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La dottrina del «too big to fail» o come le banche sono al di sopra della legge

Too big to fail o too big to jail? Per paura del collasso del sistema finanziario mondiale si finisce per garantire impunità alle grandi banche

Daniel Munevar
© Michael Fleshman
Daniel Munevar
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In un periodo caratterizzato dal potere economico e politico crescente del sistema finanziario a livello mondiale, l’utilizzo di risorse pubbliche per salvare entità bancarie è diventato un luogo comune. Che sia a Cipro, in Grecia, nel Regno Unito o negli Stat Uniti, i salvataggi bancari di istituti implicati in episodi di corruzione, frode e speculazione sono, gli uni dopo gli altri, giustificati dal fatto che queste banche sono troppo grandi per fallire – too big to fail. Seguendo questo ragionamento, la bancarotta di grandi banche minaccia la stabilità finanziaria ed economica dei loro paesi di residenza, da cui deriva la necessità di usare soldi pubblici per evitare il fallimento.

Ripetuto come un ritornello senza sosta da tutti i media, questo argomento è sfortunatamente diventato un elemento trito del discorso politico in buona parte del mondo. Non è sorprendente, quindi, sentire un funzionario pubblico in Spagna, in Portogallo o in Irlanda segnalare che non ci sono alternative all’applicazione di tagli drastici nella spesa pubblica, allo scopo di assicurare la solvibilità e la stabilità delle banche. Il colmo è che trasferire denaro pubblico alle banche non basta più, occorre inoltre proteggere le banche e i loro dirigenti dalle conseguenze legali e giuridiche delle attività illegali e criminali condotte da molti di loro. Oggi le banche non solo sono too big to fail, ma anche troppo grandi per essere condannate.

Too big to fail o too big to jail?

Il punto chiave della nuova dottrina che mira a dare un assegno in bianco alle banche, indipendentemente dalle attività illegali in cui sono coinvolte e dalle conseguenze sociali di queste attività, è stato riassunto da Eric Holder, il procuratore generale degli Stati Uniti. Interrogato al Senato degli Stati Uniti sulla posizione della Corte dei conti sulla condanna delle banche americane e dei loro leader per atti di corruzione e frode, Holder ha sottolineato che «queste istituzioni sono così grandi che è difficile perseguirle, e farlo mostra che in effetti, se le si accusa di attività criminali, questo può avere un impatto negativo sull’economia nazionale o globale».

Le ricadute di questa posizione sono chiare. Il fatto che gli eccessi e la speculazione finanziaria abbiano causato la peggiore crisi economica del secolo scorso non ha alcuna importanza. Che tali eccessi siano associati a un’epidemia di frodi a tutti i livelli operativi di entità finanziarie è insignificante. E non è altro che un dettaglio se, in seguito a pratiche fraudolente delle banche, almeno 495 000 persone negli Stati Uniti sono state illegalmente espulse dalle loro case e i fondi pensione dei paesi sviluppati abbiano perso quasi 5 400 miliardi di dollari. Il ruolo delle banche è apparentemente così importante e indispensabile che il loro funzionamento trascende le richieste legali e costituzionali delle società moderne. Pertanto, la giustizia distoglie lo sguardo dalle banche e dai dirigenti responsabili di atti di corruzione e di frode per evitare loro di passare anche solo un giorno in prigione. In fin dei conti, non si può perseguire in giustizia il dirigente di un istituto bancario che «non fa che il lavoro di Dio», per riprendere le parole di Lloyd Blankfein (CEO di Goldman Sachs).

Questi argomenti potrebbero far sorridere se le conseguenza della dottrina del too big to fail non fossero regolarmente visibili attraverso diversi casi giudiziari molto seguiti dai media in questi ultimi mesi, da entrambi i lati dell’oceano. Gli scandali si susseguono e la giustizia si limita solo a delle multe che rappresentano molto spesso una magra percentuale dei profitti da attività illegali, senza che alcun dirigente sia posto sotto inchiesta. Tre esempi bastano per testimoniare l’assurdità della situazione attuale: il giudizio sulle espulsioni illegali dalle abitazioni (foreclosures) negli Stati Uniti, HSBC pizzicata per il riciclaggio di denaro dei cartelli della droga, nuovamente negli Stati Uniti, e lo scandalo sulla manipolazione del tasso LIBOR nel Regno Unito.

Le espulsioni illegali negli Stati Uniti

Primo esempio. Nel gennaio 2013 Bank of America, a fianco ad altre nove banche (tra cui Citigroup, J.P. Morgan Chase, Goldman Sachs) ha convenuto con i regolatori federali statunitensi di pagare una multa di 9,3 miliardi di dollari (9.300.000.000 dollari) per chiudere l’inchiesta sulla responsabilità delle banche nelle espulsioni illegali dalle case. La causa contro questi istituti finanziari di basava sulla loro incapacità a fornire documenti che giustificassero l’espulsione dei proprietari che avevano un ritardo nel pagare un credito ipotecario. La regolazione inesistente e il volume elevato di crediti di questo tipo, accordati nel periodo precedente la crisi, hanno portato le banche ad assumere del personale incaricato di firmare quotidianamente centinaia di documenti che approvavano le espulsioni senza seguire la procedura legale.

Le banche hanno sequestrato case senza giustificazione economica o legale in almeno 450 000 casi. Nonostante i danni ingenti causati dalle pratiche fraudolente delle banche, la multa non arriva a coprire che il pagamento di meno di 300 dollari per nucleo familiare colpito. Malgrado le prove, nessun arresto né accusa è stata formulata e l’accordo esenta le banche dalla loro responsabilità a rispondere finanziariamente o legalmente ad accuse simile giunte nel periodo precedente.

I rapporti coi cartelli della droga

Il caso della banca HSBC illustra il secondo esempio della dottrina too big to fail. Nel corso dell’ultimo decennio HSBC ha collaborato con i cartelli della droga in Messico e Colombia e con altre organizzazioni terroriste nel riciclaggio di denaro per una somma di quasi 880 miliardi di dollari. Le relazioni commerciali della banca britannica con i cartelli della droga sono continuati nonostante le centinaia di notifiche e avvertimenti del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti. I profitti ottenuti hanno non solo portato HSBC a ignorare gli avvertimenti ma anche, che è peggio, ad aprire sportelli speciali nei suoi locali in Messico dove i narcotrafficanti potevano depositare casse piene di denaro liquido, per facilitare il processo di riciclaggio.

Nonostante l’atteggiamento apertamente provocatorio di HSBC verso la legge, le conseguenze della sua collaborazione diretta con delle organizzazioni criminali sono state praticamente nulle. HSBC ha dovuto pagare una multa di 1,2 miliardi di dollari – ovvero l’equivalente di una settimana di incassi della banca – per chiudere la storia di riciclaggio.

Nemmeno un solo dirigente o impiegato ha dovuto affrontare un procedimento penale, sebbene la collaborazione con organizzazioni terroriste o la partecipazione ad attività legate al narcotraffico richiedano pene di almeno cinque anni di prigione. Essere impiegato di una qualunque grande banca sembra essere un lasciapassare per partecipare al traffico di droga senza temere di essere perseguiti in giustizia.

La manipolazione del LIBOR

Il terzo e ultimo esempio è legato alla manipolazione del tasso LIBOR (London Interbank Offered Rate) ad opera di un gruppo di diciotto banche. Il LIBOR è il tasso di interesse di riferimento sulla base del quale si calcolano i tassi di ritorno di 700 000 miliardi (700 milioni di milioni) di dollari di attivi e derivati finanziari, cosa che ne fa il tasso di riferimento senza dubbio più importante al mondo. Questa tasso è calcolato sulla base dell’informazione fornita da diciotto banche circa i propri costi individuali di finanziamento sui mercati interbancari.

È stata provata nel 2012 la collusione tra grandi banche, come UBS e Barclays, al fine di manipolare il LIBOR conformemente ai propri interessi. Come nei casi precedenti, il risultato era prevedibile. Nessun procedimento penale contro i responsabili e delle multe ridicole se comparate all’ampiezza della manipolazione: un totale di 450 milioni di dollari per Barclays, 1 500 milioni per UBS e 615 milioni per RBS.

Le eccezioni per le banche

Benché le banche in questione abbiano accettato le accuse di manipolazione e di conseguenza le sanzioni imposte dalla giustizia britannica, la giustizia statunitense a stabilito diversamente. Il 29 marzo scorso Naomi Buchwald, giudice del distretto di New York, ha esentato le banche coinvolte nello scandalo da tutte le responsabilità legali di fronte a persone o istituzioni colpite dalla manipolazione del LIBOR.

Per proteggere le banche da possibili accuse di collusione e pratiche monopolistiche, il giudice ha basato la sua argomentazione sul fatto che fissare il tasso LIBOR non è soggetto alla legge sulla concorrenza. Le banche possono pertanto accordarsi sul tasso senza che questo costituisca una violazione delle leggi antitrust degli Stati Uniti. Poiché il sistema per fissare i tassi sui mercati dei Swaps e dei CDS è simile – attraverso l’invio dei tassi da parte dei partecipanti, di cui si fa la media per ottenere il risultato finale – questo verdetto costituisce un pericoloso precedente, aprendo le porta alla manipolazione palese da parte di grandi istituzioni finanziarie dei prezzi e dei tassi chiave che reggono il funzionamento dei mercati finanziari globali.

Al di sopra della legge

Appare chiaramente che le banche e le altre grandi istituzioni finanziarie di portata mondiale tendono verso un livello assolutamente sconosciuto di cinismo e abuso di potere. Oggi mettere denaro pubblico a disposizione delle entità finanziarie non appena le loro scommesse speculative vanno male non basta più. Ormai la legge si adatta al fine di proteggere i responsabili e di giustificare a posteriori ogni condotta illegale o criminale di cui si rendano colpevoli.

Un tale contesto in cui regna l’impunità incoraggia i dirigenti di aziende finanziarie a sempre maggiori abusi e assunzioni di rischi. Sono confrontati a una situazione in cui, nel migliore dei casi, l’importo dei loro bonus aumenta in seguito all’aumento dei benefici della banca, indipendentemente dall’origine illegale delle risorse o dal fatto che provengano da attività finanziarie speculative estremamente a rischio. Nel peggiore dei casi, se sono scoperti, non devono far altro che lasciare la banca, non saranno perseguiti dalla giustizia e conserveranno nei loro conti bancari la totalità dei profitti ottenuti. Finché questo genere di sprone perverso sarà mantenuto, gli abusi e il saccheggio di risorse pubbliche da parte del sistema finanziario non potranno che crescere col tempo.

Tradotto dal francese da Claudia Vago dal sito CADTM.org