Vessati e a rischio povertà. La dura vita dei debitori Ue

La denuncia di Finance Watch: «Nessuna tutela per i debitori europei. Così si resta poveri a vita». I debiti delle famiglie UE valgono 6 trilioni

Matteo Cavallito
Matteo Cavallito
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Il debito? Un pessimo viatico per la discesa negli inferi della povertà. Anche e soprattutto a fronte di pratiche di recupero crediti decisamente discutibili, che sfruttano la carenza di regole comuni (tanto per cambiare) nell’Unione Europea. È questa, in sintesi, la denuncia della Ong Finance Watch che, in un rapporto diffuso in queste settimane, rilancia il problema della (scarsa) protezione dei debitori privati UE. Tema caldo, certamente, su cui Bruxelles discute proprio in queste settimane. Sul tavolo ci sono in particolare gli emendamenti alla Direttiva 2018 relativa ai gestori di crediti, agli acquirenti di crediti e al recupero delle garanzie reali. Il confronto prosegue, il pressing degli attivisti anche.

Debitori Ue a rischio povertà

«Sebbene siano spinti a fare ricorso al credito, i consumatori europei non sono protetti dalle conseguenze del sovraindebitamento», si legge nel rapporto. Il risultato è un debito privato in eccesso, anticamera di «una vita di povertà, che solleva enormi preoccupazioni sia etiche che economiche per la società nel suo complesso». In fondo, suggeriscono i ricercatori, è tutta una questione di matematica: quando l’ammontare minimo di risorse reddituali e patrimoniali necessarie per vivere una vita dignitosa non è protetto per intero dalle operazioni di recupero crediti ecco che i debitori si scoprono vulnerabili.

Le regole, per altro, possono variare e di molto. In Italia, ad esempio, il debitore insolvente può vedersi pignorare non più di un quinto dello stipendio. In Grecia, l’ammontare mensile superiore a 1.500 euro è interamente pignorabile. E gli esempi nei diversi Paesi potrebbero continuare.

Nel recupero crediti «pratiche aggressive, sleali e fuorvianti»

I problemi, sostiene l’analisi, si riscontrano anche nel campo del recupero crediti. Il fatto, nota il rapporto, è che «la mancanza di tutela dei debitori crea un forte incentivo per gli esattori a riscuotere il denaro senza limiti». Il che, si legge ancora, «incentiva gli esattori ad adottare un comportamento più persuasivo che può portare a maggiori profitti». E qui la situazione si complica. Dal Belgio alla Lituania, dal Portogallo alla Svizzera, un po’ ovunque, insomma, si parla di sostanziali vessazioni. Tradotto: pratiche «aggressive, sleali, fuorvianti o tutte e tre le cose insieme».

Non si tratta quasi mai di violenza fisica, d’accordo. Ma non mancano le pressioni crescenti, le chiamate insistenti, persino l’abitudine, in qualche caso, di minacciare cause legali che in realtà non potrebbero nemmeno essere avviate.

Sui debitori europei pendenze per 6mila miliardi di euro

La materia prima d’altra parte abbonda: alla fine del 2019 il debito delle famiglie europee ha raggiunto i 6.600 miliardi di dollari, ovvero 6mila miliardi di euro al cambio attuale. Un dato relativamente stabile. Secondo il data provider CEIC parliamo all’incirca del 50% del Pil ma con enormi differenze tra i vari Paesi. In Romania, per capirci, i debiti delle famiglie valgono il 16% scarso del prodotto interno lordo nazionale; i debitori danesi, per contro, tengono sulle spalle un fardello pari al 125% della ricchezza prodotta in un anno dal loro Paese. In Italia siamo attorno a quota 40%, meno della media continentale dunque.

Il peso dei crediti non performanti – gli NPL, ovvero i prestiti che rischiano di non essere restituiti – è anch’esso estremamente variabile. Ma mancano i dati disaggregati ed è pertanto difficile stimare una quota attendibile dei debiti privati realmente a rischio nei singoli Paesi.

Servono standard comuni e una lista di pratiche vietate

Finance Watch ha avanzato le sue proposte chiedendo, ad esempio, di fissare un livello minimo di reddito esente da pignoramenti da stabilire «attraverso una regolamentazione a livello europeo»; gli attivisti, inoltre, chiedono ai legislatori di regolamentare le pratiche di recupero crediti. «I debitori – spiegano – devono anche essere adeguatamente informati dei loro diritti e ricevere il giusto sostegno».

A conti fatti, riferisce ancora Finance Watch, si tratterebbe di definire standard comuni (anche nei documenti di notifica) redigendo inoltre una lista di pratiche vietate nel recupero crediti. Il 29 novembre scorso, il Comitato per gli Affari Economici e Monetari dell’Europarlamento ha pubblicato una prima bozza degli emendamenti alla Direttiva. Il voto sul testo finale è previsto per il 17 febbraio.