L’agricoltura ecologica salverà l’Europa. Ma vanno cambiate dieta e mercato
Lo scenario per una rivoluzione sostenibile dell'agricoltura europea. Meno produzioni intensive e carne, zero pesticidi, priorità all'alimentazione umana rispetto ai biocarburanti
In soli 10 anni è possibile realizzare una transizione del sistema di produzione dell’agricoltura e dell’allevamento in Europa verso la sostenibilità. In particolare verso l’agroecologia, che nel metodo biologico e biodinamico ha due componenti fondamentali.
Una ricerca (An agroecological Europe in 2050: multifunctional agriculture for healthy eating) diffusa dal think tank parigino IDDRI rivela che questa transizione – una vera rivoluzione dell’attuale modello – non solo è possibile ma porterebbe benefici generali. Ovviamente però imporrebbe profondi cambiamenti su tutta la catena, interessando contadini, consumatori e mercato.
Dal lavoro emerge uno scenario chiamato con l’acronimo “TYFA” (Ten Years For Agroecology) che prende lo stato dell’arte del 2010 come punto di riferimento iniziale. Al 2010 risale infatti l’ultimo sondaggio sulle abitudini di consumo alimentare degli europei (svolto su 37mila cittadini intervistati di diversi Paesi). Sondaggio che non è stato aggiornato ma da cui si ricavano i dati necessari per eseguire il modello.
Più pascoli, frutta e verdura: 40% di gas serra in meno
TYFA prospetta una «graduale eliminazione di pesticidi e fertilizzanti sintetici, ridistribuendo pascoli naturali e ampliando le infrastrutture agro-ecologiche (siepi, alberi, stagni, habitat rocciosi)». Ma non solo.
Vero fulcro del cambiamento è l’adozione diffusa di «diete più sane», che contengono un meno prodotti di origine animale, più frutta e verdura. E, sostengono i ricercatori, «nonostante un calo del 35% della produzione rispetto al 2010 (in kcal), questo scenario soddisfa le esigenze alimentari degli europei (o almeno di 530 milioni di loro, ndr), pur mantenendo la capacità di esportazione per i cereali, i prodotti lattiero-caseari e il vino».
Lo scenario è capace infine di ridurre le emissioni di gas serra di origine agricola tra il 36% e il 45% rispetto al 2010, ripristinando la biodiversità e proteggendo le risorse naturali (vita del suolo, qualità delle acque, le catene trofiche più complesse).
Insomma, un lavoro decisamente interessante. Anche se va necessariamente riparametrato ai dati contemporanei per essere applicato. E ammette almeno due fragilità. Perché rimanda a ulteriori approfondimenti sull’aspetto economico-finanziario. E perché, per esigenze di analisi, considera l’Europa complessivamente, come sistema omogeneo ricavato su dati statistici medi, mettendo perciò da parte l’istanza fortemente territoriale che i principi dell’agroecologia prevedono e che, per sistemi su scala medio-piccola, sono più semplici da includere.
Una nuova dieta, per salute ma anche per necessità
E come per la transizione verso un’energia pulita e sostenibile, imposta man mano da una domanda che nasce dal basso, così potrebbe accadere per il sistema agricolo comunitario. Spinto da una domanda dei consumatori verso una dieta equilibrata e salutare, che gli studiosi hanno delineato con precisione, considerando sia un 30% di perdite e sprechi alimentari, sia gli eccessi di produzione e di disponibilità di cibo e calorie rispetto all’effettivo fabbisogno.
Una dieta quindi in contrasto con la situazione odierna: il tasso di consumo (quindi tra il cibo effettivamente consumato e quello disposizione) varierebbe da un minimo del 35% per lo zucchero e il massimo dell’89% per le carni. Verrebbero così corrette inoltre le notevoli discrepanze tra i valori consigliati dagli organismi internazionali e quelli che connotano la dieta mediamente adottata, incluso un eccesso diffuso nell’apporto proteico.
Ecco allora che la nuova dieta suggerita riduce in assoluto i quantitativi di cibo consumato, con una decisa inversione di tendenza rispetto all’assunzione di carne, prodotti lattiero-caseari, bevande alcoliche e non… a vantaggio soprattutto di frutta, ortaggi e legumi. Questi ultimi preferiti in quanto vegetali ricchi di proteine e favorevoli per la conservazione delle risorse del suolo.
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Terra agricola: nuovi usi e meno fitofarmaci…
Ma il programma di ripensament richiede anche una diversa destinazione d’uso dei terreni agricoli. Obiettivo: privilegiare il consumo umano e il consumo alimentare, rispetto a un’agricoltura spesso funzionale a generare mangimi per allevamento (da tradursi poi in consumo di carne e derivati) e biomassa finalizzata alla richiesta di biocarburanti e bioplastiche.
Perciò la produzione di biocarburanti e gas naturale (da digestione anaerobica) con questo modello si considera ridotta a zero nel 2050 (nel 2010 valeva solo il 2% del consumo energetico europeo). Ed è prevista una riconfigurazione della terra che libera spazio per una maggiore attenzione alle aree di collinari e montane. Nonché le succitate infrastrutture agroecologiche, elementi riequilibratori degli habitat, a vantaggio della biodiversità.
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Il cambiamento, utile al contrasto del cambiamento climatico, individua nella diffusione dell’allevamento intensivo e di un’agricoltura industrializzata che fa maggior impiego di fitofarmaci, i principali fattori da limitare. Con conseguente riduzione dell’emissione di gas climalteranti (derivanti dal ciclo di vita del bestiame ma anche dalla produzione e uso dei pesticidi) e di fenomeni di progressivo impoverimento e inquinamento di acque e suoli, con fenomeni di eutrofizzazione e acidificazione.
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Il beneficio è sottolineato ad esempio nel rapporto Cambia la terra 2018, nel quale si legge che «la gestione convenzionale dell’agricoltura ha fatto sì che terreni coltivati e pascoli abbiano perso tra il 25 e il 75% del carbonio che contenevano». Mentre la conversione all’agricoltura biologica avrebbe dimostrato di incrementare il sequestro annuo di Carbonio Organico (CO) in maniera nettamente superiore anche rispetto ai terreni non coltivati: nei terreni coltivati in modo biologico l’accumulo annuo di CO nel suolo è pari a 3,5 tonnellate per ettaro, negli altri a 1,98 t/h».
Alla progressiva intensificazione del comparto agricolo avvenuta nei decenni precedenti scorsi viene tra l’altro attribuita dagli estensori del report IDDRI gran parte della responsabilità per un aumento della produzione. Correlandovi il maggior consumo di proteine animali nelle nostre diete (+42% di “consumo apparente” tra il 1960 e il 2010).