«Dai diamanti non nasce niente» e dal letame non nasce il metano
Ray Brewer ha messo in piedi uno schema di Ponzi promettendo lauti guadagni investendo per trasformare il letame in metano
Fabrizio de André cantava «dal letame nascono i fiori», non era forse il suo verso migliore ma ce lo ricordiamo tutti. Ultimamente qualcuno ha provato a vedere se «dal letame nasce il metano» fosse un ritornello altrettanto efficace e per un po’ a quanto pare lo è stato. E però, se in qualche modo può essere vero che dal letame nascono i fiori, è bene sapere che no, dal letame non nasce il metano. E nemmeno l’oro.
La storia di Ray Brewer, che voleva trasformare il letame in oro
Siamo in California. Un uomo di sessantasei anni, Ray Brewer, era riuscito a convincere gli investitori – per 8,7 milioni di dollari – di essere in grado di trasformare il letame proveniente da allevamenti bovini in “energia verde” da vendere sul mercato o alle aziende con certificati di energia rinnovabile. Avrebbe costruito dei “biodigestori anaerobici”, delle macchine capaci di trasformare in metano materiali biodegradabili come appunto il letame attraverso l’attività di micoorganismi. Prometteva il 66% dei profitti e incentivi fiscali, in nome delle certificazioni ESG.
Millantava finanziamenti dalle banche per 100 milioni di dollari per darsi credibilità. Non solo: la frode è andata avanti dal 2014 al 2019 e per funzionare aveva bisogno di trovare continuamente nuove vittime in modo da pagare parte dei profitti agli investitori precedenti prima che si insospettissero. Non tutto, ovviamente: parte dei fondi veniva trasferita a un altro conto e si trasformava non in oro, ma in pick-up da 50mila dollari e proprietà immobiliari.
Un classico caso di “schema Ponzi”
Lo schema è esattamente lo stesso seguito, molto più in grande, da Bernard Madoff: il cosiddetto schema Ponzi. Documenti che attestavano presunti rendimenti mostrando in realtà i soldi investiti da nuove vittime di un circolo vizioso potenzialmente infinito.
Di sicuro Brewer ha fatto le cose per bene: si premurava di mostrare agli investitori le aziende agricole in cui sosteneva di aver costruito questi biodigestori, inviava documenti modificati che attestavano accordi con le banche e contratti con multinazionali. Chissà se le foto dei biodigestori in costruzione sono state fatte con un qualche strumento precursore di Midjourney?
Quando qualcuno ha cominciato a fiutare la truffa e la piramide di carta ha cominciato a crollare, Ray Brewer ha fatto tutto quello che poteva fare perché qualcuno scriva un film su di lui: è scappato in Montana, ha cambiato identità, è rimasto nascosto fino al novembre 2020 quando l’FBI l’ha arrestato proprio il giorno del Ringraziamento. Si è preso solo 6 anni, invece dei 20 che rischiava, perché al processo si è dichiarato colpevole di tutto: frode, riciclaggio e furto d’identità. A Madoff, che invece si era dichiarato innocente, era andata peggio: si era preso 150 anni. Brewer deve averne tenuto conto.
Se i criteri ESG finiscono per inibire la transizione
È una storia che fa sorridere ma fa tornare in mente la copertina dell’Economist di circa un anno fa, con uno sfondo rosso e una mano in bianco e nero che tagliava con le forbici la scritta ESG.
Il sottotitolo dell’articolo recitava «Tre lettere che non salveranno il Pianeta». Si rivolgeva agli investitori che si rifiutano di finanziare aziende inquinanti e poco virtuose sul piano dei diritti sociali e della governance. Definiva gli ESG una delle grandi tendenze del presente e avvertiva: «Potreste pensare che da questo nasceranno grandi cose. Vi sbagliereste». E anzi, gli ESG, per come sono fatti, per quanto larghe sono le maglie e facile imbrogliare, sembrano fare piuttosto da freno a mano e inibire una vera, profonda transizione. Storie come questa – una fra le tante ma fra le più emblematiche – sembra confermare la dura opinione dell’Economist.