«In Italia non c’è libertà d’informazione sul clima»

Nel 2023 giornali e TV hanno parlato di più di crisi climatica, ma sono aumentate le pubblicità di aziende inquinanti, dice Greenpeace

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Nel corso del 2023 l’attenzione dei principali media italiani nei confronti della crisi climatica è aumentata, pur restando scarsa e sporadica. Ad aumentare, però, è anche la dipendenza economica dei quotidiani dalle pubblicità delle aziende inquinanti. Una condizione che contribuisce a impedire un’informazione corretta sulle fonti fossili come causa del riscaldamento globale e sulle responsabilità delle aziende del gas e del petrolio. 

È quanto emerge dal secondo rapporto annuale sull’informazione dei cambiamenti climatici nel nostro Paese, realizzato per Greenpeace Italia dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio ha esaminato il modo in cui i cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), i telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e le 20 testate di informazione più seguite su Instagram hanno trattato il tema della crisi climatica nel corso del 2023.

Aumentano gli articoli dedicati alla crisi climatica, ma anche le pubblicità di aziende inquinanti

I risultati mostrano un aumento degli articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica. Si tratta, in media, di 2,7 articoli al giorno, contro i due dell’anno precedente. Anche se quelli effettivamente dedicati al clima sono appena un terzo.

Ben più marcato l’aumento delle pubblicità dell’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del Pianeta. Nel 2023 i cinque quotidiani esaminati hanno infatti ospitato 1.229 inserzioni pubblicitarie (erano 795 nel 2022). Accentuando la pericolosa dipendenza della stampa italiana dai finanziamenti fossili. Questo è uno degli elementi che spiegano perché si parla sempre meno delle cause del riscaldamento globale (in calo dal 22% al 15% rispetto al 2022). I combustibili fossili sono indicati come causa solo nel 5,5% degli articoli, mentre le compagnie del gas e del petrolio sono indicate come responsabili in appena 14 articoli durante l’intero anno.

«Il monitoraggio effettuato sui principali media italiani nell’anno più caldo di sempre conferma che, a causa dell’influenza economica di  Eni e delle altre aziende inquinanti, in Italia non c’è libertà di stampa sul clima. Ciò nonostante gli impatti sempre più gravi ed evidenti del riscaldamento del Pianeta», dichiara Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.

Sono gli eventi estremi a ricevere maggiore attenzione sulla stampa e sui telegiornali

Sia sulla stampa che sui telegiornali di prima serata, i principali momenti di attenzione del 2023 si sono registrati in occasione di eventi estremi. Per esempio, le alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna, le Marche e la Toscana. O, ancora, il caldo record di luglio. Anche la Cop28 di Dubai ha fatto aumentare l’attenzione da parte degli organi di informazione.

In media, i sette telegiornali monitorati hanno parlato esplicitamente di crisi climatica nel 2,3% delle notizie trasmesse. Un dato in aumento rispetto all’1,9% del 2022. Tuttavia, è accaduto una sola volta che le compagnie petrolifere fossero indicate come responsabili della crisi climatica. Il Tg5 è il telegiornale che in percentuale ha dedicato più spazio al clima (con il 2,7% delle notizie trasmesse), mentre fanalino di coda si conferma il telegiornale de La7 di Enrico Mentana (con appena l’1,6%). Il Tg1 e il Tg2 scivolano rispettivamente al terzultimo e al penultimo posto, sintomo del condizionamento del governo Meloni sulla Rai.

La resistenza alla transizione energetica trova sempre più spazio

La scarsa attenzione alla crisi climatica sui media italiani si abbina a un altro preoccupante fenomeno: le narrative di resistenza alla transizione energetica trovano sempre più spazio. Nel 2023 sono state veicolate dal 16% degli articoli dei quotidiani e dal 14% delle notizie dei telegiornali che parlano di clima. E si assiste inoltre a un ritorno del negazionismo climatico vecchio stampo. Scetticismo, negazionismo e resistenza alla transizione si riscontrano anche nelle dichiarazioni sulla crisi climatica nei telegiornali, nei quotidiani e su Facebook da parte dei principali leader politici della maggioranza. Ovvero quelli che, più dei leader degli altri schieramenti, esprimono dubbi o contrarietà verso la messa in atto di soluzioni per il clima.

«La resistenza alla transizione che troviamo in articoli, servizi di telegiornale e dichiarazioni dei politici altro non è che il riflesso di un complesso patto di potere in cui gli interessi dei media, della politica e del mondo industriale sono indissolubilmente legati. E in cui i soggetti che hanno più potere di condizionare il discorso pubblico sul clima sono proprio i colossi del petrolio e del gas come Eni, maggiormente responsabili della crisi climatica», dichiara Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia. «Rompere questo legame, liberando i media dalla dipendenza dai finanziamenti dell’industria fossile e ridimensionando il potere del settore petrolifero di influenzare la politica italiana, è un’azione necessaria per affrontare la crisi climatica per quel che veramente è: un’emergenza che dobbiamo risolvere al più presto, per il bene delle persone e del Pianeta».

La classifica 2023 dei principali quotidiani italiani

In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha inoltre stilato la classifica per l’anno 2023 dei principali quotidiani italiani. Raggiunge la sufficienza soltanto Avvenire (con 6 punti su 10), segue La Stampa (4,2 punti) mentre risultano gravemente insufficienti Repubblica (3,8 punti), Corriere (3,2 punti) e Il Sole 24 Ore (3 punti). Sono cinque i parametri utilizzati per valutare i giornali: quanto parlano della crisi climatica; se citano i combustibili fossili tra le cause; quanta voce hanno le aziende inquinanti; quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti.

Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica si attestano al 3,2% sul totale dei post pubblicati. A differenza dei media tradizionali, hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (32%) e sociali (25%) rispetto a quelli politici (21%) ed economici (9%). Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica Will_ita (9,6% sul totale dei post pubblicati), Torcha (8,1%) e Domanieditoriale (7,8%). Chiudono la classifica Corriere (1,3%), Ilfoglio (0,9) e Avvenire.it (0,7%).

Il monitoraggio dei media italiani proseguirà anche nel 2024 nell’ambito della campagna di Greenpeace Italia “Stranger Green” contro il greenwashing e la disinformazione sulla crisi climatica. Con questa campagna l’associazione ambientalista intende contrastare l’influenza dell’industria fossile sul sistema dell’informazione. Un’influenza che minaccia la libertà di stampa, impedisce di conoscere la verità sulla crisi climatica e ritarda gli interventi di cui abbiamo urgente bisogno per accelerare la transizione energetica.


Scopri di più sulle influenze delle aziende del settore fossile sull’informazione in Italia.