Ecco come undici aziende hanno sabotato la direttiva europea sulla due diligence
Secondo i documenti ottenuti da Somo, le lobby hanno agito sugli organismi europei e sugli Stati per indebolire la direttiva sulla due diligence
Undici multinazionali hanno lavorato per svuotare la principale normativa europea sulla vigilanza delle imprese su clima e diritti umani, prima ancora che entrasse in vigore. È quanto emerge dall’indagine condotta da Somo. Il centro di ricerca olandese, specializzato nel monitoraggio critico delle pratiche aziendali, ha ottenuto una serie di documenti riservati sul funzionamento interno del cosiddetto “Competitiveness Roundtable”. Un nome dietro il quale si nasconde un progetto articolato per riscrivere la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd). Si tratta della normativa che introduce obblighi di due diligence, meccanismi di responsabilità civile, piani climatici aziendali e controlli sull’intera catena del valore.
Le aziende coinvolte nel “cartello” per ridimensionare la due diligence
Secondo gli atti ai quali hanno avuto accesso gli analisti, il Roundtable è composto da undici grandi imprese internazionali. Cioè Chevron, ExxonMobil, TotalEnergies, Koch, Honeywell, Baker Hughes, Dow, Nyrstar (del gruppo Trafigura), Enterprise Mobility, JPMorgan Chase e Citigroup. A gestire la strategia e il coordinamento è stata la società statunitense di comunicazione Teneo, già attiva da anni nel supporto ai giganti dell’oil & gas e incaricata nel 2024 dal governo dell’Azerbaigian per la gestione dell’immagine durante la Cop29.
La direttiva sulla due diligence svuotata dall’azione delle lobby
La Csddd è stata presentata come uno dei progetti legislativi più ambiziosi dell’Unione europea. Questo perché vuole imporre alle grandi aziende attive nel mercato unico l’obbligo di identificare, prevenire e affrontare gli impatti negativi su diritti umani e ambiente lungo l’intera catena del valore, andando quindi oltre i fornitori diretti. Il testo approvato nel 2024 introduce anche i piani climatici aziendali e un regime di responsabilità civile armonizzato a livello europeo.
Mentre l’opinione pubblica veniva rassicurata sull’avanzamento di una legge “storica”, le multinazionali costruivano in parallelo una macchina di pressione senza precedenti. I documenti in possesso di Somo mostrano un’organizzazione strutturata, fatta di riunioni settimanali, ripartizione dei Paesi da “presidiare”, messaggi condivisi, dossier tecnici, pressioni politiche e iniziative parallele.
All’interno del Consiglio, l’obiettivo perseguito da Roundtable è stato di spingere i governi più influenti a chiedere modifiche radicali alla direttiva. E secondo l’inchiesta, alcuni di questi tentativi hanno trovato sponde politiche inattese. In particolare, gli atti interni fanno riferimento al fatto che il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il presidente francese Emmanuel Macron avrebbero agito in linea con le posizioni dell’organizzazione.
Proprio nelle ultime settimane del negoziato sul pacchetto normativo “Omnibus I”, i due leader avrebbero sostenuto un intervento politico che ha portato alla riscrittura di intere sezioni della Csddd. Le modifiche introdotte nella nuova versione – tra cui l’indebolimento dei piani climatici (poi cancellati), l’eliminazione della responsabilità civile europea e la limitazione della due diligence a un perimetro più ristretto di fornitori – coincidono quasi integralmente con le richieste avanzate dal Roundtable. Non paga, l’alleanza avrebbe poi lavorato per costruire una “minoranza di blocco” in grado di impedire alla presidenza di turno del Consiglio, la Danimarca, di reintrodurre gli obblighi climatici.
L’“attacco” delle lobby alle direzioni generali di Bruxelles troppo rigide sulla due diligence
Nel mirino della lobby è finita anche la Commissione, in particolare due direzioni considerate «inadatte a vedere la nostra versione dei fatti»: DG Just e DG Fisma. Dai documenti emerge un piano per isolare queste direzioni tecniche – ritenute troppo rigide sulle tutele – e ottenere invece l’intervento di vertici politici più sensibili al tema della competitività. In primis la presidente Ursula von der Leyen. La strategia prevedeva soprattutto pressioni tramite contatti mirati con i commissari competenti. Infine, in Parlamento, il Roundtable ha lavorato per modificare la geometria politica del dossier. L’obiettivo dichiarato nei documenti è «garantire la posizione più estrema possibile», convincendo il Partito popolare europeo ad abbandonare la maggioranza centrista e ad allearsi con i gruppi più conservatori.
L’interferenza dei governi stranieri e la sponda dell’amministrazione Trump
La pressione non si è fermata all’interno dell’Unione europea. Chevron ed ExxonMobil hanno gestito il fronte internazionale, convincendo la Casa Bianca a interpretare la direttiva come «ostacolo principale a un futuro accordo commerciale Usa-Ue». Secondo Somo, l’organizzazione ha contribuito a far inserire la direttiva tra i temi sensibili dei colloqui commerciali che si sono svolti nei mesi scorsi. Parallelamente, la coalizione ha lavorato per coinvolgere Paesi terzi – dai produttori di gas ai grandi esportatori industriali – in modo che criticassero pubblicamente la normativa.
Il think tank italiano citato nell’inchiesta di Somo
L’indagine evidenzia anche il ricorso a strumenti indiretti di influenza. In particolare, il Roundtable avrebbe finanziato il think tank Teha Group (The European House Ambrosetti), incaricato di produrre uno studio sulla competitività europea e di organizzare un evento riservato ai decisori politici. Lo studio, del valore di almeno 185mila euro, replica molte delle posizioni del Roundtable, contestando la valutazione ufficiale della Commissione sui costi della Csddd. Gli analisti di Somo sottolineano che Teha ha riconosciuto successivamente che il finanziamento proveniva da ExxonMobil, Koch Government Affairs, TotalEnergies, Enterprise Mobility, JPMorgan Chase, Citigroup e Santander. L’evento con i policymaker è stato invece pagato da ExxonMobil.
In definitiva, lo studio del centro di ricerca sottolinea che l’azione del Roundtable, pur non violando la legge, mette in luce una dinamica preoccupante: la facilità con cui un gruppo ristretto di grandi aziende può orientare, svuotare o bloccare norme cruciali per la protezione di diritti, clima e trasparenza delle catene di fornitura. Il rischio riguarda l’idea stessa di autonomia regolatoria europea. Se “competitività” e “semplificazione” diventano parole-chiave sufficienti a spingere governi e istituzioni ad allinearsi agli interessi di undici multinazionali, allora la resilienza democratica dell’Unione europea appare molto più fragile di quanto si immaginasse. Per Somo, la risposta dovrebbe essere chiara: più trasparenza, più regole sulle attività di lobbying, più protezione dei processi legislativi da gruppi di pressione opachi.




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