Macron, Greta e il summit del «bla, bla, bla»
Energia, trasporti, riscaldamento globale. E gli intrecci con la finanza. Ogni settimana il punto sui cambiamenti climatici firmato da Andrea Barolini
Gli immensi lampadari di cristallo del Palazzo dell’Eliseo accesi, un emiciclo di leader seduti di fronte ad un maxischermo, decine di capi di Stato e di governo collegati in videoconferenza. Nonostante le limitazioni dovute al Covid, per l’edizione 2020 del One Planet Summit – vertice multilaterale organizzato dalla Francia dal 2017 con l’obiettivo di trovare i finanziamenti necessari per i progetti di lotta ai cambiamenti climatici – Emmanuel Macron non ha risparmiato sul décor. Se avesse fatto altrettanto sui contenuti, il summit sarebbe stato un autentico successo.
Invece, in buona parte è stato un «bla, bla, bla», per usare le parole dell’attivista svedese Greta Thunberg. Greenpeace ha sottolineato, allo stesso modo, che gli impegni assunti nel corso del vertice sono datati e che è ora di passare dalle parole ai fatti. La principale promessa avanzata dalle 50 nazioni presenti è di estendere le aree protette del Pianeta, tra terre emerse e oceani, al 30% della superficie totale, e di farlo entro il 2030. Ciò con l’obiettivo di preservare la biodiversità: ad oggi le aree protette rappresentano il 22% del globo terrestre.
La proposta era però già arrivata a gennaio del 2020 dalle Nazioni Unite, in vista della Cop 15, la quindicesima Conferenza sulla biodiversità, che si terrà quest’anno a Kunming, in Cina. Da allora, è passato un anno e si è fatto pochissimo. Come troppo poco si è fatto anche per quanto riguarda gli impegni precedenti. «A livello internazionale, nessuno degli obiettivi che era stato fissato per il decennio appena terminato, in termini di tutela della biodiversità, è stato centrato». Parole pronunciate non dai militanti delle Ong ambientaliste ma dello stesso Macron. Che non ha però risparmiato una replica a Greta: «Cambiare le cose implica azioni concrete ma anche impegni politici come quelli assunti qui». Vero. Ma se gli impegni politici non si traducono in fatti, il mondo non si salverà con sorrisi, parole e mani sul petto.
E per avere un’idea di quanto grandi debbano essere questi fatti, basti pensare che il coronavirus, i lockdown e la peggiore recessione economica della storia dovrebbero aver consentito al mondo di diminuire le emissioni di CO2, nel 2020, del 7-8%, rispetto all’anno precedente. Esattamente quanto serve fare (-7,6%, secondo l’Onu) se si vogliono centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi in termini di limitazione del riscaldamento globale. Solo che questo calo va centrato ogni anno, di qui al 2030. E possibilmente grazie ad una transizione ecologica equa e giusta. Non per colpa di una pandemia.