«Le mafie sono internazionali e finanziarizzate, non si abbassi la guardia»

Intervista a Giacinto Palladino, presidente dell’associazione First social Life, da anni impegnato a favore della legalità e della lotta contro le mafie

Giacinto Palladino © Valori.it

Giacinto Palladino, presidente dell’associazione First Social Life, è da sempre in prima linea nella lotta contro le mafie. Attraverso l’attività sindacale così come l’impegno nel Gruppo Banca Etica. Nel corso dei decenni, ha visto la criminalità organizzata cambiare orizzonti, metodi, strumenti. Sfruttando sempre più sistemi finanziari internazionali, paradisi fiscali, e oggi anche criptovalute e blockchain per nascondere e ripulire i proventi delle attività illecite. Oggi, 21 marzo 2024, sosterrà come sempre la XIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, organizzata dall’associazione Libera, che dà appuntamento a Roma per una grande manifestazione popolare. 

giornata memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie
Il 21 marzo è la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie © Tommi Boom/Flickr

Com’è cambiata la mafia in questi ultimi anni e come cambia il significato del 21 marzo?

Il 21 marzo resta un momento centrale, a favore anche del pubblico meno informato. Con questa giornata, ogni anno, si recupera l’attenzione alla memoria delle vittime, che ha una funzione fondamentale – indipendentemente da quanto la mafia faccia umore – anche per contrastare la tanta disinformazione figlia di certe pericolose semplificazioni. In questo momento, poi, a mio avvisto ha ancora più rilievo perché si innesta in una situazione di grande difficoltà del Paese, che forse è anche comunicata male: si parla di situazioni economiche migliorate, ma la povertà in realtà continua a rappresentare un enorme problema. E una base per lo sviluppo delle attività criminali.

Le attività criminali usano sempre più spesso canali finanziari. Abbiamo fatto abbastanza in questi anni?

Dobbiamo dire che gli anticorpi non sono aumentati molto. Ci sono le segnalazioni di operazioni sospette, certo, e fortunatamente sono ormai una pratica diffusa. Ma stranamente l’amministrazione pubblica ha un livello bassissimo di segnalazioni: qualche centinaio su un totale di 150mila effettuate dagli operatori finanziari. Qui c’è un grande tema: quello degli appalti. La mafia che ripulisce le proprie risorse ed entra in concorrenza con attività lecite. È strano che la pubblica amministrazione non allerti abbastanza su ciò che accade. E non può essere solo una mancanza “culturale”: penso che ci sia un deficit di attenzione sull’attività di contrasto. 

I problemi sono anche di mancanza di regole e controlli?

Le regole nazionali hanno dei limiti. È chiaro che ci possono essere dei casi di operatori collusi, che naturalmente agevolano la criminalità, ma non si può generalizzare. Certo aiutano i malviventi a riciclare. E da questo punto di vista, mentre tra le banche c’è ormai un’attenzione alta, per le società di investimenti serve probabilmente qualche normativa più stringente. Fermo restando che le regole imposte in Italia non bastano. Ci sono paradisi fiscali, anche in Europa, che garantiscono regole meno rigide e garantiscono ai malviventi canali utili per accumulare patrimoni significativi. Parliamo di centinaia di miliardi di euro stimati nei tax haven. Compresi Svizzera, Lussemburgo e Irlanda: luoghi nei quali ci dovremmo aspettare di trovare regole simili alle nostre. 

Cosa servirebbe per garantire un contrasto più efficace?

Esistono mafie come la ‘ndrangheta che sono ormai molto attrezzate a muoversi sui sistemi finanziari. Sfruttando oggi anche blockchain, criptovalute, intelligenza artificiale. Dal punto di vista delle regolarità delle transazioni, regole efficaci possono aiutare molto. Occorre a mio avviso partire dal metodo-Falcone. E servono algoritmi utili per smascherare  operazioni sospette. 

Le mafie sono insomma sempre più internazionali: l’Europa ha agito a sufficienza per contrastare questi fenomeni?

In Europa domina la finanza. E il pecunia non olet è purtroppo spesso il fattore che decide. Non è mai cambiato niente in questo. Per troppe persone, regole stringenti rischiano di frenare flussi economici che generano benefici per diversi Paesi. Da questo punto di vista bisogna puntare i piedi, far prevalere il buonsenso. Dal punto di vista finanziario, è chiaro che parliamo soprattutto dei grandi operatori dei mercati internazionali. Anche nei traffici di armi, ad esempio, ci sono troppe aziende che fanno con troppa facilità operazioni controverse. Manca ancora una trasparenza sufficiente, anche in Europa. Anche l’IA può aiutare a tracciare pienamente la filiera degli armamenti e, più in generale, le transazioni nei settori controversi, sui quali spesso poggiano indirettamente anche le criminalità organizzate. 

I governi italiani hanno un po’ abbassato la guardia negli ultimi anni?

Sì, secondo me. Ma anche le banche. Il lavoro della magistratura non è stato sempre adeguatamente apprezzato, anche laddove avrebbe meritato. E dal punto di vista delle normative si sono allentate alcune maglie: mi riferisco ad esempio alle intercettazioni. Già c’erano stati dei provvedimenti passati, e ora si persevera, il che non agevola di certo la fluidità del lavoro della magistratura.

Un ragazzo oggi ventenne non era neppure nato quando furono uccisi Falcone e Borsellino. Il maxi processo, Rocco Chinnici, per non parlare di Boris Giuliano sono stati vissuti da generazioni ancora precedenti. Qual è oggi la percezione della criminalità organizzata e della lotta alle mafie da parte dei più giovani?

Per una fascia di gioventù c’è superficialità. E ce ne dobbiamo preoccupare. Sono superficiali perché più fragili, deboli, esposti. Ma ci sono anche giovani che possiamo considerare figli di un grande impegno successivo ai fatti tragici di Capaci e di Via d’Amelio. C’è una società civile che attrae giovani attorno a progetti concreti.

Il ruolo dell’economia è fondamentale per togliere terreno fertile alle mafie in alcune aree: qual è la situazione attuale del Mezzogiorno, ci sono stati miglioramenti? Le criminalità hanno ancora il controllo del territorio?

La situazione da un punto di vista infrastrutturale è perfino peggiorata. Il Sud come al solito lavora per destinare le proprie migliori risorse al resto del Paese, parlo di risorse umane, con tante persone ancora costrette a migrare. Ma non solo: pensiamo alla desertificazione bancaria, che è molto più presente al Sud. Sono 3.300 i Comuni che non hanno sportelli, e buona parte di essi è nel Mezzogiorno. Tutto questo è terreno fertile non solo per le mafie, ma anche per la piccola criminalità. E ancora una volta è la popolazione più fragile quella esposta, a partire dall’usura. In questo senso le banche non fanno abbastanza, ad esempio dal punto di vista del microcredito. Certo, ci sono gruppi come Banca Etica che su questo sono molto attivi, ma la situazione complessiva al Sud resta faticosa. E se la panacea è secondo alcuni il ponte sullo Stretto, allora siamo alla frutta.