Maxi-tangente Eni-Shell in Nigeria: tocca ai testimoni africani

Continua il processo Opl245. Oltre alle obiezioni della difesa e ai "non so" del supermanager nigeriano, emergono giri di denaro da capogiro (nelle tasche giuste)

Antonio Tricarico
Antonio Tricarico
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Per il processo a Eni e Shell per corruzione internazionale sull’affare Opl245 il nuovo anno è iniziato con le video-conferenze con vari testimoni in Nigeria. Uno sforzo non da poco per il Tribunale di Milano e le autorità del Paese africano. Purtroppo problemi di audio e lo stillicidio di obiezioni mosse su tale modalità di esame da parte delle difese hanno subito complicato l’udienza. Come se non bastasse, l’interprete presa dal tribunale è entrata nel pallone ed è stata sostituita dalle interpreti presenti in aula per il personale di Shell, che le ha cortesemente “messe a disposizione”.

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I problemi con il collegamento da Abuja

Secondo la procedura nigeriana, una volta ricevuta la citazione al ministero della Giustizia di Abuja, l’Attorney General dà mandato all’Economic and Financial Crime Commission (EFCC), una sorta di super-procura a nomina politica (secondo quanto avviene in ogni Paese di common law) di organizzare le udienze da remoto, convocando i testimoni nella sede dell’EFCC.

Nella stanza ad Abuja, oltre ai tecnici della video-conferenza, era presente un prosecutor dell’EFCC e non un giudice come voluto dalle difese. Già prima di Natale il presidente del collegio giudicante Tremolada aveva tagliato corto e ammesso che il tribunale italiano non può imporre ad un altro Paese sovrano una procedura penale differente ed in linea con quella del nostro Paese. Però ieri le difese si sono tignosamente attaccate al fatto che il prosecutor nigeriano nella lettera di convocazione scritta ai testimoni non avrebbe specificato a sufficienza che la prima opzione è che questi vengano a Milano, e solo se impediti per chiari motivi allora si organizzi una video-conferenza da Abuja. Il corrispettivo nigeriano della procura di Milano ha subito chiarito che proprio a tal fine i testimoni vengono convocati di persona qualche giorno in anticipo per discutere la questione organizzativa.

Le difese, e in particolare l’ex ministro Paola Severino che difende l’attuale ad di Eni, Claudio Descalzi, sono allora insorte dicendo che questo potrebbe essere un modo per il governo nigeriano, che è parte civile al processo di Milano, di influenzare i testimoni. Il tribunale ha deciso di procedere lo stesso, però.

I “non so” del supermanager nigeriano

Così si è passati all’esame di Bashir Adewuni, il manager di diverse società di costruzione e del settore immobiliare nigeriane controllate da Dan Etete, ex ministro del Petrolio nigeriano, o dal potente Alhaji Aliyu Abubakar, noto a tutti nel Paese africano come “Mr. Corruption”, entrambi imputati a Milano. Abubakar è un faccendiere molto vicino a diverse amministrazioni che si sono succedute nel paese africano, e, in particolare, al Presidente Jonathan (nel 2011 ai tempi del reato di corruzione contestato).

Adewuni ha inanellato una noiosa e ridicola sfilza di “non so” (gli stessi avanzati dal capo dell’anticorruzione di Eni, Michele De Rosa, durante l’udienza di dicembre scorso), come se un manager firmasse fatture anche di 157 milioni di dollari e non sapesse per quali servizi o beni forniti, non conoscesse quanta gente lavora nelle società, quali fossero i conti bancari e che soprattutto non avesse alcun potere di firma sui conti bancari. In un caso ha anche negato l’autenticità della sua firma su una fattura. È emerso chiaramente che il manager era semplicemente un prestanome diretto da Abubakar nel firmare documenti di tanto in tanto con uno stipendio di 300 dollari al mese o poco più. Di fatto Abubakar ha ricevuto da Dan Etete, proprietario della Malabu Oil and Gas intestataria in maniera illegale delle licenza Opl245, gran parte degli 800 milioni di dollari trasferiti da Londra in Nigeria prima alla Malabu e poi a queste società. E quindi Abubakar per l’accusa ha monetizzato in contanti centinaia di milioni di dollari tramite uffici cambi che poi sono finiti nella tasche di diversi politici dell’amministrazione Jonathan.

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Contanti che girano

Per questo il secondo testimone in video-conferenza è stato proprio il manager di uno di questi “bureau de change”, Ashambrack. Hassan Dantani Abubakar, ex bancario della First Bank of Nigeria dove sono transitati i soldi della presunta tangente, ha spiegato con dovizia di particolari tutti i versamenti e prelievi effettuati da soggetti vicini alla società A Group e le altre società che poi avrebbero passato i soldi a Abubakar e quindi ai politici. In Nigeria appartamenti e proprietà anche di un certo importo si comprano ancora in contanti con borse e valigie piene di Naira. E sembra che Abubakar abbia proprio facilitato con i soldi dell’Opl245 l’acquisto di una casa a vantaggio dell’allora Attorney General, Mohammed Adoke Bello.

L’inchiesta sulle società fantasma

Nel pomeriggio è stata la volta di Idris Akimbajo, venuto di persona da Abuja per l’occasione. Akimbajo è un giornalista investigativo del Premium Times, affidabile testata nigeriana nata dopo la chiusura di Next, il primo media libero ed investigativo nel Paese, fondato nel 2006 da Dele Olojede, il primo giornalista africano a vincere il premio Pulitzer.

Akimbajo è stato convocato perché nel 2013 aveva effettuato ricerche specifiche commissionate da Global Witness sulle società di Abubakar. Dopo aver acquisito le visure camerali dal registro delle imprese nigeriano era andato a verificare di persona gli indirizzi dove le imprese erano state registrate. Ma in due casi gli indirizzi non esistevano, ed in altri due corrispondevano ad altre società o immobili. Insomma una chiara prova che le società utilizzate da Abubakar nel 2011 per movimentare più di mezzo miliardo di dollari erano semplici società veicolo o imprese fantasma.

Akinbajo ha ammesso che un assistente vicino al presidente Jonathan gli ha rivelato che Abubakar era stato introdotto a Jonathan dal governatore dello Stato di Bayelsa, Diepreye Alamieyeseigha, il mentore politico dello stesso Jonathan. Insomma Abubakar, che era stato in affari dai tempi della dittatura di Abacha con Dan Etete, si fece avanti come il faccendiere che avrebbe fatto arrivare i soldi dell’Opl245 nelle tasche giuste. Ad aggi Abubakar è a processo anche a Nigeria con accuse di frode e riciclaggio, insieme a Dan Etete e Adoke Bello, ma non il Presidente Jonathan.

Tutto il mese di gennaio sarà dedicato ai testimoni nigeriani. E il 23 sarà un’udienza importante con il principale investigatore dell’EFCC.