Borse, agenzie di rating, risparmio. La finanza è un oligopolio
L’oligopolio è la regola nel mondo della finanza. Con pesanti ricadute sulle imprese, sugli investitori e sui sistemi economici
Il mondo della finanza è fatto di concentrazioni, se non di autentici oligopoli. Dal settore delle agenzie di rating ai provider di indici borsistici, in molti casi un pugno di colossi controlla la quasi totalità del mercato. In barba ai principi liberisti che propugnano sistemi aperti e votati alla concorrenza. Perfino nella gestione del risparmio, nella quale la presenza di un maggior numero possibile di attori dovrebbe rappresentare una garanzia per i consumatori, la musica non cambia.
ETF, l’oligopolio di BlackRock, Vanguard e State Street
«A partire dalla crisi finanziaria del 2008 – spiega Sabine Montagne, ricercatrice del Cnrs di Parigi – si è registrato uno spostamento dagli investimenti in fondi tradizionali verso i cosiddetti “indicizzati” (gli ETF, ndr). Che cercano di replicare un indice di Borsa, come il Nasdaq o l’S&P500». Per i risparmiatori, il vantaggio è legato al fatto di diminuire, teoricamente, i rischi. Proprio perché l’investimento è effettuato su un grande numero di titoli azionari.
Ebbene, il settore degli ETF, prosegue Montagne, «è dominato da tre società statunitensi. BlackRock, Vanguard e State Street, note come le “Big Three”. Assieme gestiscono oltre il 90% del denaro investito». Ma non è tutto: possedendo enormi quote di azioni, i tre colossi della gestione del risparmio rappresentano al contempo gli azionisti di maggioranza dell’88% delle aziende che compongono l’indice S&P500.
«Tre aziende, da sole, presentano un potere enorme sull’economia»
«Una tale concentrazione – aggiunge la ricercatrice francese – pone la questione della loro influenza sull’economia. BlackRock, Vanguard e State Street non vendono in Borsa in caso di performance insufficienti, come facevano le società finanziarie tradizionali. Esprimono il loro malcontento in altro modo. Esercitando nelle assemblee generali degli azionisti i diritti di voto collegati alle loro quote di capitale. Esprimendosi nel 90% dei casi a favore delle proposte avanzate dai dirigenti. Con un’eccezione: la rielezione dei membri dei consigli d’amministrazione. In questo caso, si assicurano che il management sia sempre a loro favorevole».
Questa “troika”, che costituisce l’oligopolio di provider di indici di Borsa, non è tuttavia del tutto autonoma nelle sue decisioni. È infatti chiamata a seguire un protocollo d’investimenti guidato dagli stessi indici borsistici. E questi ultimi come sono stati concepiti? Chi li ha creati e in che modo? Ebbene, anche in questo caso si è fronte ad un piccolo gruppo di soggetti. L’ennesimo oligopolio. Tre società in particolare dominano il settore: MSCI, S&P Dow Jones e FTSE.
Le concentrazioni negli indici di Borsa e nell’high frequency trading
Sono loro a decidere quali imprese fanno parte dell’indice. Con tutto ciò che consegue per le aziende in questione e anche per gli investitori. «Si tratta – sottolinea Montagne – di scelte assunte in modo puramente privato. Le tre aziende in questione godono di un potere di quasi-regolamentazione. In apparenza tecniche, le loro decisioni sono discrezionali». MSCI, S&P Dow Jones e FTSE, d’altra parte, controllavano nel 2019 circa il 70% del mercato, pari a 3,72 miliardi di dollari.
La tendenza agli oligopoli nella finanza è evidente anche nei settori legati a filo doppio alle attività speculative. È il caso dell’high frequency trading (HFT), ovvero i sistemi computerizzati che permettono di effettuare migliaia di transazioni al minuto per lucrare sulle piccolissime variazioni di prezzo dei titoli.
Si riflette sugli speedbumps, i “rallentatori di Borse”
Società come Virtu, Jump Trading, Optiver o DRW controllano anche in questo caso la stragrande maggioranza del mercato. E investono cifre enormi per infrastrutture che consentono di far viaggiare le informazioni a velocità supersonica. Una deriva che pone delle barriere di fatto in ingresso nel settore, poiché la corsa alla velocità aumenta i costi dell’HFT.
Per questo nelle Borse si riflette su sistemi di rallentamento degli ordini, chiamati speedbumps. Un modo per diminuire il vantaggio dei colossi dell’high frequency trading, ma anche per minimizzare i rischi per gli investitori. L’obiettivo è infatti di scongiurare i possibili “flash crash”, come quello brutale del 6 maggio 2010. Che provocò un crollo di mille miliardi di dollari in pochi minuti.
S&P, Moody’s e Fitch: l’oligopolio delle agenzie di rating
Infine, oligopolistico è anche il settore delle agenzie di rating. Alle quali viene demandato di fatto il giudizio sulla salute delle imprese (e non solo). In questo caso a controllare un’immensa quota del mercato mondiale sono S&P Global Ratings, Moody’s e Fitch. Il 93,4%, alla fine del 2018. Con Standard & Poor’s che, da sola, raggiunge il 46%. La European Securities and Markets Authority (ESMA) ha più volte sottolineato i problemi legati a tale concentrazione. Ma il superamento degli oligopoli nella finanza non sembra profilarsi all’orizzonte.